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perchè nel forfettone c’è un minimo predeterminato

Sono interessato a optare, come regime tariffario per affidarvi un incarico da svolgere, per il cosiddetto forfettone, cioè la determinazione dei compensi in misura fissa per anno o frazione di anno, ma ho visto che voi prevedete spesso, qunado non è pattuito un compenso per l’intero procedimento ma per anno, un minimo di durata, ad esempio di 3 o 4 anni. Non mi torna la cosa, perchè devo continuare a pagare se il procedimento finisce dopo un anno? (Giorgio, via mail)

Abbiamo strutturato il forfettone in questo modo per varie ragioni.

La prima e più importante è che un patto di determinazione dei compensi senza un minimo di durata prestabilito costituirebbe un forte incentivo per il professionista a far durare il più a lungo possibile il procedimento, anche potenzialmente contro gli interessi del cliente. E’ matematico, purtroppo: se ci si accorda in modo che un avvocato venga pagato per anno o frazione di anno di durata, che convenienza avrebbe questo avvocato a raggiungere una transazione o trovare un’altra soluzione per far finire prima la causa? Va bene che esiste la deontologia professionale e il dovere di fare sempre l’interesse del proprio assistito, ma io, se da un lato non nego che esista l’abnegazione e la correttezza, sono sempre per non crederci mai troppo e preferisco stipulare regole che siano in grado di funzionare bene sia nel caso di persone oneste che nel caso di persone un po’ meno oneste. Lo stesso senso della “rivoluzione Bersani” che ha abrogato le tariffe minime e consentito la predeterminazione dei compensi parametrati al risultato è quella di consentire regimi tariffari che siano di incentivo per il professionista a produrre, con il suo lavoro, risultati migliori. Infine, è importante anche la fiducia che il cliente ripone nel proprio avvocato e un regime tariffario a forfait senza minimo di durata dopo un po’ sarebbe sicuramente in grado di incrinarla. Il cliente invece deve sapere che l’accordo che ha stipulato con il proprio avvocato è il migliori possibile, sia per convenienza economica sua sia, per come è strutturato, come stimolo per il cliente.

Con un minimo di durata prestabilito, l’avvocato che vede balenare, anche nel primo o secondo anno del procedimento, la possibilità di definizione transattiva, vi si adopererà onestamente, concretamente e seriamente, cercando di chiudere il procedimento, perchè sarà interesse sia del proprio assistito, che in fondo anche suo, dal momento che per gli anni successivi continuerà a percepire un compenso senza dover ulteriormente coltivare il procedimento in giudizio, e questo come “premio” per aver consentito il raggiungimento di una transazione, che, per esperienza, è quasi sempre meglio della sentenza, sia per contenuti sia perchè arriva molto prima.

Un’altra ragione è la seguente. Il lavoro dell’avvocato, nei procedimenti civili ordinari perlomeno – poi ci sono molte altre variabili, ma prendiamo un esempio di riferimento per comodità di esposizione – si concentra quasi tutto nella prima fase del procedimento, quando l’avvocato deve stendere l’atto introduttivo – citazione o comparsa di risposta – e nei pochi mesi successivi le tre memorie di base del processo. Terminata questa prima fase, il lavoro è molto più diradato e spalmato nel tempo. Può essere ugualmente intenso e importante, ma non sarà mai più così concentrato, ad esempio.

Il forfettone, per questi motivi, non è una retribuzione del lavoro annuale. Cioè se Tizio paga al proprio avvocato Caio 1000€, poniamo nel 2007, non retribuisce in realtà il lavoro fatto in quell’annata in particolare in cui glieli corrisponde. Il versamento annuale va visto come una rata periodica di un pagamento complessivo, perchè ogni rata non è riferita alle sole prestazioni che vengono svolte nell’anno di riferimento, ma a tutte le prestazioni del legale. Per queste ragioni, se viene proposto un forfettone di 1.000€ all’anno con un minimo di durata di 3 anni, il cliente sa che il costo del relativo procedimento è di 3.000€ totali, che verranno pagati in tre rate annuali di 1.000€ cadauna, salvo eventuali ed ulteriori diversi accordi secondari per frazionare poi ulteriormente le singole maxi – rate in rate minori nel corso dell’anno, che sono sempre possibili.

Il forfettone è un ottimo sistema tariffario, a mio modo di vedere, perchè consente al cliente di sapere finalmente sempre che cosa va a spendere, di programmare le sue spese su base annuale, con la sola incognita della durata effettiva del procedimento, che può essere superiore a quella di durata minima, ad esempio un processo può durare 7 anni anzichè 4, però sapendo sempre che anche in caso si verifichi ciò la sua spesa annuale sarà sempre quella. L’importante, comunque, è che il cliente ne capisca bene gli effetti e lo spirito di fondo, in modo da poterlo scegliere consapevolmente. Personalmente, in questi primi tempi di applicazione, ho visto che i risultati sono stati molto buoni sia per noi che per i nostri clienti, che se ne sono dichiarati molto soddisfatti.

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Di Tiziano Solignani

L'uomo che sussurrava ai cavilli... Cassazionista, iscritto all'ordine di Modena dal 1997. Mediatore familiare. Counselor. Autore, tra l'altro, di «Guida alla separazione e al divorzio», «Come dirsi addio», «9 storie mai raccontate», «Io non avrò mai paura di te». Se volete migliorare le vostre vite, seguitelo su facebook, twitter e nei suoi gruppi. Se volete acquistare un'ora (o più) della sua attenzione sui vostri problemi, potete farlo da qui.

Una risposta su “perchè nel forfettone c’è un minimo predeterminato”

Incollo qui di seguito un articolo apparso sul Sole 24 Ore che conferma la bontà della nostra scelta:

Data Pubblicazione 3/7/2008

Articolo tratto da: Il Sole 24 Ore

Che la lentezza della giustizia civile sia un danno economico è ormai dato certo: compromette la crescita dimensionale delle imprese, impedisce lo sviluppo dei mercati finanziari e distorce il mercato del credito e quello del prodotto. Dunque, bene ha fatto il Governo ad affrontare il nodo nel decreto sulla manovra estiva. Ma l’azione dovrebbe proseguire intervenendo anche con incentivi ad hoc per avvocati e magistrati. E la posizione espressa dall’Isae, audita ieri alla Camera sul Dpef «La riforma proposta dal Governo agisce prevalentemente sugli incentivi che interessano le parti utili sarebbero interventi che si affiancassero nell’introdurre incentivi adatti a incidere sulle azioni di avvocati e magistrati». Ricorda l’Isae che la formula di remunerazione degli avvocati — definita con legge dello Stato – è ancora oggi sostanzialmente regolata da un Regio decreto del 1933 e prevede che la parcella del difensore sia legata al numero di attività svolte nell’ambito del processo. Con effetti distorsivi: «Tanto più l’avvocato è abile e lavora per ridurre al minimo le procedure per risolvere la contesa, tanto più basso è il compenso. Un disincentivo a semplificare, con ricadute negative sui tempi di svolgimento dei processi civili». La formula a prestazione potrebbe dunque essere sostituita con una basata sul forfait, come in Germania. Più complicato agire sugli incentivi diretti al magistrati senza ledere la loro indipendenza. Tuttavia, dice l’Isae, «criteri di meritocraticità nella progressione di carriera dei magistrati sarebbero auspicabili». Utile, infine, favorire la specializzazione dei magistrati all’interno di strutture di ampiezza media: via, dunque, i piccoli uffici. Costosi e non efficienti. Lodevole, infine, il fatto che la manovra non abbia utilizzato lo strumento dell’incremento della spesa: il numero di magistrati e l’impiego di risorse finanziarie sono al livello europeo. Se la giustizia è lenta, insomma, non è colpa delle risorse.

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