Leggo sul Corriere della Sera on line questo intervento di Pietro Ichino, dal titolo “Nuove regole per gli avvocati. Chi difende i clienti dai difensori?“. Purtroppo, l’intero articolo non si può riportare in questa sede, dal momento che la testata del Corriere, in controtendenza rispetto alla libertà di diffusione del pensiero e della conoscenza concretizzata dall’utilizzo sempre più ampio di internet, ha deciso di apporre la dicitura “RIPRODUZIONE RISERVATA” e così non se ne può fare copia; mi limiterò pertanto a citare alcuni brevi passi.
Secondo questo docente universitario, avvocato (è iscritto all’Ordine di Milano dal 1975) ed esponente politico (ex parlamentare), il problema degli utenti sarebbe che non vi sarebbe modo di superare il «conflitto di interessi» tra il cliente e l’avvocato, dal momento che quest’ultimo potrebbe, incontrollato, consigliare scelte di gestione delle vertenze più nel suo stesso interesse di professionista, che in quello dell’utente finale.
Scrive testualmente Ichino: «Mettiamoci nei panni di una persona che si è affidata a un avvocato e che si trova a nutrire un dubbio sull’adeguatezza o correttezza del suo operato. Oggi quella persona, se si rivolge a un altro avvocato per averne un parere e un consiglio, si sentirà rispondere che, a norma del codice deontologico forense, senza il consenso del primo legale la pratica non può neppure essere aperta, a meno che il rapporto con lui venga chiuso e la sua parcella interamente pagata: una norma che di fatto protegge l’avvocato incompetente o disonesto dalla «concorrenza» di quello competente e onesto».
Questa situazione, se fosse vera, sarebbe veramente ingiusta e rappresenterebbe un grosso limite per l’utente. Peccato, però, che la disposizione del codice deontologico forense cui fa riferimento Ichino non esista più dal 2002, cioè da circa 8 anni, quando è stata abrogata dal Consiglio Nazionale Forense. La previsione originaria suonava appunto così: «l’avvocato non può formulare giudizi sullo stato di una causa, salvo che il collega incaricato della stessa vi consenta» e si trattava del canone 29 comma 2° del codice. L’abrogazione è stata decisa nella seduta del 26 ottobre 2002 dal CNF.
In effetti, nel mio piccolo sono otto anni che fornisco secondi pareri ad utenti che sono già seguiti da un altro legale; questo stesso blog, inoltre, che ad oggi contiene 2000 articoli, fornisce spunti e considerazioni relativamente a casi che sono già oggetto di un mandato a favore di un altro legale. Nello stesso libro che sto scrivendo in materia di famiglia, separazione e divorzio consiglio di sentire più avvocati prima di decidere a chi conferire l’incarico. Nessuno, giustamente, ci ha mai trovato nulla da ridire. La modifica del 2002, infatti, è stata fatta dal CNF proprio per venire incontro all’utente che, quando ha un problema, è giusto che senta più campane per poi decidere a ragion veduta.
Ichino non è la prima volta che scrive note stonate sui problemi, che pur esistono, della categoria, di cui lui stesso fa parte, degli avvocati. Ricordo, ad esempio, un editoriale sempre sul Corriere un cui paragonava lo sciopero degli avvocati a quello di colui che fa lo sciopero della fame solo fino all’ora di pranzo. Chi mi conosce sa che non mi nascondo dietro un dito e riconosco appunto i gravi problemi della categoria cui faccio parte, ma se gli interventi importanti e di pubblico dibattito devono essere alimentati da docenti universitari, colleghi, esponenti politici che ignorano la situazione reale delle cose, ebbene credo che questi problemi non si risolveranno mai. Se questi sono gli «ottimati», quelli che siedono in Parlamento a scrivere le leggi, cui, per la loro presunta saggezza e competenza, viene dato spazio sulle prime pagine dei più importanti quotidiani nazionali, allora c’è veramente da star freschi.
Vorrei poi anche dire un’altra cosa, cioè che forse è venuto il momento di abbandonare il ragionamento per «categorie». Io sono, sì, un avvocato, ma la mia vita non si esaurisce affatto in ciò: sono, infatti, anche io un utente tutte le volte che mi reco presso un ufficio pubblico, quando devo mandare i miei figli a scuola, quando devo andare dal medico. Come avvocato, non sono favorevole agli utenti per onestà o correttezza quanto per convenienza, perchè anche io sono un utente e mi è capitato e mi capiterà ancora di essere utente addirittura anche di un altro avvocato, che è specializzato in un ramo del diritto diverso dal mio. Per questo il discorso di Ichino, oltre che sbagliato perchè facente riferimento a disposizione che non esistono più da anni, mi sembra anche un po’ limitato quanto a respiro dello stesso: siamo alla solita logica della contrapposizione tra poveri utenti, sempre deboli e bisognosi di tutela, e grossi e grassi professionisti, sempre pronti ad approfittarsi del cliente, tanto che li si vorrebbe addirittura sottoporre al controllo di – che chicca! – un Magistrato. Ichino, se non gli è di disturbo per le sue idee, venga a vedere la realtà delle cose: scoprirà che tutti i casi sono diversi e che ci sono anche tanti clienti che si approfittano degli avvocati, specialmente quelli giovani, schiacciati dal mercato, succubi di banche, assicurazioni, grandi, ma anche piccole, società.
14 risposte su “un intervento totalmente stonato di Pietro Ichino”
è veramente deprimente quanto scrive questo colorato docente che denigra la nostra professione, dimenticando che è anche la
All’autore di quel disgraziato articolo potremmo rivolgere l’invito a frequentare qualche corso di deontologia forense e ripassarsi il nostro codice deontologico, in particolare il primo canone dell’art. 29 che vieta di denigrare l’attività professionale dei colleghi e, a maggior ragione, quella dell’Ordine che li governa
Cari Colleghi sono d'accordo con Voi e sinceramente il commento di Ichino non fa altro che simostrare che "fare" l'avvocato veramente è un altra cosa rispetto all'idea che ne hanno profesori, politici e categorie simili che si pregiano solo del titolo e nulla più.
Il preg.mo Avvocato Ichino dovrebbe un giorno sedersi a fianco dei Coleghi più giovani e vedere quanto volte siamo noi a socombere alle astuzie e pretese dei clienti (ovviamente dal punto di vista economico) mantenendo comunque la ns. professioanlità nelle scelte e strategie di azione.
Scenda in campo oppure si dedichi semplicemente (e sarebbe più opportuno) a fare il Professore e non a dare pareri sgnaciati dalla realtà normativa e fattuale.
Cordiali saluti e buon lavoro a tutti
Il solo fatto che Ichino (al quale va comunque riconosciuta la sua storia personale e politica) segnali il problema deve stimolarci non ad una chiusura a riccio, ma ad una riflessione.
L'avvocato ha perso da tempo il suo ruolo di intellettuale, partecipe allo sviluppo anche culturale del paese. Salvo rare eccezioni, la classe forense tace su questioni cruciali per il termometro democratico (guerra, politiche dell'immigrazione, giustizia sociale,…).
Non siamo diventati dei tecnici del diritto, così come l'idraulico è tecnico delle tubature?
A noi il compito di riconquistare – sulla base di una solida preparazione tecnica e culturale – il ruolo che la Costituzione ci assegna, e la funzione sociale che abbiamo perso, facendo sentire la nostra voce anche quando siamo difensori di ufficio (invece di scrivere distrattamente sms o ammiccare alle battutacce per compiacere le altre figure professionali in aula alle spalle e sulla pelle dei nostri assistiti), ed in pubblico (non solo quando si tratta dell'abolizione dei minimi tariffari).
Nicola Canestrini
avvocato
Intervengo ancora per segnalare che il Corrierone non ha pubblicato il mio commento, ma lo ha CENSURATO.
Ce ne sono di pubblicati di inviati molto dopo il mio, ma il mio non c'è.
In compenso, hanno lasciato passare commenti che dicono che gli avvocati sono una "casta" di avidi e cose del genere, pieni di luoghi comuni, ma un commento puntuale che evidenziava una lacuna oggettiva dell'articolista l'hanno censurato.
Complimenti al Corriere, certo poi non bisogna lamentarsi se i "giovani" non leggono più i giornali e preferiscono Internet: fanno bene! Almeno su internet se uno dice una cazzata c'è la possibilità di replicare!
per questo, ho chiesto la pubblicazione di una replica e il giornale ha provveduto. Ovvio che parlavo per tutti noi
Ho letto con attenzione il suo intervento, e dopo avere premesso che mi sarei aspettato un'analisi più approfondita, le rispondo – da collega avvocato – perché non sono d'accordo con le sue argomentazioni.
Esposto questo, coglierò l'occasione di averla letta, per altre osservazioni sul suo attuale operato di senatore, con esclusivo riferimento al suo operato nel progetto di legge avente ad oggetto la riforma della professione d'avvocato.
Avendo letto suoi scritti che ho apprezzato, sono sicuro che mi perdonerà il tono schietto e fuor di metafora, simile al suo.
Trovo innanzitutto spiazzante ed errato, il riferimento alla necessità che il cliente avrebbe di difendersi da un difensore spesso avido ed ingiusto, protetto dalla corporazione.
Il riferimento è anzitutto spiazzante, perché non fa altro che riferire l'ovvio e ammantarlo di novità: gli avvocati, come i medici e come tutti gli altri professionisti, sono uomini e possono sbagliare; spesso sbagliano perché sono impreparati.
Difficilmente però lo fanno per perseguire unicamente i loro interessi a danno del cliente, perché questa strategia oltre che essere ributtante, nella pratica non paga. Qualcuno sicuramente, come lei afferma, si approfitterà dell'asimmetria informativa. Questo però non giustifica certo il riferimento alla categoria (corporazione) in generale, e sinceramente spiazza.
Del resto, sappiamo tutti che l'asimmetria informativa non è certo esclusiva degli avvocati o delle altre categorie di professionisti.
Le faccio io un esempio stupido, se avrà la bontà di leggermi.
Qualche anno fa, nel condominio dove vivono i miei genitori si verificò un guasto al citofono; fu chiamato un elettricista che – sommariamente – consigliò la sostituzione dell'intero impianto. Non convinti, i condomini chiamarono un altro elettricista che con poche lire sostituì una l'altoparlante bruciato e fece funzionare di nuovo tutto.
L'asimmetria informativa, che esisteva, fu colmata dalla second opinion.
Trovo poi errato e non aggiornato, il suo riferimento al fatto che non sarebbe possibile ricorrere ad una second opinion.
Posso dirle, anche da avvocaticchio di provincia, di essere chiamato molto spesso a dare secondi pareri, a cause in corso o in fase stragiudiziale e che i secondi pareri li forniscono tutti senza problemi (eminenti componenti del coniglio dell'ordine compresi). Anche perché il riferimento al codice deontologico che lei cita, è antecedente al 2002, e da quella data non è più in vigore.
L'avvocatura ormai, composta da 230.000 iscritti, è entrata da sola nel mercato, indipendentemente da afflati corporativi o arroccamenti di maniera; i numeri parlano da soli.
Espostole questo passo al secondo argomento, e mi permetto alcune valutazioni sul suo operato di senatore.
Le confesso innanzitutto una certa asimmetria informativa, poiché ho potuto seguire i suoi interventi soltanto nel resoconto sommario.
Anche se sommariamente tuttavia, non ho faticato a reperire quale linea conduttrice dei suoi interventi, la tendenza a cercare di ridurre il più possibile la funzione giudiziale dell'avvocato, e l'esclusiva che consegue.
Mi spiego: a leggere le sue proposte e i suoi emendamenti, meno attività tipiche dell'avvocato ci sono, meglio è.
Sarà anche così, al fine di agevolare la concorrenza, ma le chiedo in tutta sincerità: pensa che la nostra professione (anche la sua) sia qualcosa di specifico, cioè un mestiere (non voglio dire un'arte) o che debba essere semplicemente inserita nel calderone della prestazione di servizi?
Se pensa sia vera la seconda ipotesi non ho altro da aggiungere; mi chiedo però, perchè uno dei primi testi giuridici sia stato scritto da Hammurabi, collega nostro.
Se invece pensa sia vera la prima, forse gli emendamenti che ha proposto avrebbero dovuto essere maggiormente calibrati.
Accanto a proposte che mirano ad eliminare o correggere evidenti interessi corporativi (ad es. esclusiva nella consulenza stragiudiziale), lei ha anche sollecitato l'eliminazione di qualsiasi esclusiva in attività a dir poco "delicate".
Nella conciliazione o nell'arbitrato, ove il conciliatore assume un ruolo paragiurisdizionale, la conoscenza dell'ordinamento giuridico mi pare essenziale, così come mi pare altrettanto essenziale la conoscenza dei meccanismi processuali.
Altrimenti possiamo consolarci a vedere i risultati odierni (ove l'attività è libera): conciliazione e arbitrato non funzionano, perchè spesso chi è chiamato a pronunciarsi non sa minimamente esporre alle parti le possibili conseguenze.
Allo stesso modo, nei processi davanti alle Authorities, si discute spesso di questioni di alto spessore tecnico (in materia di telecomunicazioni, concorrenza etc..), e lasciare che i procedimenti siano gestiti da persone che non hanno la minima dimestichezza con le fonti del diritto e con la procedura può portare a risultati talvolta comici.
Non è la prima volta, mi creda, che assisto ad affermazioni di consulenti "tecnici", che considerano decreti ministeriali prevalenti sulle leggi perchè più dettagliati, o ad altre amenità del genere.
So bene che non condividerà questa mia posizione e che le parrò corporativo; mi creda però non ho nessun intento del genere.
Con cordiali saluti.
Avv. Marco Mecacci
Mecacci & Mensi Avvocati Associati
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Grazie a Tiziano per la segnalazione di questo articolo che mi sembra davvero ai limiti del sopportabile. Anche a me vengono spesso richieste second opinions e i miei clienti "confessano" di aver messo a verifica la mia impostazione difensiva presso altri colleghi. La cosa non mi procura il minimo disagio, posto che difendo in scienza e coscienza e cerco di porre rimedio ad eventuali errori.
Con il Collega Mecacci ho avuto altre volte motivi di divergenza, ma il suo intervento mi sembra del tutto condivisibile: per contenuti, pacatezza, motivazione, profondita'.
Evidentemente, chi ha saputo presentare la figura dell'avvocato in termini cosi' poco lusinghieri non esercita la professione.
Detto questo, visto che oggi e i prossimi giorni sono per me densi di scadenze e non potrei redigere una nota di "rimostranze" adeguata, posso almeno aggiungere la mia solidarieta' a quanti hanno trovato il tempo di replicare all'articolo pubblicato sul corriere. E se c'e' da sottoscrivere, oltre alla solidarieta', aggiungero' anche il mio nome, non per mania di protagonismo ma per aggiungere – se possibile – forza alle giuste osservazioni svolte dai Colleghi.
Buona prosecuzione
Ho mandato un commento anche al Corriere, sotto all'articolo. Non è ancora apparso perchè i commenti sono moderati. L'ho espresso in termini molto garbati, ma ho riportato come l'articolo di Ichino sia sbagliato in diritto.
Vediamo se me lo pubblicano, se non lo fanno penso che smetterò di leggere e citare il Corriere, perchè una ipotesi di censura nel mondo attuale, che vive di internet e dei blog, non ha assolutamente ragione di esistere.
Cari colleghi condivido i vostri pensieri e problemi.
Il collega Ichino prima di scrivere dovrebbe aggiornarsi … e meditare.
E penso che anche quelli del Corriere prima di dare spazio a personaggi di questo genere dovrebbero rifletterci sopra. E' pur sempre uno dei principali quotidiani italiani, ci si aspetterebbe un po' di serietà nella preparazione e nella scelta delle fonti.
Decisamente offensivo e meriterebbe una risposta a tono.
Beh io credo che un professore universitario di materie giuridiche, per giunta avvocato, che scrive facendo riferimento ad una norma deontologica, materia che dovrebbe conoscere bene sia in quanto legale iscritto all'albo sia in quanto opinionista sui temi relativi, che è stata abrogata otto anni fa, in realtà offenda già direttamente sè stesso.
Per quanto riguarda la generale sfiducia nei confronti della classe forense, a parte quello che dice Alessandro, va detto che se la situazione normativa fosse stata diversa, il problema ci sarebbe stato, tant'è vero che il CNF la disposizione de qua l'ha poi effettivamente eliminata.
Insomma, abbiamo dei problemi veri e gravi, sia noi come avvocati che gli utenti. I migliori esponenti della nostra società però non sembrano in grado di produrre niente di più di un intervento completamente fuori fuoco… Davvero c'è da stare freschi!
Purtroppo la lettura del collega Ichino è quella di un legale iscritto all'albo nel 1975 … e si vede … perché è ancorato alla figura dell'avvocato che lavora per sé stesso e non per i clienti, che predilige allungare le vertenze, invece che conciliarle, che scrive memorie anche solo per copiare e incollare tutto quello che è già stato scritto negli atti introduttivi al solo scopo di poter esporre diritti ed onorari per la prestazione; di chi parcellizza qualsiasi telefonata, qualsiasi e-mail e, talvolta, anche il solo pensiero del cliente …
Tutto ciò NON ESISTE PIU' o quanto meno gli avvocati moderni NON SONO PIU' così come si vorrebbe descriverli … fanno PREVENTIVI, si attengono agli stessi, consigliano il cliente su come spendere meno e come arrivare prima alla soluzione e, nonostante tutto, devono sempre rincorrere per farsi pagare (!!!!) perché, è questa è la triste verità, gli avvocati, pur lavorando in ambito legale NON HANNO ACCESSO ad alcuna banca dati dell'amministrazione pubblica, non possono compiere accertamenti di nessun tipo (se non rivolgendosi a società specializzate a pagamento). Perché gli avvocati non possono avere le stesse prerogative dei notai o dei commercialisti in determinati ambiti per facilitare il loro lavoro e per tutelare i propri clienti?
Quello che dici, Alessandro, potrebbe essere molto vero. Molto spesso, quando si criticano gli altri, si fa in buona parte un ritratto di sè stessi.
E' sicuramente vero poi che la professione è completamente cambiata e che gli avvocati di oggi sui quarant'anni sono molto diversi da quelli di una volta, nel meglio o nel peggio, ma le diversità sono evidenti.