Su questo tema, che non è assolutamente nuovo per chi ci segue, dal momento che ne ho parlato anche nel mio libro e in precedenti interventi, oggi pubblichiamo il decreto della Corte d’Appello di Bologna che ha deciso il reclamo contro il provvedimento del Tribunale di Modena, nel caso della trans Alessandra Bernaroli, di cui abbiamo parlato qui.
La Corte di Bologna ha accolto le richieste del Ministero dell’Interno e, decidendo in senso opposto a quello che aveva previsto il Tribunale di Modena, ha statuito che Alessandra deve considerarsi divorziata a tutti gli effetti, dal momento che, secondo la Corte, la diversità di sesso tra i coniugi è un principio di ordine pubblico, cioè fondamentale, del nostro ordinamento.
Si tratta naturalmente di una decisione molto opinabile, non solo politicamente ma anche dal lato tecnico-giuridico, contro la quale Alessandra credo proprio che farà giustamente ricorso in Cassazione, ragione per cui la questione non è affatto da ritenersi definita.
A me personalmente, e non è una novità, non pare una decisione secondo diritto (lascio il dibattito sull’opportunità o meno di una scelta o l’altra agli altri, ricordo che noi avvocati ragioniamo quasi sempre in base a valutazioni di opportunità ed equità già fatte e consacrate all’interno delle leggi).
Innanzitutto, la questione relativa all’essere sposati o meno è una questione di stato e per poter passare da uno stato all’altro a mio giudizio è assolutamente indispensabile la pronuncia espressa di un giudice; non è ammissibile che un funzionario comunale addetto all’ufficio anagrafe possa avere il potere di dire se due persone debbano o meno considerarsi sposate, tant’è vero che al riguardo si è parlato anche di «divorzio d’ufficio», una cosa cui si era giunti storicamente solo in organizzazioni politiche e statuali di tipo totalitario, dove lo Stato pretendeva di dire la sua anche sulle scelte più personali dei cittadini.
Già questo solo motivo mi pare «assorbente» della questione, ma si possono fare anche ulteriori osservazioni.
Quello che la CdA di Bologna non spiega, in maniera sufficiente, è come mai la legge sul divorzio espressamente consenta appunto il divorzio al coniuge di chi ha ottenuto il cambiamento di sesso, costruendo tutto l’istituto come una mera facoltà del coniuge che ha «subito» il cambiamento di sesso dell’altro, cioè lasciando in sostanza decidere a lui, senza che vi siano riferimenti a eventuali scioglimenti d’ufficio. Per contro, la stessa legge sul cambiamento di sesso non prevede che debba necessariamente essere pronunziato il divorzio, nel momento in cui si autorizza appunto il cambio di sesso.
Infelice appare poi il riferimento all’ordine pubblico con riguardo alla regola per cui i coniugi dovrebbero avere sesso diverso: in realtà, la giurisprudenza nella quasi totalità dei casi ha applicato in Italia disposizioni di Stati, come ad esempio quello spagnolo, in cui è consentito il matrimonio tra persone del medesimo sesso, senza ritenere quindi la diversità di sesso un principio di ordine pubblico, che, come tale, avrebbe dovuto impedire l’applicazione del diritto straniero. Ci sono molti esempi al riguardo, prendiamone uno di cui abbiamo parlato recentemente; per non parlare poi di tutte quelle situazioni, di cui parlo più diffusamente nel mio libro, in cui è stato riconosciuto il risarcimento del danno al convivente di omosessuale rimasto ucciso in incidente stradale (in un caso si trattava di una coppia di Francesi unita da un patto civile di solidarietà, consentito dalla legislazione transalpina).
Rimane sicuramente la contraddizione tra il fatto che nel nostro ordinamento non sia consentito il matrimonio tra persone dello stesso sesso, mentre invece può rimanere valido il matrimonio tra persone originariamente di sesso diverso ma poi giunte ad averne il medesimo; ma questo è un problema che si può risolvere solo riformulando la legge o facendone una nuova, in un senso o nell’altro, nè alla soluzione più «aperta» è di alcun ostacolo la Costituzione che, almeno a mio giudizio, non vieta assolutamente il matrimonio tra persone dello stesso sesso, anzi impone di guardare alla società e di vedere il tipo di famiglia che vi è correntemente diffuso.
4 risposte su “se un coniuge cambia sesso si ha automaticamente anche il divorzio?”
Il motivo per cui, a mio avviso, il termine trans va usato come aggettivo, è quello di evitare il crearsi di una terza ed autonoma categoria di soggetti; quindi donna trans è comunque una donna con una particolare caratteristica, come potrebbero essere altre caratteristiche il fatto di essere alta, intelligente, carina, ecc…
Se invece creiamo la categoria trans, ulteriore e differente rispetto ad uomo e donna (un terzo genere, quindi), ecco che sarebbe più facile farne oggetto di stigma e emarginazione.
Cordiali saluti.
Alessandra Bernaroli
Capito, grazie per avercelo illustrato, è giusto quello che hai detto.
Ho trovato il commento interessante; aggiungo solo due cose:
– la Corte d'Appello ha sì stabilito che l'annotazione sul certificato di matrimonio era ben posta e che il matrimonio same sex in Italia è contrario all'ordine pubblico, ma questo non significa ancora divorzio a tutti gli effetti: sono infatti salvi gli effetti patrimoniali e sulla filiazione, da sistemarsi, eventualmente, con una successiva causa. Questo nella realtà pratica si traduce in un'assurda contraddizione!
– la seconda osservazione riguarda l'uso dei termini: ok trans come abbreviazione (sia di transessuale che di transgender, che però identificano situazioni anche molto differenti); è fondamentale tener presente che il termine trans va usato come aggettivo e non come sostantivo o verbo: quindi donna o persona trans!
Saluti.
Alessandra Bernaroli
1) sì infatti, anche con riferimento alla sentenza di Modena che abbiamo pubblicato subito dopo, non è che si può pronunciare un divorzio sic et simpliciter, bisogna anche determinarne la disciplina
2) va bene ma per quale motivo in realtà?
–?cordialmente,
tiziano solignani, da ? Mac
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