Seguendo questo ottimo intervento del collega Renato Savoia, Non ci sono solo avvocati che scioperano e dicono sempre di no, ritengo giusto dire anch’io la mia sul tema.
Come sapete sono da anni favorevole alle liberalizzazioni, che ritengo una opportunità di stabilire un nuovo «patto sociale» con gli utenti sulla base di regole più chiare e snelle, anche se con diversi svantaggi, ma non esiste, naturalmente, soluzione perfetta. La mia non è una fede, ma molto più modestamente una ragionata e soggettiva convinzione.
In questo contesto, quanto realizzato dal governo con il decreto legge 1/2012 non è un passo avanti per le liberalizzazioni, ma per lo più un pasticcio. Pessima tecnica legislativa, cambio di versioni – probabilmente illegittimo – nel passaggio dal governo alla presidenza della Repubblica, difficilmente comprensibili scelte di politica legislativa. Non era questo che avrebbe dovuto fare il governo. Se l’Unione Europea, il bene comune, chiedono le liberalizzazioni, allora date agli avvocati, ad esempio, la possibilità di assistere i cittadini nelle compravendite, rendendoli in grado di usufruire di più libertà di scelta e creando vera concorrenza. La scelta del governo al riguardo è stata quella di ampliare il numero dei notai, sicuramente meglio di niente, ma nemmeno incisiva come avrebbe potuto essere una vera riforma.
Per quanto riguarda le istituzioni forensi, sono d’accordo con Renato Savoia, quella delle tariffe è una battaglia di retroguardia, assolutamente fuori tempo massimo. Quella di cui al paragrafo precedente sarebbe stata ad esempio una battaglia da fare, ma le nostre istituzioni preferiscono continuare a guardare ad un modello tradizionale di intendere e concepire la professione nel quale nè mi riconosco nè posso onestamente riporre qualche speranza.
Sono quasi 20 anni, ancor prima che conseguissi l’abilitazione all’esercizio della professione, che gli avvocati entrano in agitazione contro le scelte via via poste in essere dal governo. La prima protesta che ricordo fu quella contro l’introduzione dei giudici di pace, che fu efficace solo in minima parte e per un minimo tempo, trascorso il quale la maggior parte dei legali si pentì di averla fatta. Ricordo un collega anziano che lo ammise molto concretamente, e secondo me giustamente, dicendo «Sui giudici di pace eravamo contrari, ma abbiamo sbagliato: tra il dire una cazzata in un anno e il dirla in sei anni, meglio far prima».
Tutte le proteste successive, contro questa o quella riforma del processo civile o penale e, da ultimo, le riforme Bersani (invise anche giustamente per il metodo del decreto legge con cui erano state introdotte) non hanno portato a nessun risultato.
Per questi motivi, mi sono sinceramente stancato di aderire a proteste che vanno contro il mio modo di intendere la professione e che sono organizzate in modo da avere così poca incisività sullo stato delle cose. Sbaglierò, e ci sarà sicuramente più di un collega disposto a dire che sono poco solidale con la mia categoria, ma a me pare di averne esposto le ragioni.
Questo con il pieno e sincero rispetto per tutti quegli avvocati che invece aderiranno alle agitazioni che, per quel poco che ho visto, si portano in perfetta buona fede nel fare questo, ritenendo valide quelle battaglie in cui io non credo più. Quei colleghi meritano il più pieno rispetto, perchè non è vero che fanno questo per ragioni corporative, come qualcuno a volte senza ragione suggerisce (ditemi un privilegio, uno solo, di cui godono gli avvocati oggigiorno) ma sempre per l’interesse della giustizia e del cittadino, la differenza è che loro credono che questi beni si debbano tutelare in modo diverso da quello che penso io.