
La mediazione familiare è una cosa piuttosto diversa da quella civile e commerciale introdotta con il D. Lgs. n. 28/2010.
La diversità risiede nel fatto che mentre la seconda interviene nel campo dei diritti «suscettibili di valutazione economica» e, pertanto, lasciati alla disponibilità delle parti con lo strumento per lo più del contratto, la prima riguarda una diversa categoria di posizioni giuridiche, gli obblighi e diritti di famiglia, che sono per lo più indisponibili.
Su tali posizioni di natura familiare, le parti infatti non possono intervenire con gli strumenti tipici dell’autonomia privata, tra cui appunto principalmente il contratto, per cui lo scopo finale del procedimento non è più, come nella mediazione civile e commerciale, la stipulazione di un atto di transazione o conciliazione, ma la sottoscrizione comune di una proposta che dovrà poi essere controllata ed approvata da un magistrato per acquistare efficacia.
Si può dire che la mediazione civile è uno strumento di risoluzione alternativa delle controversie, mentre la mediazione familiare è un aiuto alla consensualizzazione delle vertenze familiari e, di riflesso, anche alla genitorialità.
La legge italiana si occupa della mediazione familiare all’art. 155 sexies, comma 2°, cod. civ., introdotto con la «famosa» legge 54/2006, secondo cui «Qualora ne ravvisi l’opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’articolo 155 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale di figli».
Si tratta di una disposizione dal contenuto precettivo sostanzialmente nullo, dal momento che richiede, affinchè venga svolta la mediazione, che tutti i soggetti coinvolti – entrambi i genitori più il magistrato che ha in carico il caso – siano concordi sull’opportunità di questo percorso, essendo sufficiente il dissenso di anche solo uno di loro perchè la mediazione non possa essere programmata. Il valore di questa disposizione, se non precettivo, è quello di manifestare il favore legislativo verso la pratica della mediazione e di essere, in sostanza, un consiglio a praticarla sia per gli operatori che per gli utenti.
Del resto, secondo gli esperti della materia della mediazione familiare, la mediazione, per essere efficace, non può mai essere imposta, ma deve essere richiesta o quantomeno accettata di buon grado da tutte le persone coinvolte.
Chi pratica il diritto di famiglia tuttavia non di rado si trova di fronte, specie nelle sedi d’urgenza, a provvedimenti di magistrati che prescrivono agli ex partners di «iniziare immediatamente un percorso di mediazione familiare».
Si tratta di provvedimenti illegittimi, alla luce del chiaro disposto dell’art. 155 sexies, ma che vanno qualche volta apprezzati per la buona volontà del magistrato di indirizzare alla mediazione le coppie in cui uno o entrambi i membri sono recalcitranti.
Diciamo «qualche volta» perchè appunto chi poi raccoglie l’invito del giudice – perchè di mero invito si tratta, essendo privo in caso di inosservanza di qualsiasi sanzione diretta – e inizia il percorso di mediazione, non sempre, anzi nella minor parte dei casi, ne riceve un beneficio, proprio per il concetto sopra cennato per cui la mediazione, in teoria, dovrebbe partire da una adesione minima al percorso.
A volte questi inviti sono meno apprezzabili, come nel caso, che mi è capitato di seguire, in cui un giudice ha tenuto in riserva i provvedimenti urgenti per tre anni, per poi emanarli prescrivendo che i genitori iniziassero «immediatamente» un percorso di mediazione; è chiaro che se vi fosse stata urgenza, come c’era, la mediazione avrebbe dovuto essere indicata subito – bastava, per questo, una riga a verbale prima di riservarsi sul resto – mentre mandare in mediazione una famiglia che per tre anni è stata lasciata a sè stessa è cosa priva di qualsiasi senso, anche alla luce del classico detto «meglio tardi che mai».
Proprio per la non sanzionabilità di queste prescrizioni, a volte qualche giudice, forse un po’ troppo zelante, scrive espressamente nel provvedimento in cui prescrive la strada della mediazione che se i genitori non vi daranno seguito verrà valutato l’affidamento dei figli ai servizi sociali.
I giuristi sanno che questo tipo di affidamento non è in realtà nè un affidamento nè un affido in senso tecnico, continuando, anche dopo la sua adozione, la prole a stare in famiglia ed essendoci solo alcune prescrizioni da parte dei servizi cui ottemperare ed alcuni colloqui periodici da sostenere, almeno nella quasi totalità dei casi. Ma per le persone comuni la cosa funziona come uno «spauracchio», che a volte è considerato utile per determinare a fare il percorso di mediazione.
Naturalmente, provvedimenti come questi lasciano sempre un po’ perplessi, per tutto quanto già richiamato poco fa, ed in effetti nella pratica i risultati non sono sempre positivi, anche se in qualche caso bisogna ammettere che qualche progresso si verifica.
In conclusione, come al solito, la mediazione familiare potrà trovare diffusione solo se ci sarà il solito e auspicato cambiamento culturale, mentre a livello legislativo probabilmente si potrà fare poco altro, e questo cambiamento dovrà partire credo dagli avvocati, che sono il primo contatto delle persone la cui famiglia è in crisi con il mondo della giurisdizione.
Da questo punto di vista, si potrebbe sfruttare l’impianto della formazione continua per tentare di diffondere di più presso gli avvocati che si occupano di diritto di famiglia la cultura della mediazione.
2 risposte su “Come diffondere la cultura e la pratica della mediazione familiare.”
Sono perfettamente d’accordo. Purtroppo ancora si assiste all’azione scellerata di alcuni avvocati che, pur di “spillare soldi” al proprio cliente, non consigliano la mediazione familiare ma aizzano il cliente proponendo atti, opposizioni, ricorsi totalmente infondati.
Questo non fa altro che inasprire il rapporto gia’ logorato tra la coppia e a rimetterci sono soltanto i figli. Credo che ogni avvocati debba formarsi diventando mediatore familiare e che ogni atto giudiziario infondato debba essere fortemente impedito magari facendo pagare le spese e non concludendo ogni sentenza con la compensazione delle spese pur quando si ha torto! Avvocati abbiate un minimo di professionalita’, non distruggete famiglie che potrebbero salvarsi con un semplice percorso di mediazione familiare. Ci avete mai pensato che un cliente che vedra’ salvata la propria famiglia grazie alla vostra opera potra’ portarvi almeno altri 10 clienti???? Fatevi due conti se non basta la coscienza a guidarvi!
Hai detto tante cose tutte giuste, sono davvero tanto d’accordo. C’è solo da aggiungere che purtroppo molti avvocati non hanno ancora capito bene che cos’è la mediazione familiare e la rifiutano più per ignoranza che per intenti speculativi, almeno queste sono le difficoltà che spesso incontro quando la propongo.