Un testo che spiega perfettamente cosa intendo quando dico che il problema dell’uomo contemporaneo é la mentalizzazione.
Che l’uomo, se vuole star bene, deve fare un cambio, deve passare dal «pensare» e dall’«agire» – che sono vere e proprie ossessioni della nostra epoca, insieme alla modalità della velocità, perché pensiero e azione devono essere soprattutto rapidi, a scapito della qualità – al «sentire», che é invece la vera dimensione dell’anima e della vita.
Bisogna scendere al cuore, uno degli strumenti più efficaci, dopo l’assunzione delle necessarie consapevolezze, é la meditazione vipassana o mindfulness.
Ma anche la preghiera va benissimo.
Un abbraccio, col cuore.
«Avete notato quanto è monca, sbilanciata la crescita dell’uomo? Egli ha raffinato il cervello perdendo l’eleganza della semplicità; ha perso la capacità di guardare le cose senza nessun movente, con innocenza, senza trasformare l’atto e l’oggetto di osservazione in un mezzo volto a un fine.
L’uomo vive in uno stato più o meno nevrotico.
Le nostre risposte sono inibite, le nostre percezioni condizionate. Non c’è alcuna spontaneità nella vita. Soltanto un processo meccanico di reazione in conformità con il condizionamento, la tradizione, le ambizioni, i movimenti personali e così via.
L’eleganza, la bellezza della semplicità e dell’innocenza sono perse per l’uomo. Non è facile quello stato di osservazione in cui non facciamo qualcosa, in cui non siamo attivi, né inattivi, in cui non stiamo oziando e nemmeno non facendo; in cui l’attività mentale dualistica è tenuta in acquiescenza e resta attiva soltanto l’osservazione, né colui che fa, né colui che esperisce.
Bisogna impararlo, perché, non appena ci poniamo nello stato di osservazione, riemerge la vecchia abitudine dell’introspezione, della valutazione.
In una frazione di secondo lo stato di osservazione può andar perduto: allora diventiamo il giudice, colui che fa, colui che esperisce. Avete mai notato le resistenze agli eventi della vita?
L’emozione crea una resistenza, una divisione. Noi vogliamo
interpretare l’evento, identificarlo, riconoscerlo, valutarlo, dargli un’etichetta e collocarlo nella memoria sotto qualche categoria, in modo che tale esperienza ci sia utile per un’ulteriore interpretazione degli eventi.
Desideriamo avere una difesa, e le esperienze sono parte del meccanismo di difesa, così come lo è la conoscenza.
Vogliamo coltivare le resistenze, acquisire risposte sotto forma di esperienza, immagazzinarle nella memoria, cosicché si possa aprire il cassetto o lo schedario della memoria, riferirsi a esso ogni qualvolta ci sia una sfida e tirar fuori la risposta condizionata.
Abbiamo paura di essere esposti alla vita, di vivere in uno stato di innocenza, di assoluta, incondizionata vulnerabilità al nudo tocco della vita così com’è.
Bisogna educarsi di giorno in giorno.
Occorre crescere verso la vulnerabilità, la tenerezza, la duttilità della meditazione e allora soltanto l’uomo sarà degno del proprio nome.»(Vimala Thakar – da “Essere esposti alla vita”)