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Sanzione amministrativa codice stradale: accertamento e contestazione.

Chi non ha mai ricevuto una contestazione per un’infrazione al codice della strada?

Diciamocelo francamente: si tratta di una circostanza assai fastidiosa che costringe a fare i conti con la scelta tra il presentare ricorso (ritenendolo fattibile) oppure ingoiare il rospo e pagare per togliersi dall’impiccio.

Come ben sai, potrebbe capitare di ricevere questa contestazione successivamente al momento in cui si è concretizzata la (presunta) infrazione.

Ebbene, questa “asimmetria” di momenti procedurali è sufficiente ad innescare un problema: cioè quello di capire il metodo di calcolo dei novanta giorni a disposizione degli organi accertatori per poter contestare validamente l’accertamento.

In primo luogo dobbiamo domandarci: che cos’è l’accertamento dell’illecito?

Dunque, esso non è altro che la conclusione delle indagini e delle valutazioni che necessariamente la P.A. deve espletare per appurare l’illecito stesso: pertanto non coinciderà mai con il momento in cui acquisisce i primi elementi del fatto che si appresta a contestare o lo percepisce nel suo verificarsi.

La contestazione dell’illecito si riferisce invece al momento in cui essa viene rimessa all’interessato: ora su questo punto diciamo che la contestazione una volta accertata va contestata immediatamente, oppure entro 90 giorni dall’accertamento, che potrebbero diventare 360 se l’interessato si dovesse trovare all’estero.

Viene quindi spontanea l’altra domanda: come si calcola il termine di 90 giorni?

E’ semplice: dal momento in cui l’amministrazione che ha svolto l’accertamento ha consegnato il plico da notificare alla posta oppure all’ufficiale giudiziario.

In definitiva: tante volte la gestione della multa può essere del tutto autonoma e non richiede affatto la collaborazione di un legale… ma quante volte capita che la sanzione sia legata ad eventi particolari come sinistri stradali complessi dove le persone rimangono ferite o la stessa ricostruzione della dinamica dell’accadimento è difficoltosa? Sono casi questi dove certamente l’ausilio di un avvocato potrà dare quegli imput in più per cercare di ridurre al minimo gli effetti pregiudizievoli della spiacevole contestazione.

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Ricorso alla Corte Europea Diritti dell’Uomo: occorre un avvocato?

Quante volte avrai sentito parlare del ricorso alla Cedu e ti sarai chiesto come fare, a chi rivolgersi, se ne vale la pena, quanto tempo dovrai aspettare, quanto costa….

Beh, sicuramente sono tutte domande più che lecite e ti posso dire subito che sul web puoi trovare centinaia di risorse utili per acquisire almeno le informazioni di prima mano, quelle che possono aiutare ad infarinarsi un pò.

Certo è che, a mio avviso, si tratta di un procedimento dove l’avvocato gioca un ruolo centrale: curiosamente nelle prime fasi si può anche farne a meno, ma ritengo che il tecnicismo che caratterizza questo ricorso sia il motivo principale per cui mi sento di consigliare l’affidamento del dossier da subito ad un tecnico esperto.

Perchè questo? è semplice: basta dare un’occhiata al modello di ricorso che la stessa Corte mette a disposizione sulla rete per rendersi conto che bisogna prestare la massima attenzione ai dettagli.

Ovviamente tutti possono (o potrebbero) da soli compilare il c.d. “formulario”, ma certe sfumature soprattutto in diritto le può cogliere solo un avvocato che si dedichi costantemente alla specifica materia:  è quell’accorgimento che contribuisce ad elevare significativamente le possibilità di riuscita di tutta l’operazione.

Primo consiglio quindi: farsi affiancare dal difensore.

Sappi poi che la Corte EDU non vuole saperne di ricorsi incompleti; in buona sostanza se vedi come è strutturato il formulario ( http://www.echr.coe.int/Documents/Application_Form_2014_1_ITA.pdf ) potrai subito percepire che si tratta di un documento avente un valore giuridico ben preciso, tant’è che l’Organo sovranazionale lo dice espressamente nel preambolo, con una sorta di ammonimento.

Il formulario dovrà essere compilato in ogni sua parte, meticolosamente: si tratta di un accorgimento essenzialmente tecnico che serve alla Corte per avere sott’occhio tutto l’insieme degli argomenti rilevanti per il ricorrente.

Da sapere: la Corte EDU non rilascia consigli tecnico giuridici a chi li dovesse eventualmente chiedere prima di compilare il formulario; è vero però che mette a disposizione della vasta platea di possibili ricorrenti europei istruzioni e guide in varie lingue, tutte facilmente reperibili on line (altro motivo che indirettamente segnala l’importanza di avere a fianco l’avvocato angelo custode).

Nella mia esperienza posso dire che spesso mi sono imbattuto in richieste di assistenza giunte a studio….all’ultimo minuto: inutile dire che si tratta dell’approccio errato e che sconsiglio fortemente, non tanto per il fatto che questo ricorso può essere presentato non oltre sei mesi dall’ultima decisione definitiva nazionale (diventeranno quattro), ma perché tutta la procedura richiede calma e pazienza, meticolosità, precisione, conoscenza approfondita della Convenzione e tanto altro….

Lo studio e la preparazione per tempo del ricorso alla Corte Edu saranno quindi una garanzia per chi ricorre: se questa condizione verrà soddisfatta, allora potremo dire che varrà la pena presentarlo.

Vuoi sapere quanto ti può costare un ricorso CEDU con l’assistenza di un avvocato? Sei preoccupato per i costi?

Tranquillo, è molto semplice: con il difensore che avrai scelto perché ti ispira fiducia potrai metterti sempre d’accordo sul “come” e sul “quanto”.

Ad ogni modo se tu volessi avere qualche altro riferimento normativo o sui parametri forensi nel caso tu non abbia concordato i compensi prima di formalizzare l’incarico, vai su www.cnf.it che è l’Organo istituzionale dell’avvocatura italiana, poi via sulla voce “avvocati”, quindi sulla voce “parametri”, infine clicca su “decreto 55/14” e leggi i valori riportati dalla tabella 14.

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Pistola per difesa personale: si può sempre riavere?

Ti interessa l’argomento delle armi e del porto di pistola per difesa personale?

Se la risposta è affermativa, sono qui per condividere con te alcuni temi sui quali ancora sento molte domande.

Ti dico questo anche perché a studio arrivano richieste del tipo: come posso fare per avere il porto d’armi? Lo riavrò? Ma con il lavoro che faccio io si può avere la pistola?

In Italia, ed è un fatto abbastanza risaputo, circola un certo scetticismo (per me solo in parte giustificato) riguardo alle possibilità concrete di avere il porto d’armi e poi, successivamente, di riaverlo attraverso la c.d. domanda di rinnovo per l’autorizzazione prefettizia per il porto di pistola ad uso difesa personale.

Lo sappiamo: il Prefetto, nella sua autonomia e facendo uso della discrezionalità che la legge gli accorda, potrebbe benissimo respingere un’istanza di rinnovo semplicemente dicendo che non emerge una tua esposizione a rischio concreto, ne risulta evidente un sensato pericolo per l’incolumità rispetto al tuo lavoro (magari sei un panificatore).

Ora, di fronte ad una posizione così rigida dell’amministrazione, che cosa puoi fare?

Beh, la prima cosa che posso consigliarti è mettere in evidenza tutti i presupposti giustificativi per un favorevole apprezzamento dell’istanza: ad esempio facendo leva sul fatto che tutti i giorni ti ritrovi a gestire in entrata e in uscita considerevoli somme di denaro visto il lavoro che svolgi, oppure che percorri tutti i giorni con i soldi una certa strada anche di notte, oppure che qualche anno prima hai pure subito un tentato omicidio a causa di rapina, o ancora che purtroppo il tuo lavoro si svolge in un contesto sociale caratterizzato dalla presenza comprovata di criminali, eccetera…

Con ogni probabilità, utilizzando questi argomenti in pratica, vedrai che il tribunale amministrativo al quale ti rivolgerai saprà valorizzarli nel giusto modo, dando significato agli episodi passati che avevano giustificato il tuo porto dell’arma: penso alla situazione seria della rapina…in ogni caso collegata all’ambiente lavorativo, ma anche a tutte le altre vicende specifiche.

Questa considerazione mi permette di dirti in definitiva che basta un episodio passato, dove è emersa la situazione di pericolo oggettivo, a dare significato ed un preciso valore sintomatico a quella circostanza; in pratica devi considerare la situazione di oggettivo e latente pericolo che corri praticamente tutti i giorni con il tuo lavoro, se è rischioso: nel caso ti sembra che questa situazione non sia stata ben compresa dal Prefetto, allora rivolgiti con fiducia all’avvocato e presenta il tuo dossier in tribunale.

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Armi in casa: come custodirle.

Oggi come oggi parlare di armi e, soprattutto, della possibilità di avere armi in casa, è assai frequente e potresti aver notato che in molti siti web si possono trovare post dove si discute di questo argomento.

Quello che trovo importante e che ritengo possa essere un’utile per la corretta gestione dell’arma in casa, è esaminare la questione della custodia.

Si perché custodire l’arma nel modo corretto e, soprattutto, normativamente previsto, equivale a porre in atto una serie di condotte idonee a proteggere la salute e lo stesso diritto alla vita delle persone.

Penso istintivamente alla presenza di bambini in una casa dove sono custodite armi; devo dire -per fortuna- che la stragrande maggioranza delle persone conosce le regole per poterle custodire correttamente, cioè in assenza di pericoli per gli utilizzatori degli ambienti.

Ogni tanto capita però, per l’avvocato, di imbattersi un qualche vicenda spiacevole, frutto della disattenzione e della negligenza di alcuni.

Non sto qui a fare il commento della sentenza da dove prendo spunto per estrapolare il concetto, ma mi limito semplicemente a ricordarne in estrema sintesi il contenuto e a condividerlo con voi.

In breve: i Giudici hanno avuto modo di focalizzarsi sulla questione dell’omessa custodia: nella fattispecie un ragazzo riesce ad impossessarsi di un fucile presente in casa e a far fuoco, accidentalmente, colpendo e ferendo mortalmente un altro giovane presente, il tutto nella momentanea assenza dei genitori.

Come mai è stato possibile arrivare a questo tragico epilogo?

Ebbene, i genitori del giovane, accusati di aver cooperato nell’omicidio, per una grave trascuratezza hanno consentito ai bambini di giocare nello stesso ambiente di deposito e custodia dell’arma, hanno dimenticato di rendere inaccessibile il mobile/ripostiglio, hanno infine permesso a terzi (e quindi al minore) di entrare in possesso delle chiavi dell’armadietto di custodia.

Qual’è quindi, in definitiva, l’insegnamento utile che traspare dalla vicenda e la regola da non dimenticare mai?

E’ semplice: prevenire, ossia abolire qualsiasi pericolo domestico nascente dall’impropria gestione e custodia delle armi, riflettendo a fondo sulle cautele richieste per governare con efficienza l’uso lecito delle armi.

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Procedimento disciplinare militare e risarcimento danni.

Se sei un militare, potresti esserti trovato a ragionare e discutere con i tuoi colleghi di procedimenti disciplinari oppure, in modo più specifico, delle conseguenze di un procedimento di questo tipo sulla carriera.

Si tratta, come sai, di argomenti complessi e delicati, rispetto ai quali gli interrogativi sono molti.

Potrebbe interessarti qualche piccolo consiglio sul corretto modo di leggere ed interpretare queste situazioni?

Se la risposta è si, sono qui a tua disposizione.

Sappi che spesso nell’ambiente militare ci si chiede come reagire, cosa scrivere nelle memorie difensive e come fronteggiare un’eventuale iniziativa disciplinare.

Ti dico che è una materia chiara a pochi e oscura a tanti, ma che si fa un po’ spinosa e pertanto merita un piccolo approfondimento quando si tocca il campo dei procedimenti ingiusti, ossia di quei procedimenti che, esaurito il loro percorso, mettono in luce i presupposti erronei sui quali sono stati purtroppo improntati.

Ebbene, in un caso come questo, esiste o no la possibilità di intentare una causa per risarcimento danni nei confronti dell’amministrazione militare, una volta appurata la sostanziale ingiustizia di quel procedimento disciplinare?

Pur essendo difficile dare la cosiddetta risposta sicura, posso ragionevolmente dirti si nel caso in cui quel militare si sia trovato a subire un vero e proprio accanimento, attraverso azioni gravi, lesive, ingiustificate, sproporzionate e ripetute nel tempo.

In effetti, a pensarci, l’Amministrazione militare, pur caratterizzata da una sua “specialità”, è pur sempre un’amministrazione come altre ne esistono nel nostro Ordinamento e, nell’ottica del rapporto di dipendenza con il militare, rappresenta niente altro che il “datore di lavoro”.

Ora, nel gioco delle parti, sai che se il datore maltratta ingiustamente e ripetutamente il suo dipendente “in divisa”, arrecandogli danni che possono essere documentati, con ogni probabilità potrà essere chiamato a risponderne davanti un giudice.

A conclusione del ragionamento iniziale, l’operazione che puoi fare è semplice: suggerire  alla “vittima” di informarsi ed eventualmente attrezzarsi e difendersi con coraggio e determinazione, certamente con l’aiuto di un avvocato di sua fiducia, meglio se specializzato o appassionato della materia.

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Mobbing sul posto di lavoro: come impostare la causa?

Chissà quante volte avrai sentito parlare di mobbing e, quindi, di emarginazione del dipendente in ambiente lavorativo.

Bene, si dicono tante cose in giro sul mobbing e sulla possibilità di riuscire a dimostrarlo in causa.

Quello che ti posso dire, per esperienza, è che discutere sullo spinoso argomento è interessante ed utile ma, nell’applicazione pratica, cioè in giudizio, bisogna darsi da fare per costruire un’impalcatura probatoria robusta se vuoi avere una possibilità di riuscita.

Per caso ( …. ritenendoti vittima di una persecuzione sul posto di lavoro magari perpetrata a tuo danno da un superiore …. ) stavi pensando di avviare una causa per mobbing e mettere finalmente in luce tutte le angherie che hai dovuto subire nel tempo?

Hai però delle perplessità su come iniziare, cosa scrivere, come e cosa dimostrare, quanto devi spendere?

Non ti preoccupare, ci sono qui io a darti alcuni semplici ma essenziali consigli che, ne sono certo, ti potranno guidare nel prendere una decisione.

Non sto qui a ripercorrere le varie analisi giuridiche presenti sul web: è mia intenzione solo illuminare il tuo desiderato percorso di giustizia illustrandoti solo alcuni punti decisivi per riuscire ad ottenere una pronuncia (si spera) favorevole dal Magistrato.

Se pensi al mobbing ti stai rappresentando una condotta persecutoria avviata e mantenuta da un preposto sul posto di lavoro nel corso di un discreto lasso temporale e avente lo scopo esplicito o, comunque, percepibile, di emarginarti come dipendente.

Comprenderai quindi che si sta parlando non di singoli atti, ma della ripetizione di tante azioni e condotte che non devono avere per forza una connotazione penalmente rilevante.

Sono tutti atteggiamenti, comunque, che tu hai sicuramente percepito come ostili nei tuoi riguardi, che ti hanno addirittura mortificato ed isolato in quello che prima era il tuo fisiologico ambiente lavorativo.

Ora, non basta che tu descriva nell’atto introduttivo del giudizio la cronologia degli eventi mobizzanti: quello che serve veramente è la prova di quanto affermi.

Se sarai capace di vincere questa “resistenza” avrai successo nell’azione, altrimenti no.

Sappi che il Tribunale valuterà in dettaglio gli episodi che tu avrai narrato e rappresentato come lesivi ed ingiusti, inoltre verificherà l’esistenza del nesso tra fatti ed eventi lesivi.

Ti dovrai pertanto concentrare su “che cosa dimostrare”; a tal proposito gli spunti che intendo offrirti sono quindi questi: 1) impegnati a spiegare e dimostrare che l’azione mobizzante contro di te è stata ripetuta, sistematica ed ha avuto una notevole durata, 2) spiega inoltre chiaramente e dimostralo, quali sono state le caratteristiche oggettive della persecuzione, infine 3) come sei stato concretamente discriminato.

Vedrai che, seguendo questi piccoli consigli, ovviamente sviluppati con l’aiuto e l’assistenza di un difensore esperto in materia, affronterai la causa con ampio margine di riuscita.