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Aggregatore: perché usarlo è oggi molto utile.

 

Perché un aggregatore.

Ti piacerebbe poter seguire tutto quello che ti interessa di internet – tra siti, account social, pagine, microblog, gruppi, video di YouTube e altro ancora – dentro ad un’unica pagina o applicazione?

Giornali

Allora continua a leggere.

Sai che sono da anni un convinto utilizzatore dei
feed, che sono un primo modo per aggregare informazioni, per poter leggere tutto quello che di interessante viene man mano pubblicato su internet.

È una cosa abbastanza complessa, peraltro, per uno come me che ha molti interessi, anche molto eterogenei tra loro, spaziando dal diritto, al
fitness, alla naturopatia, alla filosofia, ai linguaggi di
programmazione e così via. Ma anche per la eterogeneità delle fonti all’interno della stessa rete internet: non ci sono infatti solo i blog, ma anche i social network, ognuno con una propria struttura e
diverse modalità di funzionamento, i gruppi, i subreddit, come vedrai tra poco, i video e così via.

Per gestire tutte queste «fonti», si può usare un aggregatore, un servizio o software che mette insieme e raccoglie in un unico posto tutte le notizie che gli dici che ti interessano.

Pensa dunque all’aggregatore come ad un grande raccoglitore, una specie di «rassegna stampa», dove puoi andare a leggere i titoli di tutto quello che è stato pubblicato, per poi andare ad aprire, quindi
leggere, infine eventualmente condividere e addirittura conservare, i contenuti che più ti interessano

Dall’applicazione che si usa per leggere i feed, puoi infatti anche salvare il contenuto che più ti interessa, in modo da essere sicuro di non perderlo più, ad esempio dentro dropbox, o google drive, in formato
PDF.

Se vuoi dare un’occhiata per capire un po’ meglio come funzionano i feed, e magari fare qualche prova, dai un’occhiata a questa guida che ho scritto qualche tempo fa per il blog.

FOMO

FOMO è acronimo di fear of missing out. È la paura di perdersi qualcosa, quel sentimento irrazionale che sarà capitato anche a te di provare qualche volte e che viene sfruttato dalle piattaforme che gestiscono i social network per tenerti «attaccato» al social e quanto più tempo possibile dentro la loro applicazione, in modo da poter mostrare le loro inserzioni pubblicitarie.

Ti è capitato ad esempio a volte di sentirti «stanco», senza nemmeno sapere bene perché, dopo una sessione di scrolling su facebook, ma di non riuscire a staccare per una sorta di curiosità di fondo inestinguibile?

Questo è poco funzionale per il tuo stato emotivo, perché – qui parlo da counselor – quando lasci scavallare libera la tua attenzione, dopo poco, massimo un quarto d’ora, di ritrovi più angosciato, preoccupato, stanco, intimorito; viceversa, quando resti focalizzato, dopo alcuni minuti ti ritrovi più sereno, felice, centrato.

Usare un aggregatore può essere utile per rimediare alla sensazione di «perdere» qualche contenuto tramite un tipo diverso di lettura, più focalizzata e consapevole.  

Inoreader è il mio aggregatore.

Chiusa questa necessaria premessa, vengo al reale argomento di oggi che è il mio passaggio da feedly, di cui pure ero utente pro da alcuni anni, a Inoreader, un aggregatore a mio modo di vedere molto più avanzato di feedly, che pur essendosi rinnovato recentemente non riesce a fornire un servizio davvero completo ed usabile come inoreader.

Inoreader dunque non è solo un lettore di feed, ma un vero e proprio «aggregatore» di fonti diverse, tra cui ad esempio elementi che provengono dai social network, da siti come youtube e così via.

Con inoreader, non si possono quindi aggregare solo i classici feed, ma anche altre sorgenti di dati come ad esempio pagine facebook, account twitter, canali youtube.

Grazie a queste caratteristiche, inoreader non è solo un semplice lettore di feed, ma è un aggregatore di livello più avanzato dal momento che consente di tenere insieme diversi tipi di contenuti anche al di
fuori e a prescindere dalla disponibilità di un feed rss.

Personalmente trovo molto comode se non addirittura fondamentali queste funzionalità di inoreader dal momento che mi consente di seguire anche le fonti meno robuste come le pagine facebook o gli account twitter con più continuità e all’interno di un solo programma.

Cosa si può aggregare e seguire con Inoreader

Seguire pagine facebook.

Perché è importante seguire pagine facebook con un aggregatore? Non si potrebbero seguire semplicemente usando facebook o la relativa
applicazione?

In realtà, seguire le pagine con un aggregatore di feed è molto diverso che farlo direttamente su facebook.

In questo secondo caso, infatti, si è destinati a vedere solamente due o tre post ogni dieci che vengono pubblicati.

È facebook che decide cosa farti vedere delle pagine cui sei iscritto! Inoltre dipende dal momento in cui ti colleghi, da quando ti colleghi e così via.

Invece con un aggregatore non si perde neanche un aggiornamento, perché vengono tutti ordinati e affastellati pronti per essere sfogliati e, se ritenuti interessanti, aperti e visualizzati completamente. O addirittura archiviati, in PDF, dentro OneNote (come
faccio io) o altro, per eventuale futura consultazione.

Per poter usare le pagine di facebook come fonti di notizie, bisogna collegare inoreader a facebook. Non si può fare dall’applicazione mobile, bisogna per forza farlo dall’interfaccia web aperta in un
computer desktop – io ho ovviamente usato il Mac.

Una volta fatto il collegamento, per inserire una pagina facebook tra le fonti di notizie di Inoreader è sufficiente copiare e incollare l’indirizzo della pagina dentro alla casella di ricerca dei nuovi feed di Inoreader.

Questo mi consente di seguire finalmente alcune pagine che purtroppo dentro a facebook non riuscivo appunto a seguire decentemente, perdendomi molti contenuti e soprattutto non potendoli condividere
adeguatamente, come faccio sempre quando trovo qualcosa che mi piace.

Purtroppo, non è ancora possibile seguire dei profili personali tramite Inoreader, solo pagine.

Twitter.

Si può anche collegare l’account twitter. Questo consente di seguire alcuni autori, liste e persino ricerche. Anche questa funzionalità mi piace molto, ci sono alcuni autori di cui voglio avere la sicurezza di non perdermi alcun aggiornamento e così finalmente posso farlo…

Anche qui, infatti, vale lo stesso discorso visto per facebook. Se usi twitter, all’interno della caotica timeline generale, rischi di perderti gli aggiornamenti degli autori che ti piacciono di più. Con Inoreader,
invece, ti trovi tutti gli aggiornamenti ordinati e affastellati, pronti per essere letti.

Canali YouTube

Una cosa poiché mi piace molto è poter aggregare anche i canali di YouTube. I video infatti sono una cosa molto pesante nella mia strategia
di lettura perché richiedono un ambiente in cui poter diffondere un audio o in alternativa l’utilizzo delle cuffie e comunque un’attenzione
più focalizzata per alcuni minuti, a differenza delle cose che si leggono e basta come i testi scritti.

Ricevere dunque i nuovi video tramite mail, o ancora peggio tramite notifica, a me non piace, mi piace trovarli tutti bene allineati in fila uno dopo l’altro dentro ad inoreader, in maniera da poterli guardare
quando ho tempo e sono nell’ambiente giusto per farlo.

Trucchetti per YouTube

Si possono anche importare tutte le sottoscrizioni di YouTube in Ino una volta per tutte
Just go here:
https://www.youtube.com/subscription_manager?action_takeout=1 and save
the subscription_manager.xml file somewhere (it may ask you to log into your Google account before giving you the file).In Inoreader click the cog icon -> Preferences -> Import/Export and in
the “OPML import” section click “Choose file” and select the “subscription_manager.xml” you downloaded earlier. Then click the
Import button.

Spedire roba via mail a InoReader.

Un’altra funzione che mi piace moltissimo di Inoreader è che puoi mandargli dei contenuti anche via mail, lui li infilerà sotto una «tag» dove poi li ritroverai dentro a Inoreader stesso.

In sostanza, Inoreader espande il concetto di «aggregatore», che è la funzionalità per cui erano stati sviluppati originariamente questo tipo
di programmi, chiamati appunto aggregatori, solo che appunto in origine erano limitati ai siti web – che del resto all’epoca erano le fonti principali. Attualmente, può capitare di avere contenuto interessante preso dai social, magari da un profilo personale facebook e non una pagina, oppure anche semplicemente da una mail o da un sito al quale non ci ci vuole iscrivere e di cui si vuole fare copia e incolla di un singolo articolo.

In questi casi, si può mandare il contenuto tramite mail a Inoreader.

Dentro a Inoreader, puoi creare delle «tag» – ad esempio benessere, informatica, counseling, diritto, ecc… Per ognuna di queste tag, Inoreader rende disponibile un indirizzo email segreto che, dopo
averlo inserito nella propria rubrica, si può usare per inviargli il contenuto che si vuole leggere più tardi ed eventualmente conservare, appunto spedendovelo via mail.

Subreddit

Reddit è una piattaforma dove si trovano sempre contenuti interessanti.
È suddivisa in subreddit, dedicati ciascuno ad un determinato argomento. A me ricordano i gruppi della vecchia usenet, ma personalmente li trovo molto più utili.

Con Ino, si possono aggregare anche i subreddit. Se trovi un ottimo subreddit in cui le persone condividono contenuti intorno all’argomento
di tuo interesse, sei fortunato perché puoi semplicemente copiare l’URL e incollarlo su Inoreader, che genererà automaticamente un feed RSS per quel subreddit.

Le regole o filtri.

Un’ulteriore funzionalità molto interessante di questo aggregatore sono le regole, con cui ad esempio si possono filtrare le fonti di notizie, anche semplicemente per ricevere una notifica quando una delle fonti che si seguono pubblica un contenuto che menziona un certo argomento…

Io ad esempio ho impostato una regola per ricevere una notifica ogni volta che uno dei blog o altre fonti di notizie che seguo pubblica qualcosa sul mio telefono, il Samsung Note.

Salvare pagine web.

Puoi anche salvare pagine web mentre stai navigando in InoReader. Dopo le ritrovi in una apposita sezione chiamate Library. Anche da cellulare.

Quindi inoreader non funziona solo come aggregatore automatico di contenuti, ma anche come servizio del genere «read it later» come
pocket, instapaper ed altri.

Praticamente, dunque, mentre stai navigando sul web se incontri una pagina che ti interessa e che vuoi leggere all’interno di inoreader, che rappresenta magari il tuo punto centrale per la tua reading strategy, cioè il posto dove vai a leggere, quando hai tempo, tutte le cose che ti interessano, se trovi qualcosa che ti interessa, dicevo, la puoi mandare
ad Inoreader o con la condivisione di sistema o anche tramite mail come ti ho fatto accennato prima.

Automazione di Inoreader.

Per chi, come me, è appassionato di automazione, InoReader è molto ben
fornito.

Dentro ad IFTTT, una delle più diffuse web application di automazione, i trigger disponibili sono molti.

Diventa quindi molto facile creare delle routine automatiche. Una che ho creato, ad esempio, è una routine che, ogni volta che taggo un post che
trovo interessante, me lo spedisce al gruppo telegram della redazione del blog, per vedere se qualche membro della redazione vuole farci un
articolo sopra… Ma le possibilità sono davvero tante, anche da questo punto di vista Ino si rivela un prodotto molto ben ingegnerizzato e
adatto agli usi più avanzati.

Per interagire con gli sviluppatori di inoreader, si può utilizzare come spesso avviene con gli strumenti tecnologici anche l’account Twitter a questo indirizzo
InoReader.

Quanto costa?

Lo svantaggio di Inoreader per me è che è a pagamento, sulla base di un modello di business che prevede un pagamento annuale, mentre per me
Feedly era gratuito, essendo diventato utente pro anni fa con un pagamento una tantum.

Inoreader comunque non costa molto e sono previsti diversi piani, che puoi consultare sul sito. Nonostante il costo, ho deciso di fare comunque il salto perché i vantaggi offerti da Inoreader sono così
rilevanti per la mia produttività da giustificare tutto.

Concludo ricordando che per esperienza so che nessuno capisce bene come funziona un feed finchè non lo prova, è un argomento difficile da spiegare a parole, bisogna provare, e farlo per un certo periodo, per vedere il salto di comodità che si fa e soprattutto di produttività con un aggregatore di notizie.

Conclusioni

– se vuoi che ti aiuti a configurare il tuo aggregatore, prenota un’ora di coaching contattandomi in privato dalla pagina dei contatti o facendo clic sull’icona di whatsapp qui a fianco: un’ora è più che sufficiente e ti garantisco che usando uno strumento come questo diventerai sia molto più produttivo che molto più sereno sul lavoro e nella vita privata;

– se vuoi provare il counseling, contattami senza impegno per concordare un primo incontro di partenza.

 

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informatica tecnologia tutorial

Archiviazione messaggi mail: nuovo add-on.

Se sei un avvocato, o un altro libero professionista che usa la pec, sai che questo tipo di posta, in particolare, è bene archiviarla nel suo formato originale, o nativo, seguendo il metodo che ti ho già spiegato in questo precedente tutorial.

mailUltimamente, il componente aggiuntivo da utilizzare era diventato incompatibile con le versioni più recenti di Thunderbird, così ti avevo scritto un altro post indicando come fare il «downgrade» della versione di Thunderbird, in modo da poterlo utilizzare ugualmente, disattivando gli aggiornamenti automatici.

Ora per fortuna non c’è più bisogno di fare il downgrade, è possibile installare l’ultima versione di Thunderbird con un nuovo add-on, o componente aggiuntivo, sviluppato sulla base di quello precedente.

Si tratta di ImportExportTools NG, dove NG sta per next gen, sviluppato in Germania, appunto sulla base del plugin originario, scritto invece in Italia.

Il nuovo plugin puoi trovarlo qui.

Non mi dilungo a spiegare come funziona, perché è sostanzialmente una rifinitura, resa appunto compatibile con le versioni più recenti, del plugin precedente.

Una funzione interessante è quella che ti consente di realizzare un backup automatico dei tuoi messaggi di pec, che non credo sfrutterò in quanto non utilizzo Mozilla come client di posta principale, ma solo per il backup, e che può essere utile a chi invece appunto usa TB anche come client.

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Sì alle consulenze coi vocali.

Mannaggia ai vocali!

Alzi la mano chi non odia i messaggi vocali, di whatsapp, telegram, messenger e simili.

Io stesso ne sono rimasto vittima abbastanza spesso.

Per fortuna, ultimamente, questa vera e propria «psicosi sociale» di mandare vocali, specialmente per dire cose come «ok», «sì» o «va bene», sembra che sia in calo, perché il vocale è sostanzialmente scomodo e usato troppo spesso fuori dai casi in cui potrebbe essere utile.

Chi, ad esempio, usa, come me, un indossabile al polso, riesce a comunicare molto meglio con brevi pezzi di testo scritti, anche perché li vede immediatamente sul proprio smartwatch, quando invece la notifica sull’orologio intelligente di un vocale è solo qualcosa del tipo «hai ricevuto un messaggio vocale», senza che ovviamente si possa avere la minima idea del contenuto. Potrebbe essere urgente, una battuta, una risata, un «sì va bene», qualsiasi cosa. Devi aspettare di tirare fuori il telefono ed essere in una situazione in cui poterlo ascoltare… tutto ciò è abbastanza fastidioso.

Ovviamente, poi, ci sono le persone «solari», definizione con cui oggigiorno si indicano gli individui siti sulla linea di confine tra l’isterico e il logorroico, che, sempre ovviamente premettendo tante scuse per il diluvio verbale, poi ti soffocano con un diluvio verbale, che è di solito completamente superfluo, dal momento che gli stessi concetti avrebbero potuto essere comunicati con tre paragrafi scritti messi bene in fila.

Infine, ci sono ulteriormente le situazioni in cui il vocale può essere anche utile, ma la conversazione diventa un pochino troppo lunga e si capisce presto che è inutile giocare a ping pong ma bisogna prendere il telefono e fare una cara, vecchia conversazione «in diretta», naturalmente dopo aver preso il coraggio a due mani…

Uso dei vocali per le consulenze.

Pur partendo, dunque, da una situazione di discreta antipatia per questo strumento, ultimamente mi sono messo ad utilizzare, in uscita, cioè da me verso i clienti, abbastanza spesso i messaggi vocali, dall’account whatsapp aziendale dello studio, per erogare consulenze acquistate on line.

Se, dunque, penso molto male dei messaggi vocali, perché finisco per usarli così spesso?

Perché, come tutti gli strumenti, se usati in modo appropriato, in alcune situazioni possono essere utili e vantaggiosi.

Repetita juvant.

Il primo dovere di un avvocato è ascoltare, se leggi il blog me lo avrai sentito dire tantissime volte.

Quando, però, un avvocato ha ascoltato, viene il turno del cliente di ascoltare

E qui non così di rado qualche problema c’è.

Io mi sforzo di parlare usando il linguaggio più semplice e chiaro possibile, perché proprio questo è il succo del mio lavoro, e, soprattutto, cerco di parlare al cuore della persona che mi sta ascoltando, toccando per bene tutti quegli aspetti emotivi che spesso sono sottesi ad un problema legale, che sembra solo di natura burocratica ma che tale non è quasi mai nella realtà.

I clienti cercano di ascoltarmi, ma il fatto è che i problemi legali, quelli di famiglia o del counseling, restano situazioni complesse, non facili da spiegare. Inoltre, il cliente a volte è anche agitato, emotivamente scosso, non in grado di seguire con tutto se stesso la spiegazione che sto impartendo e, soprattutto, di ricordarsela.

Lì per lì magari capisce, ma poi, in seguito, una volta tornato a casa o agganciato il telefono, la cosa si sbriciola…

Ecco che allora può essere utile avere, da parte mia, un messaggio registrato: per poterlo riascoltare più volte. Non c’è nulla di male, per un assistito, in questo.

Io stesso, se chiedessi consulenza ad un medico per un problema non routinario, vorrei avere una consulenza su messaggio vocale per potermela riascoltare svariate volte, sino a che non sono certo di averla capita bene, e per poterla poi andare a riprendere in seguito, in caso di bisogno.

Con il chè veniamo al secondo aspetto della «consulenza via vocale»…

Condivisibilità e archiviabilità del vocale.

I casi in cui ad esempio mi capita spesso di utilizzare un messaggio vocale per erogare una consulenza acquistata tramite il blog sono quelli in cui sono coinvolte più persone, cioè una persona ha acquistato la consulenza per un gruppo di interessati, come nel caso delle strade vicinali, dei problemi di condominio, divisione e così via.

In questi casi,il messaggio vocale con la mia consulenza presenta il vantaggio di poter essere condiviso con tutte le persone interessate alla pratica stessa, oltre che il vantaggio di cui al paragrafo precedente, cioè di poter essere riascoltato, ma anche archiviato per eventuali bisogni futuri.

Più veloce e più comodo.

Ovviamente, il vocale, rispetto alla telefonata in diretta, presenta anche il vantaggio di essere fruibile nell’orario che preferiamo sia io che il cliente, nel senso che io lo posso registrare appena riesco – così faccio anche prima a fare la consulenza – mentre lui può ascoltarselo quando è più comodo per lui e/o quando ci sono anche le altre persone interessate alla pratica.

Viceversa, con la consulenza telefonica è necessario concordare un appuntamento telefonico, cioè un giorno ed ora in cui entrambi possiamo metterci a disposizione, sia io che il cliente, con la conseguenza che si ritarda anche un po’ in dipendenza dei concomitanti impegni di ognuno.

No ai balletti di vocali.

Una cosa che mi rendeva restio ad utilizzare questo strumento era il timore, che avevo, che un mio vocale con la erogazione della consulenza potesse in diversi casi dare la stura ad un «balletto» avanti e indietro di vocali, con la conseguenza che magari gli scopi di risparmiare tempo ed essere più esaustivi sarebbero stati completamente frustrati.

Devo dire che a riguardo sono rimasto piacevolmente sorpreso, mai in nessun caso, sino ad oggi, si è verificata una cosa del genere e di ciò devo fare i complimenti sia a me che ai miei clienti. A me perché evidentemente sono riuscito ad essere abbastanza esaustivo, ai miei clienti perché sono riusciti a farsi bastare la risposta e ad utilizzarla per il meglio.

Quando prendo in mano un caso, mi piace concludere. Cerco di capirlo al meglio possibile e di dare le indicazioni più opportune, a mio giudizio, al cliente. Quando ho finito questo, passo ad un altro caso. Non potrei lavorare diversamente, non posso occuparmi in modo efficace di più casi alla volta, devo farne solo uno alla volta: questo è fondamentale perché ogni caso deve avere la mia completa attenzione.

Questo è un lavoro che richiede concentrazione, anche perché si forniscono informazioni su cui le persone poi fanno affidamento in situazioni spesso delicate, con la conseguenza che non si può parlare, ad esempio, come uno che vende materassi in televisione, ma bisogna prestare la massima attenzione ai contenuti che vengono forniti.

È per questo motivo che sono, generalmente, abbastanza lento nell’erogare le mie consulenze, perché devo approfondire adeguatamente e trovarmi comunque nella situazione in cui posso, per un’ora del mio tempo, dare la mia completa attenzione al caso di cui mi sto in quel momento occupando.

Se, dunque, ognuno dei miei cliente iniziasse a scrivermi ulteriormente senza motivo, il mio scopo di lavorare in modo efficiente ne verrebbe frustrato. Fortunatamente, questo non è ancora mai accaduto!

Conservare i vocali.

Abbiamo visto che uno dei vantaggi del messaggio vocale è la sua archiviabilità e quindi la possibilità di conservazione, ma come procedere in tal senso nel modo migliore?

Consiglio a tutti di conservare il messaggio vocale che contiene la consulenza, perché se ne potrebbe avere bisogno in futuro, evitando, ad esempio, che possa andare perso in caso di cambio del cellulare.

Per conservare un messaggio vocale di whatsapp, ad esempio, è sufficiente salvarlo in una cartella del computer o del mac, coperta da una adeguata strategia di backup, magari tramite utility come dropbox o google drive. I vocali di whatsapp sono registrati in formato .opus, che può essere letto, e quindi ascoltato, usando programmi come Video Lan Client – quello che uso io sul mac.

Noi comunque archiviamo nel dropbox, o comunque nel file system, dello studio i messaggi vocali contenenti le consulenze che eroghiamo ai clienti, considerato che anche per noi potrebbe essere utile andarli a recuperare, oltre che ovviamente per servirli ai cliente nel caso dovesse averne bisogno di nuovo, pur non offrendo questo servizio ufficialmente e non dando alcuna garanzia al riguardo e restando responsabile il cliente della conservazione.

Conclusioni.

Per questi motivi, chiediamo sempre ai nostri clienti di indicarci di preferenza come vogliono che la consulenza sia erogata, ma ci riserviamo sempre di scegliere noi in base all’urgenza del problema, alla sua complessità, al numero di persone coinvolte, che supporto utilizzare.

In alcuni casi, come ad esempio quelli in cui mi rendo conto che la confusione del cliente è un po’ troppo alta, preferisco concordare un appuntamento telefonico. Qui si perde più tempo, si lavora con più lentezza e si raggiungono meno risultati, ma se c’è una situazione di confusione di partenza bisogna necessariamente affrontarla e scioglierne i nodi relativi.

Sulla base di tali aspetti, dunque, uno strumento può effettivamente essere migliore di un altro.

E tu, come la pensi?

Ti piacerebbe ricevere la consulenza di un professionista via messaggio vocale?

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Salvare più immagini JPG in un unico PDF.

Oggi voglio parlarti di come si può, con il mac, salvare più immagini JPG all’interno di un unico file PDF multipagina.

Questa cosa può essere utile in diverse occasioni.

Ad esempio, a noi avvocati serve quando, all’interno di un processo ivile, dobbiamo depositare delle riproduzioni fotografiche. In questo caso, è più comodo metterle tutte, specialmente se riguardano il medesimo oggetto, all’interno di un unico file PDF, cui assegnare un numero solo nelle produzioni e da allegare una volta sola tramite il programma per il confezionamento e l’invio della busta (a proposito, io utilizzo SLPCT).

Ma le occasioni in cui torna utile creare un unico file PDF a partire da più immagini sono in realtà moltissime e non certo solo per gli avvocati, basti pensare a quando, sempre ad esempio, si fa una ricerca su internet e si salvano alcuni screenshot di pagine web contenenti materiale eterogeneo che risulterebbe difficile salvare altrimenti, come ad esempio commenti in calce a post, posto, spezzoni di file visualizzati on line ecc.. In questi casi, è sicuramente meglio conservare tutti gli screenshot in un unico file, cui si può dare un nome e una collocazione unitaria e che si può peraltro, ulteriormente, passare all’OCR, cosa molto importante perché rende il risultato della tua ricerca… ricercabile (perdona il gioco di parole) e quindi rinvenibile in seguito quando te ne viene bisogno ma si trova sepolto in una congerie di files.

La soluzione migliore nel mondo Mac è utilizzare Automator, un programma di sistema fornito con tutti i computer Apple che consente appunto di automatizzare alcune operazioni di sistema, una specie di linguaggio di scripting per esecuzione di macro, se vogliamo, anche se non hai livelli di keyboard maestro, che è molto più evoluto.

Ad ogni modo, per realizzare questa procedura è sufficiente aprire Automator e creare un flusso di lavoro o un’applicazione in cui inserire due sole «azioni» e cioè la selezione degli elementi del Finder e la conversione appunto delle immagini in un unico PDF.

Per facilitarti, ti ho messo in download la procedura che ho creato io, puoi scaricarla compilando il modulino in fondo al post.

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Personalmente, ho combinato questo plugin di Automator con Keyboard maestro, che ti ho menzionato prima, e con Dropbox, in modo da poter avviare questo flusso da qualsiasi mac su cui lavoro premendo una combinazione di tasti, dopo aver semplicemente selezionato le immagini che voglio riunire in un unico file pdf. Keyboard maestro, infatti, sincronizza le macro tramite Dropbox, la procedura Automator si può salvare come applicazione in modo che sia sincronizzata anch’essa su ogni macchina.

Spero che questi suggerimenti ti siano utili, ricordati di iscriverti al blog per non perderti articoli come questo.

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Enpass: aggiornato il password manager.

Stai usando un password manager?

Nel caso la risposta sia negativa, dovresti invece considerare di farlo.

Come ho spiegato in un altro post, confezionato in occasione dell’uscita di Android Oreo, oggigiorno le credenziali che utilizziamo per accedere ai sistemi informatici sono tantissime ed è impossibile pretendere di ricordarcele tutte.

Soprattutto, è totalmente da sconsiderati utilizzare sempre la stessa coppia di credenziali, in particolar modo la stessa password. Molte persone non capiscono perché ciò sia così disastroso, quindi vale la pena spiegarlo di nuovo.

Ogni tanto, qualche sistema informatico viene bucato da crackers che riescono a penetrare al suo interno e a carpire i suoi dati.

Se in quel sistema informatico che è stato bucato tu hai usato le stesse credenziali, finite grazie all’altro sito in mano a malintenzionati, che usi per accedere al tuo sistema di home banking, cosa pensi che possa succedere dopo?

Non credo ci sia da aggiungere altro…

Oggigiorno, dunque, l’uso di un software o di un sistema di gestione delle credenziali è obbligatorio, oltre che molto comodo, specialmente considerando le funzioni di auto-fill o riempimento automatico di cui si dispone, che facilitano molto il lavoro quando – come è ormai indispensabile – si usano password complesse.

Il mio sistema è Enpass, che ha il vantaggio di essere multipiattaforma e di costare abbastanza poco. La versione per Mac è stata recentemente aggiornata con il passaggio ad una grafica completamente nuova, che supporta anche il dark mode di Mojave, la possibilità di creare più files di credenziali (vault, o cassaforti) e una condivisione più sicura.

Quest’ultima è una funzionalità molto importante, che uso spesso con la mia assistente alla quale trasmetto le credenziali che le servono per accedere ai servizi che utilizziamo in studio.

In ogni caso, non importa quale software di gestione delle credenziali decidiate di utilizzare, l’importante è che ne adottiate uno quanto prima.

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Copia e incolla su android: se non va c’è la Hacker’s.

Che cosa devi fare quando copia incolla non funziona su android?

A volte, capita di entrare all’interno di applicazioni che, per qualche motivo, non supportano il copia e incolla normale, quello che si ottiene tenendo premuto il dito sul display e facendo apparire un menu in sovrapposizione con le opzioni relative.

Questo può rappresentare un inconveniente tutte le volte in cui ad esempio bisogna digitare una password, che, spesso si è scelto di creare in modo molto complicato, con molti caratteri speciali che sono difficili da riprodurre sulla tastiera standard di Android.

Comunque, anche in questi casi in cui non si riesce a far comparire il menu in sovraimpressione, è possibile usare il copia e incolla.

La soluzione è quella di installare e definire una tastiera di sistema alternativa che supporti il tasto CTRL, che nella tastiera montata di solito su Android è assente, in modo da poter fare copia e incolla, rispettivamente, con CTRL + C e CTRL + V.

La tastiera alternativa che uso per questo scopo è la Hacker’s Keyboard.

Negli ultimi tempi, peraltro, questa utilissima applicazione era stata rimossa dal Play Store probabilmente per un disguido relativo ad alcune pubblicità contenute al suo interno, ma, fortunatamente, attualmente sembra essere stata reinserita ed essere disponibile, al link sopra indicato.

Qualora venisse rimossa di nuovo, sarebbe sufficiente cercare il relativo pacchetto APK e installarlo, anche tramite gestori di pacchetti alternativi per android, come F-droid. La home page del progetto, ospitato su github, si trova comunque qui.

Dopo aver installato il pacchetto, si deve tappare sull’icona relativa per impostarlo e aggiungere la tastiera a quelle previste sul cellulare. Dopodichè si avrà accesso ad una schermata come la successiva, dove la hacker’s dovrà essere appositamente abilitata, spostando il relativo interruttore in modo che sia attivo.

Purtroppo, di default la hacker’s non è nella modalità a cinque righe di tasti, con anche il tastro control, ma si presenta come una tastiera semplice, come si può vedere nell’immagine successiva

A questo punto, bisogna tappare a lungo sull’icona a forma di «bottone» in basso a sinistra, tra quella per il passaggio ai numeri e quella del microfono. Questo tasto serve sia per cambiare tastiera, cosa che vorrai fare quando avrai finito di usare l’applicazione che non ti consente il copia e incolla, sia per cambiare i parametri della hacker’s, che è quello che vorrai fare in questo momento.

Seleziona dunque «Settings for Hacker’s Keyboard»

Verrà a questo punto mostrata questa schermata.

Devi andare nella sezione «Keyboard mode, portrait». Si alzerà questo menu:

Qui dovrai scegliere «Full 5-row layout».

E voilà, avrai a disposizione una tastiera, un po’ scomoda, perché con i tasti molto «fitti», ma su cui potrai usare il tasto control come su un computer fisso.

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Files ebook Kindle KFX: come trattarli.

Ti ho già parlato, in un precedente post, della possibilità di rimuovere i sistemi di protezione DRM dagli ebook, operazione che in qualche caso è probabilmente legittima, se avviene su libri acquistati e solo ovviamente per uso personale.

Oggi voglio parlarti di un nuovo formato di file utilizzato da Amazon per gli ebook venduti tramite il sistema Kindle, il KFX, che i softwares diffusi in precedenza non avevano, almeno in un primo momento, la capacità di gestire.

Personalmente, non ho un Kindle. Per leggere gli ebook, uso il formato ePub e li carico in Google Play Books, che posso usare sia sul cellulare, che sul tablet, che sul mac, ritrovando sincronizzate note, evidenziazioni e così via.

Il problema è che alcuni libri sono disponibili solo in cartaceo o i formato kindle, ma non si trovano in vendita in formato ePub, non so per quale misterioso motivo, probabilmente ci sono politiche commerciali degli editori o, semplicemente, sbadataggine di chi, all’interno degli editori, si occupa della versione ebook dei titoli.

In questi casi, si può legittimamente acquistare la versione Kindle. Per poterla poi caricare sul proprio lettore di ePub, bisogna necessariamente convertire il formato, cosa che a sua volta richiede la rimozione dei DRM.

Siccome mi è capitato di farlo di recente per un libro che mi interessava, ecco di seguito la procedura da seguire descritta passo passo.

Bisogna usare Calibre, un software di gestione degli ebook, di cui ho parlato già diverse volte nel blog e che uso da diversi anni.

Dentro a Calibre, bisogna installare due plugin. Uno per la gestione del nuovo formato KFX e uno per la rimozione dei DRM. I plugin si possono scaricare da qui:

Questi due plugin dovranno essere installati dentro a Calibre, dal menu Preferenze, Plugin, scegliendo ovviamente l’installazione da files. Dopo l’installazione, sarà preferibile riavviare Calibre.

Il file del libro in formato KFX si può ottenere installato sul proprio PC o Mac l’applicazione Kindle apposita e andando poi a cercarlo nel percorso impostato per il download dei libri. Nel mio caso, il file aveva estensione .azw all’interno di una directory specifica nel percorso configurato per il salvataggio dei files kindles.

Una volta individuato il files, sarà sufficiente importarlo dentro a Calibre, o trascinandolo o con le apposite funzioni, il software provvederà a configurarlo e a rimuovere i DRM.

A quel punto, sarà possibile effettuare la conversione in ePub con le funzionalità di conversione dello stesso Calibre, per poi caricarlo nel proprio sistema di lettura preferito.

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WordPress: cambiare l’indirizzo di un post o altro contenuto.

Oggi ti parlo del modo più efficace di cambiare indirizzo ad un contenuto che hai pubblicato con wordpress, come ad esempio un post come questo.

Perchè ti può venire bisogno di cambiare indirizzo ad un contenuto già pubblicato?

Un caso classico è quello in cui cambi il tipo di contenitore, cioè il formato di quel contenuto, ad esempio da post a pagina, perché ad esempio il post è molto letto ed è diventato una «pietra miliare» del tuo blog, oppure viceversa, perché le pagine ad esempio sono diventate troppe e alcune cose si possono mettere più agevolmente nel classico formato del post.

A me, ultimamente, è capitato di farlo passando dal formato «FAQ», ottenuto grazie ad un apposito plugin con cui avevo creato una apposita sezione di Frequently Asked Questions, al formato post, smantellando questa sezione che, alla lunga, si era rivelata una complicazione inutile.

In teoria, wordpress dovrebbe creare di «ricollegamenti» automatici tra il vecchio indirizzo e il nuovo dello stesso contenuto, nel momento in cui cambi il tipo, ma questa cosa non sempre funziona, specialmente quando il formato è speciale come appunto nei casi in cui lo si ottiene con un apposito plugin.

Meglio agire a livello di gestione del sito.

Ma perché è necessario compiere operazioni del genere?

Innanzitutto è una forma di riguardo per i lettori del blog, che possono non trovare un contenuto collegato ad un altro post perché appunto non funziona più il collegamento.

Ma, soprattutto, è una forma di riguardo anche per google che, se non ritrova la roba allo stesso posto in cui si trovava prima, si incazza e penalizza il tuo sito nei risultati di ricerca (SEO), perché giustamente lo ritiene il sito di uno che non sa lavorare con il web e fa pasticci con i contenuti…

Questo ovviamente per tutti coloro che lavorano con il web è da evitare assolutamente.

Dunque, fatte queste premesse, il modo migliore per gestire questa operazione è andare a modificare il file .htaccess che si trova nella radice del blog.

Il modo migliore per fare questa operazione è accedere tramite il vecchio protocollo FTP al server su cui gira il blog. Personalmente, uso sul Mac un client, disponibile anche in ambiente windows, che si chiama Cyberduck e che consiglio di provare anche a te.

Dopo aver eseguito l’accesso, è importante dire a Cyberduck di visualizzare anche i files nascosti, perché di default non lo fa, mentre .htaccess, con il punto all’inizio del nome è appunto un file nascosto. Per farlo, devi andare in Visualizza e selezionare appunto l’opzione «Visualizza files nascosti» oppure premere, con Cyberduck in primo piano, SHIFT+COMMAND+R. Se procedi in questo modo, però, dovrai farlo ogni volta che ti connetti, invece la cosa consigliabile è settarlo direttamente nelle preferenze di Cyberduck, come mostrato nell’immagine che segue:

Una volta entrati nel server ftp e localizzato il file .htaccess si può fare l’editing direttamente senza bisogno di scaricarlo, modificarlo e poi tornarlo a caricare – si occupa in background Cyberduck di tutte queste operazioni in modo da farla sembrare una modifica locale.

Fai quindi a questo punto clic destro su .htaccess, scegliendo «Modifica con…» e scegliendo poi l’editor installato sul tuo computer, nel mio caso quello di default di ogni Mac e cioè TextEdit.

La sintassi da usare è la seguente, prendo un esempio reale dal mio file .htaccess:

Redirect 301 /faq/potete-indicarmi-un-avvocato-delle-mie-zone/ https://blog.solignani.it/2008/09/23/potete-indicarmi-un-avvocato-delle-mie-zone/

Bisogna quindi mettere all’inizio della riga il «comando» Redirect 301, quindi il vecchio indirizzo del contenuto, quello che aveva prima dello spostamento, in formato relativo, cioè senza l’indicazione del percorso completo del sito, omettendo quindi la prima parte. Poi bisogna mettere quello di destinazione, che corrisponde al nuovo indirizzo, in questo caso il percorso deve essere assoluto e completo, come nell’esempio.

Una volta fatte le modifiche, si può salvare e voilà, il contenuto sarà raggiungibile nella nuova posizione.

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Apple Mail e problemi con Mojave: come risolvere.

Molti utenti, me compreso, hanno avuto problemi con Apple Mail dopo aver effettuato l’aggiornamento di macOs a Mojave: forti rallentamenti, crash, blocchi frequenti, insomma impossibilità di usarlo decentemente come avveniva prima dell’upgrade.

Oggi voglio spiegarti come fare per risolvere il problema.

Naturalmente, come avviene nel 90% dei casi nel mondo dell’informatica, non c’è la possibilità di individuare un problema preciso, ma si fanno operazioni di «reset» della situazione che causa le difficoltà, intervenendo in modo rozzo ma spesso efficace, anche se come sempre c’è un prezzo da pagare che è appunto la riconfigurazione dei vari parametri.

Ovviamente, esegui la procedura a tuo rischio e pericolo. Tieni magari un backup di tipo «clone» con utility quali carbon copy cloner o superduper.

Se anche tu hai Apple Mail che fa le bizze, puoi provare a ripulirlo eseguendo le seguenti operazioni:

  1. Ovviamente, chiudi Apple Mail. Se non si chiude spontaneamente, premi ALT+ CMD + ESC e, dopo aver selezionato Apple Mail, fai clic su «uscita forzata». Un altro modo per chiudere forzatamente un’applicazione che non risponde in macOS è usare l’utility «monitoraggio attività».
  2. Lancia il Finder. Vai – scusa il gioco di parole… – nel menu «Vai», premi il tasto ALT e seleziona «Libreria». Senza premere il tasto ALT, la voce Libreria per motivi di sicurezza non compare, quindi appena lo premi la vedi comparire e la puoi selezionare facilmente.
  3. Dalla Libreria, poi devi andare in «Containers > com.apple.mail > Data > Library > Saved Application State» e mettere nel cestino la cartella «Saved Application State»
  4. Poi torni su, dentro a «Containers» e cerchi queste due cartelle; quando le hai trovate le sposti sul desktop (così poi in caso di bisogno le puoi ripristinare)
    1. com.apple.mail
    2. com.apple.MailServiceAgent
  5. Ora torni su alla Libreria e vai nel percorso «/Mail/V6/MailData». Qui devi trovare a cancellare i seguenti tre files:
    1. Envelope Index
    2. Envelope Index-shm
    3. Envelope Index-wal
  6. Svuota il cestino e riavvia il Mac.

Al riavvio, tutte le impostazioni precedentemente configurate saranno perse e dovranno essere configurate di nuovo. Mail si comporterà come se fosse stato avviato per la prima volta, chiedendo anche l’autorizzazione alla conversione delle mail precedenti, mostrando l’immagine riportata di seguito.

Conversione dei messaggi dal vecchio formato

Nota bene: dopo aver fatto questa operazione, il mio Mail è restato inutilizzabile per tutta la giornata, essendosi messo a riconvertire il formato di tutti i messaggi e avendo io molta posta in archivio. Può darsi che nel tuo caso occorra meno tempo, tieni comunque in considerazione questa ipotesi, specialmente nel caso in cui ti serva l’accesso (anche se in molti casi si può intanto usare l’interfaccia web della posta o un altro computer).

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Come scrivo i testi per il blog.

Molti mi hanno chiesto come scrivo i miei testi per il blog, considerando che questo è il più antico blog giuridico, e non solo, esistente in Italia, che pubblica un post al giorno da oltre due decenni ormai ed ha richiesto quindi un lavoro enorme e costante nel tempo.

Oggi voglio spiegarti gli strumenti che uso, in modo che anche tu, se credi, possa creare un tuo blog o comunque usare questi stessi strumenti per il lavoro con i testi in altri ambiti.

Naturalmente, non ho sempre usato questi stessi strumenti. Quando ho iniziato ad usare il computer, più di venti anni fa, il mio sistema operativo era il DOS, un ambiente testuale e non grafico. Ricordo i primi giorni passati a studiare i comandi di questo sistema su vecchie dispense della mitica casa editrice Jackson – di cui poi anni dopo sarei diventato autore con «Il perfetto cybercittadino».

In quell’ambiente, usavo un wordprocessor sempre testuale, tutto in bianco e nero (non c’erano ancora i monitor a colori), che però funzionava egregiamente e che ancora oggi un po’ mi manca per il suo carattere spartano ed essenziale. Si chiamava Wordstar, bisognava caricarlo tramite floppy disk, su cui poi salvavi anche i tuoi documenti. Con Wordstar ho scritto la mia tesi di laurea. Era un sistema, considerato l’hardware oggi considerabile assurdo dell’epoca, velocissimo.

Ma chiudiamo la parentesi «retrocomputing» e facciamo un balzo in avanti di oltre 20 anni.

Oggi, e ormai da più di 10 anni, non uso più personal computer con Windows, un sistema operativo che ho sempre detestato, ma computer Mac che, pur essendo passato ad Android per quanto riguarda i dispositivi mobili, non abbandono, continuando a ritenerlo sempre il miglior tipo di computer oggi a disposizione.

Il computer, peraltro, ha perso di importanza, perché anche i programmi ormai sono diventati più dei servizi. Non uso più wordprocessor locali, per lo più, ma servizi come google documenti, di cui ho parlato diverse volte già nel blog, che offrono diversi vantaggi.

I miei post per il blog, dunque, nascono come documenti di google documenti. Il primo passo è la creazione di un nuovo documento, cosa che può avvenire sia dal mac che dal cellulare che dal tablet, con molta semplicità e disinvoltura.

Subito dopo la creazione, «sposto» il documento così creato in una cartella blog, per tenere insieme tutti gli articoli che ho in bozza e separarli da tutti gli altri documenti che ho in google, che utilizzo anche a volte per atti processuali, ricerche, appunti vari.

A questo punto, scrivo l’articolo, di solito in una unica soluzione ed utilizzando il mac. A volte, posso usare il cellulare. In questo secondo caso, se è un testo breve facilmente lo scrivo con la tastierina che, devo dire, è davvero efficiente. Se invece è un testo più lungo, lo «scrivo» in realtà utilizzando la funzione di dettatura che, su Android, è molto più efficiente di quanto avvenga su iOS e mi ha consentito di «scrivere» articoli anche molto lunghi con poca fatica o in situazioni che non mi consentivano di scrivere agevolmente – come al mare su uno sdraio ad esempio…

Ovviamente, nel caso in cui io utilizzi la funzione di dettatura, devo poi mettere in conto una successiva fase, abbastanza veloce, di revisione, da fare preferibilmente al mac, per sistemare se non altro la punteggiatura, spezzare i periodi che, dettando, tendono a venire eccessivamente lunghi, controllare eventuali errori e così via. Anche considerando la fase di revisione, comunque dettando al cellulare riesco a comporre il testo dei miei articoli molto più velocemente che se li battessi – e considera che io sono da anni velocissimo a battere, sin dagli anni dell’Università.

Se, invece, scrivo direttamente il testo con la tastiera, senza effettuare operazioni di dettatura, raramente faccio una fase di revisione. Cerco di stendere un periodo dopo l’altro, in modo logico e consequenziale, pensando bene a quel che devo scrivere, per cui alla fine mi basta una rilettura molto veloce e sporadica per poi passare alla pubblicazione.

Per quanto riguarda, specificamente, la pubblicazione, come avrai visto attualmente il mio blog, dopo essere passato per numerosi siti, piattaforme e software di gestione, tra cui anche il glorioso Plone, si trova su una versione di WordPress in self-hosting, cioè su un «mio» server, che è poi un server presso un fornitore di servizi terzo.

Per pubblicare su wordpress un testo contenuto su google documenti esiste un componente aggiuntivo, un plugin, che si chiama WordPress.com for Google Docs, che consente di salvare direttamente il testo creato con google docs dentro a WordPress come bozza, impostando la categoria e i tags.

A questo punto, dunque, invoco questo plugin, che determina l’apertura di un box a destra di google documenti, in cui posso impostare appunto la categoria del post e i tags del medesimo. Fatto questo, lo salvo come bozza in wordpress.

Una volta che è stato salvato come bozza, lo apro in anteprima in modo da fare le ultime modifiche, tra cui essenzialmente il salvarlo come «in sospeso» o pending review.

A questo punto il mio lavoro sul testo è finito. Il post finirà in una «coda» o elenco di post «in sospeso». Un apposito plugin installato su wordpress, chiamato Auto Post Scheduler, automaticamente, in base alle mie impostazioni, «pescherà» da questa coda o elenco un post al giorno, pubblicandolo.

L’unica cosa che faccio, per completare a questo punto il lavoro, è spostare di nuovo il documento di google docs, questa volta dalla cartella «blog» alla relativa sottocartella «blog/archivio», in modo da avere nella cartella principale «blog» solo le bozze di post ancora in attesa di completamento.

Buon lavoro, se vuoi chiedermi chiarimenti su questi strumenti lascia pure un commento risponderò volentieri!