Usi ancora word processor sul tuo mac o sul tuo computer, come word o open office?
Forse dovresti provare google documenti, un editor on line offerto gratuitamente da google che presenta tutte le caratteristiche di base dei «vecchi» word processor, più alcuni interessanti vantaggi, tra cui il collaborative editing e cioè la possibilità di modificare contemporaneamente, da parte di più utenti, lo stesso documento – un argomento di cui magari parleremo in un altro post, considerato che si tratta di un tema molto interessante per tutti quelli come noi che, da avvocati, mediatori e counselor, lavoriamo con le parole, spesso scritte.
Oggi ti voglio parlare di una caratteristica interessante di google documenti, che ne rende più facile e immediato l’utilizzo, l’esistenza di un «link» particolare, cliccando il quale si giunge direttamente alla creazione di un nuovo documento, cosa molto utile quando si ha in mente l’idea per un articolo, o anche semplicemente si devono scrivere alcune brevi note da recuperare poi in seguito.
Chiaramente, tutti i documenti di google documenti risiedono on line sui server di google, ma «vivendo» come ipertesti o pagine web si possono, ad esempio, inserire nei preferiti del proprio browser; inoltre, il collegamento relativo si può inserire sul desktop, dove, sempre ad esempio, una persona potrebbe tenere i collegamenti a tutti i documenti su cui sta lavorando in quel momento.
Anche questo link speciale per la creazione di nuovi documenti può essere inserito in un preferito apposito del proprio browser – a proposito, io utilizzo firefox – per poter creare un nuovo documento con un clic. Oppure può essere inserito, come ho fatto io, in programmi di automazione, come Keyboard maestro, una utility formidabile per il mac, di cui magari un giorno parleremo, che consente, tra mille altre cose, di lanciare link semplicemente premendo una combinazione di tasti. Nel mio caso, il trigger è, molto semplicemente, COMMAND (il vecchio tasto mela) + D.
Il link in questione, come si può vedere anche nell’immagine qui sopra, raffigurante la macro all’interno di keyboard maestro, è il seguente:
https://docs.google.com/document/create
Ne esistono altri due, rispettivamente per i fogli elettronici google e per le presentazioni, sempre di google:
https://docs.google.com/spreadsheets/create
https://docs.google.com/presentation/create
Salvatevi questi link e utilizzateli quando usate la «suite» on line di google per i vostri documenti, fogli elettronici, presentazioni.
Recentemente, ho avuto un problema con il caricamento di un ebook in formato epub su Play Books, il sistema che utilizzo io per leggere i libri elettronici.
Purtroppo, ogni volta che tentavo di inserire il libro, non protetto da DRM, mi dava un errore dicendo che era incompatibile.
Dopo aver provato a validare il formato del libro con Sigil e con altri sistemi di correzione e sistemazione dei files ePub, compresa una conversione da ePub ad ePub con Calibre che a volte funziona, sono riuscito ricorrendo ad un metodo particolare.
Non so come abbia funzionato, probabilmente il formato del libro è stato completamente ricostruito eliminando gli errori.
Ciò che ho fatto è stato usare Calibre per convertire il libro prima in formato MOBI e poi riconvertirlo in ePub. Ho controllato che gli indici e le altre strutture del libro fossero e poi e poi l’ho caricato.
Se anche tu trovi dei files ePub che non riesci a dare in pasto a Google libri, puoi provare questo escamotage.
Dopo il mio passaggio ad Android, di ormai un po’ di tempo fa, mi avete chiesto in molti quale è il terminale migliore.
Ovviamente non esiste una risposta assoluta a questa domanda, dipendendo sempre dalle esigenze di ognuno.
Personalmente, dopo aver usato un moto Z play, di Motorola, che, peraltro, é ancora un eccellente telefono, con una batteria impareggiabile, peraltro aggiornato ad Oreo proprio in questi giorni – sono passato a Samsung Note 8, un telefono da molti considerato tra i migliori disponibili.
Personalmente, tuttavia, pur continuando ad usarlo con profitto, ritengo presenti alcuni difetti da considerare, che mi sembra utile condividere con voi, per aiutarvi nella scelta del vostro smartphone.
Il primo problema è la durata della batteria, che è davvero scarsissima. Impossibile, usandolo in modo medio / intenso, arrivare oltre il primo pomeriggio, cosa che é inaccettabile. Personalmente, ho risolto con una cover con batteria, che tuttavia ha appesantito molto il telefono, coprendone integralmente il design. C’è gente che giura di arrivarci a sera, probabilmente non telefonano se non per pochi minuti e per il resto del tempo per lo più lo tengono in tasca.
Un altro problema piuttosto fastidioso almeno per me è la estrema sensibilità al surriscaldamento. Adoro prendere il sole e non ho mai avuto problemi col il mio vecchio Moto. Con il Note, invece, dopo pochi minuti sotto al sole il terminale si blocca per raggiungimento – a suo dire – di temperatura eccessiva e diventa così impossibile continuare ad usarlo. Per fortuna, con la cover presa per il problema di cui sopra, anche la problematica del surriscaldamento si è attenuata e così posso usarlo abbastanza bene anche sotto al sole.
Questi due primi problemi, peraltro, sono, anche se nessuno lo dice, evidentemente figli dello scandalo del note 7, modello ritirato dal mercato due anni fa, con grandi danni economici e di immagine, per Samsung perché alcuni esemplari erano esplosi. Gli ingegneri coreani, avendo paura di prendere un altro colpo del genere, hanno messo una batteria più piccola e sicuramente sottodimensionata (ovviamente dicono che per compensare hanno «ottimizzato» i consumi energetici, ma non è vero o comunque non conta un cazzo) e soprattutto hanno tarato in modo sensibilissimo i sensori di temperatura. Così il Note 8, figlio delle paure di Samsung, é nato di fatto come un prodotto molto limitato da questo punto di vista, anche perché per uso professionale, categoria cui punta la serie Note, la batteria è essenziale.
Un’altra cosa che non mi è piaciuto é lo slot dual SIM di tipo ibrido e la disponibilità solo di 64g di RAM a bordo. Slot ibrido significa che non puoi avere contemporaneamente una memory card e una seconda sim ma devi scegliere: o metti la SD card o la seconda sim. Posto che due sim per uso professionale o comunque avanzato di un telefono sono indispensabili, Samsung avrebbe dovuto ingegnerizzare il cassettino in modo da farci stare tutte e tre le schede contemporaneamente, come avviene in molti altri telefoni, tra cui sempre il mio Moto Z play. A riguardo, ho risolto o per meglio dire rimediato con una piattina di Simore, dove tieni la seconda sim all’esterno del cassettino lungo il corpo del telefono.
Così il mio Note 8 sembra un po’ un piccolo mostro Frankenstein, con aggiunte di qua e di là fatte per colmare sue carenze strutturali, che, tutto sommato, non sono appunto accettabili in un terminale di questa categoria, prezzo e pregio.
Nemmeno la gestione dual SIM è stata ben ingegnerizzata a livello software. Ad esempio, non è possibile assegnare una certa sim ad un certo contatto, in modo che ogni qual volta si chiama quel determinato contatto lo si faccia col numero che si preferisce e vuole esporre, che mi sembra proprio il minimo sindacale per chi usa un terminale dual SIM.
Per tutti quelli che mi seguono sui social, ma anche per chi è interessato a gestire il proprio flusso di pubblicazione dei contenuti sui propri account, oggi vorrei parlarvi di Buffer, il sistema che utilizzo personalmente a questo scopo.
Anche per dar conto di alcune «stranezze» che sorprendono i miei amici e le persone che sono in contatto con me…
Buffer è l’applicazione, o meglio servizio, web che utilizzo per iniettare contenuti nei social network. Questo software tiene in coda le cose che scrivo man mano e le pubblica sui miei vari account social nei giorni ed orari da me stesso programmati.
Per chi mi legge, ad esempio, su facebook, sembra che io abbia pubblicato in «diretta» ogni contenuto.
In realtà, il mio lavoro sui social funziona molto diversamente.
Quando mi viene in mente qualcosa da pubblicare, non lo metto direttamente su facebook, twitter e c., ma lo «accodo» su Buffer. Non sto affatto tutto il giorno a scrivere sui social, come chi mi legge potrebbe pensare, ma, in alcuni momenti della settimana, scrivo dieci o venti aggiornamenti che metto dentro a Buffer, perché vengano poi pubblicati in seguito.
In questo modo, creo appunto una «coda» di aggiornamenti di stato, foto, link – in una parola sola: contenuti – per la pubblicazione. Sarà Buffer a prendere la roba che c’è in coda e a pubblicarla, ad intervalli regolari, sui vari social.
Ad oggi, ad esempio, ho circa un centinaio di aggiornamenti già scritti tenuti in coda da Buffer e che Buffer pubblicherà secondo la programmazione prevista.
In altri termini, se oggi dovessi crepare e venire seppellito il mio account continuerebbe ad essere attivo e a postare contenuti nuovi ogni giorno per un altro mese circa dopo il mio funerale…
Questo spiega anche l’incredulità delle persone che sono con me e ricevono una notifica sul cellulare perché «ho pubblicato» qualcosa su facebook: come ho fatto a farlo se sto parlando con loro e non ho nemmeno il cellulare in mano? Non sono stato, io è stato Buffer, in automatico.
Se notate, i miei aggiornamenti escono quasi sempre agli stessi orari. Sono quegli orari che ho programmato dentro a Buffer.
Chi mi segue su più account social, facebook e twitter ad esempio, oppure il profilo facebook e la pagina, vede che molti contenuti sono pubblicati, identici, su più account in tempi diversi. Questo perché Buffer accoda lo stesso contenuto in più social account, ma le «code» di ognuno sono diverse, ad esempio in uno posso avere 100 contenuti in sospeso, in un altro 41, in un altro ancora 54 e così via; in questo modo, la pubblicazione avviene in modo sfalsato nel tempo.
Oltre all’opzione ordinaria di «messa in coda» (queue), Buffer offre altri due modi di gestione del contenuto: share now, per la pubblicazione immediata, e share next.
Share now serve per pubblicare immediatamente, senza passare per la coda, un contenuto su tutti gli account che si selezionano. Questo tipo di pubblicazione serve, ad esempio, quando si sta facendo una «diretta» di commenti su di un determinato evento sui social. A me è capitato di farne ad esempio in occasione di eventi nazionalpopolari come l’elezione del nuovo papa, le presentazioni Apple, Sanremo, il concerto di Vasco Rossi a Modena Park, le elezioni o altre cose che attirano l’attenzione in generale, stimolano la mia curiosità e la voglia di fare qualche battuta. In questi casi, è evidente che i contenuti non possono essere messi in coda, ma devono essere pubblicati in concomitanza con l’evento, finito l’evento non avranno più senso. Quindi qui uso la funzionalità di Share now.
Share next invece è diverso perché non pubblica immediatamente il contenuto, però, anzichè metterlo alla fine della coda, come Buffer fa di solito, o di default, seguendo un ordine cronologico per cui più un contenuto è stato programmato tempo addietro e prima verrà pubblicato, lo mette all’inizio, in modo che venga pubblicato alla prima occasione utile, al posto di quello che era già in coda. In sostanza, in questo modo, Buffer scalza un contenuto dalla coda spostandolo di un posto indietro e ci mette quello che stai inserendo in questo momento. Share next è la modalità di pubblicazione che utilizzo quando diffondo il post del giorno sui social. Il post del giorno, infatti, deve uscire il giorno stesso, non può seguire le regole delle coda, quindi i contenuti che contengono i link al post del giorno scalzano gli altri e vengono sempre messi davanti a tutti, ma rispettando comunque gli orari di programmazione soliti.
Queste sono solo alcune delle funzionalità di Buffer, un eccellente sistema per la gestione del flusso editoriale sui social, che vi invito a provare nella versione gratuita di base, per poi eventualmente fare l’upgrade, come ho fatto io, qualora vi dovesse poi piacere e doveste trovarlo utile.
La cosa più bella di Buffer, comunque, restano i miei amici di facebook che mi chiedono cose come «Cos’hai oggi?» per una cosa che ho scritto un mese prima… 🙂
Se c’è una cosa che odio, quella è la posta elettronica. Messaggi scritti da gente che non sa esprimersi destinati a gente che non è comunque in grado di comprenderli. Uno degli strumenti che più compromettono la produttività, if you ask me.
Non l’ho sempre pensata così, agli albori della rivoluzione informatica nel nostro paese, 15/20 anni fa, ero abbastanza entusiasta del mezzo… In realtà, era solo un’illusione. È un protocollo vecchio, poco malleabile e con software che, a dispetto di tutto, non consentono di gestirla davvero in modo efficiente. Inoltre, il suo utilizzo si è diffuso eccessivamente, cosìcchè ognuno di noi ogni giorno si trova ad avere a che fare con centinaia di messaggi della inbox, che è un po’ diventata la moderna catena di montaggio del lavoratore dell’era digitale.
Ultimamente sono riuscito a smaltire un pauroso arretrato che si era man mano accumulato e ad avere una inbox più leggera e gestibile (dove gestibile sta per «che si può tenere in qualche modo sotto controllo»), ma è uno strumento che richiede davvero attenzione e cura quotidiani, pena l’ingolfarsi presto di nuovo.
È chiaro che bisogna andare verso nuove forme di comunicazione, come la messaggistica, spesso più sintetica e, per questo, accettabile, o tornare addirittura alle vecchie, come il telefono, che è la soluzione che più spesso mi sono trovato a prendere in mano proprio per svuotarmi la casella di posta elettronica…
Inoltre è chiaro che ogni professionista o lavoratore che ha a che fare con la posta elettronica come strumento di lavoro deve assolutamente definire delle strategie per poter «sopravvivere» allo strumento e riuscire ad essere produttivo con esso e, a volte, nonostante questo.
Quest’ultimo è un discorso su cui torneremo, sto anche redigendo una sorta di vademecum da distribuire a tutti coloro che intrattengono corrispondenza elettronica con me, con alcune regole di base chiare per rendere il rapporto più piacevole, produttivo e salvaguardare il fatto che io possa dare la mia attenzione a tutti coloro che ne hanno bisogno, o diritto, avendo ad esempio acquistato il mio tempo sui loro problemi.
Magari si potrà fare una serie di post sul tema, ognuno dedicato ad uno specifico problema, valuteremo.
Oggi voglio parlarvi di un aspetto particolare, dove ho elaborato una strategia abbastanza semplice di gestione, è che quello di controllareil riscontro che viene dato alle mail che inviamo, una cosa abbastanza cruciale per chi, come gli avvocati, vive avvolto dalle scadenze.
Il controllo dei followup.
Questo aspetto riguarda il controllo dei riscontri che si richiedono quando si spedisce una mail. Raramente, quando si compone una mail è per fare semplicemente un saluto. Di solito, è per chiedere un’informaziona o ad un’altra persona di fare qualcosa e cioè per avere una risposta, salva solo l’ipotesi, ovviamente, in cui non si stia rispondendo ad una mail, nel qual caso le posizioni sono invertite e la nostra mail ben potrebbe (anzi, di solito si spera) essere quella che conclude la comunicazione.
Per avere un elenco di mail di cui controllare che arrivi riscontro ci possono essere ovviamente diversi metodi, ma quello più veloce a mio modo di vedere si può avere rimanendo all’interno della mail stessa, senza, ad esempio, andare ad annotare alcunchè in liste, elenchi o altro, magari dentro ad un programma di gestione delle cose da fare.
Per ottenere questo risultato, il sistema da me congegnato si basa sulla definizione di una specie di alias del mio indirizzo principale di posta elettronica insieme ad una regola per la posta in arrivo, che sfrutta il segno «più»apposto dopo la prima parte dell’indirizzo, ma prima della chiocciola.
Parliamone subito in concreto per capire meglio. In sostanza, se il vostro indirizzo fosse pinco@pallino.it, quello che dovreste usare per implementare questo sistema potrebbe essere, sempre ad esempio, pinco+inattesa@pallino.it.
Dopo aver «pensato» ad un indirizzo del genere, dovete creare una regola di posta elettronica o filtro che smisti tutti i messaggi in arrivo diretti a questo indirizzo dentro ad una cartella specifica, che potrebbe essere chiamata ad esempio «in-attesa».
A questo punto, quando inviate una mail di cui volete controllare che poi vi diano riscontro, non dovete far altro che inserire tra i destinatari, nel campo CC, l’indirizzo pinco+inattesa@pallino.it.
In questo modo, quando il messaggio vi tornerà indietro, il vostro server di posta o programma di posta elettronica (consiglio, ovviamente, di definire i messaggi sul server e non a livello di client) «smisterà» la copia del messaggio nella cartella «in-attesa».
A questo punto, dovrete solo ricordarvi di guardare ogni tanto, oltre che nella inbox, anche nella cartella «in-attesa», per vedere se è stata data una risposta adeguata alle vostre mail. Con Apple Mail si può definire una «scorciatoia» a questa cartella per metterla più in evidenza, probabilmente si può fare anche con altri client di posta elettronica. Si può, inoltre, inserire in google calendar una scadenza settimanale che ci aiuti a ricordarlo.
Per implementare questo sistema, occorre che il vostro provider di posta elettronica supporti l’aggiunta di desinenze con l’aggiunta del segno «più» alla prima parte (user name) dell’indirizzo di posta elettronica. Il mio, che è fastmail, lo fa ed infatti uso questo sistema già da alcuni mesi. So che gmail, uno dei più diffusi fornitori del servizio mail (anche se a me non piace onestamente), inoltre lo supporta. Se volete implementarlo anche nel vostro, non vi resta che verificarlo, anche semplicemente provando a spedirvi una mail con questa particolare aggiunta e vedendo se vi arriva.
Grazie per avermi seguito sino a qui, se c’è qualcosa di poco chiaro lasciate pure un commento.
Gli audiolibri, come dice la parola stessa, sono libri letti – e, qualche volta, mi permetterei anche di dire: recitati – da una persona, che vengono poi fruiti dall’utilizzatore finale come se fossero un qualsiasi pezzo musicale e quindi tramite un riproduttore di audio che, oggigiorno, di solito è il cellulare e un paio di cuffie, anche se ovviamente non è certo vietato utilizzare altri sistemi di riproduzione.
Da amante inveterato dei libri, sono sempre stato un po’ scettico sugli audiolibri proprio perché la modalità di fruizione nel caso dell’audiolibro è completamente diversa rispetto alla lettura, ma ultimamente mi sono dovuto parzialmente ricredere e ogni tanto mi piace sentire un audiolibro letto, o recitato, da altri.
La modalità di fruizione è molto diversa perché ad esempio fare una pausa quando si legge e tornare indietro per rileggere un passo che ad esempio ci ha colpito particolarmente è molto più semplice di quanto possa avvenire durante l’ascolto di un audiolibro. E anche più facile, ad esempio, fare la foto di una pagina per condividerla sui social o addirittura fare copia incolla di un passaggio per conservarlo tra i nostri preferiti oppure sempre per condividerlo sui social. La differenza principale però riguarda semplicemente l’andare avanti o indietro nella lettura: chi si trova in mano un libro cartaceo può agevolmente indietreggiare del numero di parole che ritiene opportuno, mentre invece con un audiolibro non è sempre facile riuscire a tornare indietro al punto esatto in cui si vuole ritornare.
Gli audiolibri però presentano sicuramente alcuni vantaggi e ci sono situazioni in cui può essere piacevole e interessante fruire di un audiolibro piuttosto che di un libro cartaceo o di un ebook, cioè di un libro da «leggere».
Generalmente, innanzitutto, un audiolibro è utile per tutti coloro che hanno problemi o difficoltà di lettura da vicino, magari anche per stanchezza dopo essere stati a un terminale per diverse ore oppure alla sera. Personalmente, pur essendo miope, non ho ancora difficoltà di lettura da vicino e leggo bene sia sul cartaceo, a condizione che ci siano adeguate condizioni di illuminazione, sia sui supporti elettronici – cioè per lo più cellulari o tablet. Da questo punto di vista, gli audiolibri possono consentire la fruizione di un libro a persone che per motivi legati alla difficoltà di lettura non potrebbero più godere dei contenuti e dell’esdi un buon libro.
Anche a prescindere, tuttavia, dalla difficoltà di lettura ci sono delle situazioni che fanno parte del quotidiano un po’ di tutti in cui può essere utile o divertente ascoltarsi un audiolibro. Pensiamo ad esempio a quello che stiamo facendo un po’ tutti in questo periodo di vacanze e cioè prendere il sole sotto l’ombrellone. In questi casi, è sicuramente più comodo sdraiarsi completamente senza tenere il collo incurvato verso un libro, di carta o elettronico, e infilarsi un paio di auricolari per sentirsi un audiolibro. Un’altra situazione molto interessante per gli audiolibri è ovviamente quella del viaggio in macchina oppure in treno o in corriera (o, persino, in scooter) per chi fa pendolarismo o per chi si sposta per qualsiasi ragione: in questi casi può essere interessante appunto ascoltarsi un libro durante il viaggio, sfruttando nel caso dell’auto addirittura la radio della stessa e il relativo impianto con una resa sonora a mio giudizio particolarmente interessante.
Cosa usare per sentirsi gli audiolibri.
Vediamo adesso alcune considerazioni che possono essere ancora più particolarmente utili per chi non ha mai sperimentato, o ha sperimentato magari in modo solo parziale, il mondo degli audiolibri e quindi vuole iniziare ad approfondire un pochettino di più.
Abbiamo detto che per riprodurre gli audiolibri si può utilizzare la stessa apparecchiatura, si possono utilizzare gli stessi strumenti che si possono utilizzare per le canzoni per la musica in generale. In realtà, se questo è vero, è anche vero che è sicuramente preferibile utilizzare degli strumenti specifici.
Anziché utilizzare, ad esempio, il riproduttore di musica di default sul proprio cellulare – che, per chi utilizza i cellulari Android, è Google play music – è preferibile installare un riproduttore di audiolibri di terze parti. Questo perché questo tipo di riproduttori sono dotati di funzionalità specifiche per gli audiolibri tra cui ad esempio la possibilità di definire una copertina che ci consente di individuare a colpo d’occhio il nostro audiolibro, la possibilità, ulteriormente, di sincronizzare tra il cellulare e il tablet la posizione di riproduzione con la facoltà quindi di mettere a caricare il cellulare e finire di ascoltarsi un audiolibro con il tablet che magari abbiamo lasciato sul comodino.
Una funzione abbastanza interessante che hanno solitamente i software che vengono utilizzati per riprodurre audiolibri e quella di riprendere la riproduzione da alcuni istanti precedenti il momento in cui la riproduzione era stata in qualche modo fermata. Questo è molto utile per non perdere il filo del discorso ed è una funzionalità che ovviamente non è presente nei riproduttori musicali dove la musica può essere fatta ripartire solo dal momento esatto in cui era stata messa in pausa, mentre per un audiolibro che si riprende magari dopo alcune ore e invece opportuno ripetere un pezzettino che era già stato ascoltato, proprio per poter ritornare all’interno dell’universo del libro stesso. Da questo punto di vista, ci sono addirittura dei riproduttori di audiolibri che ripartono da tanto più indietro nella lettura del libro quanto più lunga è durata la pausa. Questo ha abbastanza senso, perché è chiaro che se io metto in pausa e riprendo dopo 5 secondi perché semplicemente mi sono limitato a rispondere al campanello di casa aprendo la porta è inutile che il software mi torni indietro di un quarto d’ora perché io mi ricordo ancora che cosa ho ascoltato fino a 5 secondi prima, viceversa se invece metto in pausa per tre ore può anche darsi che sia opportuno che il software ritorni indietro anche di una decina di minuti, tanto quanto è sufficiente per farmi ritornare «dentro alle pagine» diciamo così del libro e riprendere in mano il filo del discorso.
Un’altra funzionalità molto importante dei lettori specifici di audiolibri è la possibilità di variare la velocità di riproduzione, altra cosa che non è prevista nei lettori musicali classici, dove anzi la velocità deve essere quanto più possibile vicina all’originale. Variare la velocità di riproduzione consente di «leggere» o «sentirsi» l’audiolibro più in fretta e si tratta di una opportunità che personalmente uso abbastanza spesso. La voce narrante si sente ovviamente abbastanza bene, in modo sempre distiguibile, naturalmente il tono di voce diventerà più «alto» come accade quando appunto si aumenta la velocità di riproduzione (molti si ricorderanno quando si facevano andare a 45 giri al minuto i vecchi vinili da 33). Ci sono libri più che altro di saggistica che si prestano particolarmente ad essere ascoltati a velocità più rapida. In generale, credo che comunque dipenda anche dal grado di concentrazione che siano in grado di dare all’audiolibro in quel momento (che a sua volta dipende dalla nostra stanchezza, lucidità, pensieri dominanti, ecc.): se non è molta la velocità si può persino rallentare e viceversa.
L’applicazione che utilizzo io sul mio cellulare Android si chiama listen audiobook player e tra quelle che ho provato mi sembra la meglio rifinita, anche se ci sono dei concorrenti che comunque si difendono bene. È un’applicazione a pagamento, ma mi pare che costi davvero molto poco parliamo di un paio di euro e gli aggiornamenti sono abbastanza frequenti. Questa app effettua la sincronizzazione del punto di lettura tramite Google Drive e sembra funzionare da questo punto di vista abbastanza bene.
Potete chiaramente trovare altri lettori di audiolibri e vedere quello che fa più al caso vostro: vi ho detto quali sono le funzioni che sono più utili e quindi vi raccomando di accertarvi che queste funzioni siano presenti perché poi nell’uso quotidiano ne sentirete probabilmente il bisogno.
Come procurarsi gli audiolibri.
Veniamo adesso ad un altro aspetto molto importante e cioè dove ci si possono procurare gli audiolibri e come vanno gestiti una volta che ci se li è procurati.
Allora innanzitutto ci sono audiolibri disponibili sia negli store previsti per i cellulari e dispositivi Android sia in quelli previsti per i dispositivi Apple, quindi per cercare un audiolibro, magari anche per provare il primo della vostra vita, potete semplicemente aprire Play Store se avete un cellulare Android oppure iTunes Store se avete un iPhone o un iPad.
Personalmente, non mi piace tanto acquistare i miei audiolibri in questo modo, preferisco comprarli direttamente sul sito del produttore, o meglio, in questo caso, editore. Questo perché gli audiolibri acquistati tramite gli stores come quelli citati sono protetti da sistemi di tipo DRM che impediscono la copia per cui se ad esempio un domani passate da iPhone ad Android o viceversa rischiate di non poter più leggere i vostri audiolibri, salvo solo l’ipotesi di non riuscire a craccarli cosa che non è poi sempre così semplice.
C’è un editore in Italia che effettua pubblicazioni a mio giudizio di pregio di audiolibri e si tratta di Emons audiolibri.
Personalmente, per acquistare i miei audiolibri e poi ascoltarmeli procedo in questo modo.
Innanzitutto li acquisto direttamente sul sito di Emons, facendo poi il download dei file MP3 sul Mac e inserendoli all’interno di una directory contenuta in Dropbox che come sapete è un sistema di sincronizzazione tramite la cloud dei file locali.
Ogni libro lo inserisco in una cartella a sé stante, senza fare ramificazioni ulteriori con altre sottocartelle, usando la sintassi di mettere il nome dell’autore e il titolo del libro. In questo modo, comunque i libri rimangono ordinati per nome dell’autore stesso.
Una volta fatto questo, i libri vengono sincronizzati tramite Dropbox. Per poterli portare in una cartella locale dei miei dispositivi utilizzo una utility che si chiama dropsync e che consiglio vivamente a tutti coloro che utilizzano un cellulare o un tablet Android. Tramite dropsync, i miei audiolibri vengono copiati da Dropbox in una cartella locale sulla memory card dei miei dispositivi.
Dentro a Listen Audiobook Player, poi, così come anche dentro ad altri lettori di audiolibri, è possibile definire una cartella «radice» in cui il programma deve cercare tutti i file degli audiolibri. Ovviamente, ho definito come cartella radice quella in cui dropsync mi sincronizza la cartella degli audiolibri in locale. Listen Audiobook Player a quel punto fa una scansione di tale cartella e trova tutti i libri che vi sono contenuti, organizzandoli in un’apposita libreria da dove l’utente li può scegliere per la riproduzione.
Questa impostazione anche il vantaggio di consentire ad esempio di sistemare i tag degli mp3 che non dovessero essere stati compilati correttamente dall’editore attraverso un’app locale per la modifica di questi tag restando inteso che, dopo la modifica, poi, tramite la sincronizzazione mediante Dropbox, le modifiche si propagheranno anche a tutti gli altri dispositivi.
È vero che una configurazione del genere è un po’ laboriosa e probabilmente per utenti più avanzati; ho ritenuto comunque opportuno appunto, a beneficio di questi ultimi, descriverla, restando inteso che gli utenti invece con meno capacità informatiche possono limitarsi benissimo a fruire degli audiolibri acquistati tramite gli store presenti nei loro cellulari e con le applicazioni relative. Anche se l’uso sarà meno avanzato, comunque saranno in ogni caso in grado di utilizzarli.
La qualità degli audiolibri.
Parliamo ora di un altro aspetto abbastanza rilevante relativo agli audiolibri. Si tratta della qualità della lettura o, se vogliamo, «recitazione».
Su internet, specialmente in lingua Inglese, si trovano molti audiolibri, ma una buona parte di questi sono stati letti e registrati da persone comuni senza particolari abilità di dizione e recitazione e quindi la qualità dell’esperienza purtroppo ne risente, a volte in maniera abbastanza pesante.
Prima accennavo alla produzione editoriale di Emons. Gli audiolibri prodotti da questa casa mi sembrano di buona e a volte anche eccellente qualità, perché questo editore incarica attori professionisti del cinema e di teatro di leggere i propri audiolibri e la differenza a mio giudizio si sente molto.
Tra l’altro i prezzi non sono nemmeno impossibili anzi ci sono spesso degli sconti e comunque gli audiolibri hanno un costo più o meno paragonabile a quello del libro cartaceo se non addirittura inferiore. Recentemente ad esempio ho avuto occasione di acquistare l’audiolibro dei Promessi Sposi letto da Paolo Poli, attore di teatro recentemente scomparso, e devo dire che la qualità è assolutamente eccezionale: la resa, specialmente nei dialoghi, è incredibile e quindi la professionalità di questi attori effettivamente attribuisce maggior valore ad un audiolibro.
Conclusioni.
Spero di avervi dato qualche spunto interessante per entrare in questo mondo che vale la pena di coltivare anche perché magari ci consente di poter consumare un libro, sia per ragioni di intrattenimento, sia, molto più spesso, per ragioni di crescita personale, dal momento che esistono audiolibri anche di manuali di auto aiuto e appunto di crescita personale che magari non riusciremmo a trovare il tempo e il modo di leggere se procedessimo nel modo tradizionale.
Non so come la pensiate voi, ma personalmente nonostante il proliferare di corsi a destra e a manca a cui assistiamo oggi giorno, continuo a ritenere che il libro sia uno dei veicoli principali, se non il principale in assoluto, per veicolare la conoscenza e promuovere la ricchezza e la correttezza del linguaggio, sia quello proprio nazionale sia spesso un eventuale linguaggio estero.
Si tratta di oggetti indossabili, che per molte persone non hanno ancora un senso ben preciso, molti infatti non capiscono a cosa possano servire oggetti del genere. In realtà, gli smartwatch sono abbastanza utili perché portano al polso una serie di cose che sono collegate al cellulare e che può essere effettivamente più comodo vedere anche quando abbiamo il cellulare in tasca o comunque lontano da noi.
La pressoché totalità degli smartwatch è collegata ad un telefono di riferimento e si tratta quindi di un tethering il collegamento ovviamente è tramite bluetooth. Alcuni modelli, come vedremo meglio in seguito, sono dotati della possibilità di inserire una scheda SIM e quindi di una connessione dati, di un numero telefonico e della possibilità di inviare e ricevere chiamate esattamente come avviene per i cellulari.
Ad ogni modo, tramite gli smartwatch riusciamo a vedere le notifiche che arrivano sul cellulare. Se un nostro contatto dunque ci manda un messaggio, di tipo sms ma anche whatsapp o telegram o altro, noi siamo in grado, alzando il braccio, di vedere il messaggio e se del caso andare a prendere il cellulare per rispondere oppure rispondere direttamente dallo smartwatch, per i modelli in cui è possibile. Ovviamente, se il messaggio non fosse urgente, potremmo semplicemente ignorare la notifica e rispondere più tardi senza fretta.
Un’altra cosa molto importante che viene portata sul polso è la indicazione delle chiamate. Quando un nostro contatto chiama il nostro cellulare, sull’orologio siamo in grado di vedere chi sta chiamando. Se riteniamo di rispondere alla chiamata, quindi, andiamo a prendere fuori il cellulare, altrimenti possiamo soprassedere per richiamare più tardi o in alcuni casi anche inviare un messaggio preconfezionato in cui appunto diciamo che non possiamo rispondere, ma che richiameremo ad esempio più tardi.
In realtà, dunque, gli smartwatch sono oggetti molto utili. Purtroppo, il mercato non ha ancora capito le loro potenzialità, ma questo non toglie che rimangano periferiche piuttosto importanti per incrementare la nostra produttività o comunque rendere più piacevole il modo in cui utilizziamo i nostri cellulari.
Oggigiorno, chi volesse provare uno smartwatch o dotarsi di un esemplare si trova innanzitutto di fronte alla scelta della famiglia di smartwatch da adottare.
Grosso modo oggi giorno ci sono 4 grandi soluzioni disponibili. Più alcune strade ulteriori di cui diremo brevemente.
La prima soluzione è quella della Apple, che si sposa perfettamente con i telefoni della stessa casa e cioè con gli iPhone. La seconda soluzione è quella di Android wear. Una ulteriore alternativa è quella offerta da Samsung con i suoi orologi di tipo Gear che montano il sistema operativo Tizen. La quarta soluzione possibile, che presenta alcune peculiarità ma che a mio giudizio è nonostante tutto ancora oggi la migliore di tutte, è quella di Pebble.
Le strade alternative sono innanzitutto quelle dei telefoni «cinesi» che montano versioni complete di Android, cioè non Wear ma Android completo, e che si possono vedere ed eventualmente acquistare su Gearbest. Ho avuto uno di questi orologi / cellulari, il loro problema è ovviamente il consumo eccessivo di batteria, per alcuni versi sono versatili e interessanti perché puoi montare tutte le applicazioni previste per Android, purtroppo non ci sono cose con un livello adeguato di finitura. Io ho avuto un Domino DM368 che dopo alcuni mesi un bel giorno è morto definitivamente, senza accendersi più.
Un’altra strada alternativa allo smartwatch sono gli ibridi di Fossil, che mi ha segnalato il mio amico Francesco Fumelli. Si tratta di orologi costruiti in modo tradizionale, con integrate alcune funzioni «smart».
Torniamo comunque alle principali 4 «famiglie» ad oggi disponibili, seguendo l’ordine già indicato.
L’orologio di Apple è un prodotto abbastanza ben rifinito e con il quale si riescono a fare diverse cose interessanti, tra cui ad esempio rispondere direttamente ad una chiamata dall’orologio sfruttandone il microfono e l’altoparlante e rispondere ad alcuni messaggi di posta elettronica dettando all’orologio, cosa che a me è capitato di fare in più occasioni con buoni risultati. Il prodotto di Apple è, dopo Pebble, quello sicuramente meglio rifinito e ben concepito il suo difetto è quello di sposarsi per lo più con gli iPhone anche se mi pare che in qualche modo sia utilizzabile anche con le periferiche Android, ma ovviamente con un set di funzioni necessariamente più limitato.
Gli orologi Android wear invece a mio giudizio sono ancora davvero molto acerbi, nonostante recensioni molto, troppo giulive che si possano leggere in giro. Ho avuto diversi modelli di orologi Wear e li ho man mano restituiti tutti, in quanto sostanzialmente inadeguati ad un uso di produzione e più simili a dei prototipi. Ho avuto l’orologio di LG (Urbane 2) con la sim interna quindi in grado di fare telefonate così come un vero e proprio cellulare e di collegarsi alla rete, purtroppo dopo alcuni mesi ha smesso di ricaricarsi e l’ho dovuto restituire per malfunzionamento in ogni caso era un orologio rifinito in maniera ben peggiore di Apple watch a partire dalla base di ricarica dal cinturino non ripiegabile e da tutta una serie di cose che dimostravano che il progetto era stato portato avanti con davvero poca cura. Un altro orologio assurdo che ho avuto è stato il primo Huawei che ho restituito dopo alcuni giorni perché, anche qui, nonostante recensioni benevole e giulive mancava di un set di funzioni minime perché potesse essere utilizzato in maniera davvero produttiva. In seguito ho voluto provare anche la versione 2 dell’orologio di Huawei ricevendo in questo caso una delusione ancora peggiore in quanto l’orologio non arrivava mai a sera con la batteria, l’ho tenuto una decina di giorni e non sono mai riuscito ad arrivare a sera un giorno verso le 5:00 addirittura l’orologio moriva alle 5 del pomeriggio ovviamente e così l’ho restituito ad Amazon mi sembra che una periferica del genere sia assolutamente inidonea per essere collocata sul mercato, a meno che la mia unità non fosse una unità difettosa.
Lo stesso sistema operativo Android Wear è un lavoro che sembra lasciato a metà avevo riposto alcune speranze nella seconda versione di questo sistema operativo, ma quando l’ho potuto provare l’ho trovato ancora largamente inadeguato e non finito e portato a dei livelli idonei per un utilizzo davvero produttivo. Probabilmente, per le case produttrici di Android gli smartwatch sono al momento progetti collaterali ai quali non vengono destinate adeguate risorse o sui quali non vengono svolti investimenti di una certa importanza per cui ci ritroviamo con il mercato invaso da veri e propri zavagli pressoché inutilizzabili.
Un discorso diverso vale per le soluzioni di Samsung una casa che per quanto riguarda i cellulari non mi sta simpaticissima per il fatto di avere modificato in maniera eccessiva la sua versione di Android per introdurre delle utilities e delle funzioni di sistema che sono sostanzialmente inutili e appesantiscono il sistema operativo. Per quanto riguarda la linea di orologi gear, ho avuto occasione di provare un s2. Devo dire che qui la progettazione è stata molto più felice a partire dalla presenza di due bottoni sul lato destro dell’orologio abbastanza funzionali e soprattutto della ormai famosa e utile ghiera ruotabile dell’orologio. Se si tiene in mano un orologio Samsung si ha l’impressione a differenza di quanto avviene con Android wear di avere a disposizione un oggetto che è stato pensato da persone e ingegneri con un po’ di sale in zucca e che hanno lavorato davvero sul progetto. Il problema di Tizen e quindi di conseguenza di questi orologi Samsung è che le applicazioni a disposizione sono abbastanza poche. Per avere Spotify ad esempio gli utenti europei hanno dovuto aspettare fino a luglio 2017 quando Spotify a mio giudizio è una utility assolutamente fondamentale per uno smartwatch perché ti deve consentire di telecomandare la tua musica ma anche di poter salvare le canzoni sull’orologio per poterle ascoltare ad esempio quando si è fuori senza cellulare come tipicamente nel caso in cui si va fuori a correre. Forse è ancora un po’ presto per vedere se Tizen come piattaforma si diffonderà al momento le applicazioni sono abbastanza poche. Gli orologi Samsung rimangono comunque abbastanza ben congeniati è abbastanza stabili per cui possono essere presi in considerazione a seconda delle esigenze di chi deve utilizzare ovviamente. Il modello attuale è venduto anche in una versione con LTE e quindi con la possibilità di installare una scheda SIM per essere indipendente dal cellulare e quindi per poter inviare e ricevere telefonate anche quando si è lasciato il cellulare a casa, oltre a consentire una connessione dati tramite la quale si possono ricevere ad esempio sull’orologio le notifiche che arrivano sul cellulare. Purtroppo ad oggi questa versione non è ancora venduta nel nostro Paese è venduta solo all’estero ma non credo che anche potendo acquistare questo orologio all’estero possa essere una buona idea perché ogni paese ha delle proprie bande LTE e quindi la compatibilità dell’eventuale prodotto estero con la rete italiana sarebbe da verificare. Una cosa che mi è piaciuta molto di Samsung è che rileva automaticamente l’attività: un giorno sono uscito con la bicicletta e lui se ne è «accorto», iniziando a registrare l’allenamento.
Adesso parliamo di Pebble. Vi ho già anticipato che secondo me lo smartwatch migliore di tutti mai realizzato è pebble. Purtroppo pebble è stato acquistato da Fitbit e l’intera produzione è stata dismessa. Attualmente, pebble è un prodotto in corso di smaltimento si trovano ancora alcuni esemplari su Amazon che chi vuole può comprare anche per poche decine di euro ad esempio io in questo momento che sto scrivendo questo articolo al polso ho un pebble di prima generazione di colore rosso pagato €40. Da questo punto di vista, nonostante la dismissione della linea, chi non ha mai avuto uno smartwatch potrebbe cominciare proprio con un pebble. La spesa è bassissima e in ogni caso se non ci si trova bene con Amazon si può fare il reso entro qualche giorno.
Ma vediamo quali sono le particolarità del pebble che lo rendono a mio giudizio è migliore smartwatch ad oggi realizzato nonostante il triste destino che gli è stato riservato.
Allora innanzitutto la batteria del pebble dura effettivamente è questo lo posso dire perché io ho avuto 4 pebble anche fino ad una settimana. Questa è una cosa fondamentale per tutti gli smartwatch che i produttori più blasonati purtroppo non hanno capito. Sia il prodotto di Apple che quello di Samsung devono essere caricati almeno ogni sera ben difficilmente possono fare due giorni di seguito senza essere ricaricati. Non parliamo poi di quelli di Android wear dove molti oggetti purtroppo non arrivano nemmeno a sera. La possibilità invece di avere una batteria che dura fino ad una settimana consente di utilizzare lo smartwatch anche ad esempio durante la notte per monitorare la qualità del sonno una cosa che nonostante le applicazioni disponibili è difficile da fare con tutti gli altri orologi.
Una peculiarità del pebble è che il suo schermo non è touch screen. Lo schermo del pebble inoltre è realizzato con tecnologia e ink e cioè ad inchiostro elettronico simile a quella del lettore Kindle di Amazon o di un qualsiasi altro ebook reader punto Il pebble tradizionale è in bianco e nero ma esiste anche una versione a colori che è il pebble time che si trova ancora su Amazon e che ha uno schermo molto bello. Non è uno svantaggio la mancanza di un touch screen su un orologio come questo? A mio giudizio no anzi la scelta di Pebble è azzeccata. Piuttosto in prodotti come questo servono molti pulsanti o ghiere ruotabili come hanno fatto Samsung è Apple Il pebble a questo riguardo a quattro pulsanti I sulla sinistra che è assimilabile ad un pulsante di tipo indietro o Bach E3 sulla destra che hanno funzioni diverse anche a seconda del tipo di pressione cioè singolo tappo tap prolungato questo secondo me è il modo giusto di ingegnerizzare un prodotto di questo genere. Il pebble tra l’altro è completamente impermeabile quando mi alzo al mattino lo prendo dalla mia base di ricarica me lo metto e vado sotto la doccia sotto la doccia il pebble è completamente utilizzabile e quindi lo posso usare per aumentare il volume della musica cambiare traccia visualizzare le notifiche rispondere ai messaggi con quei modelli che hanno il microfono tutte cose che sono inutilizzabili con gli orologi che hanno un touch screen che sotto la doccia non può essere utilizzato.
Un altro grande vantaggio di questa scelta particolare sullo schermo è la visibilità in qualsiasi condizione di luce ed illuminazione. Mentre i touchscreen adottati da tutti gli altri produttori in pieno sole sono leggibili solo a fatica, Il pebble è sempre leggibilissimo come se si stesse guardando un foglio di carta, allo stesso modo di un book reader o del Kindle di Amazon. Addirittura LG con il suo orologio è riuscita ad essere così demenziale da non mettere nemmeno un sensore di luminosità così un orologio che costa quasi €500 come il suo modello urban sotto il sole è praticamente illeggibile mentre in casa in condizioni di scarsa luminosità sembra una torcia, una ulteriore indicazione del fatto che questi progetti non sono stati seguiti adeguatamente.
Un altro vantaggio del pebble, che si è incrementato ultimamente per effetto della sua dismissione, è stato il prezzo ridotto che induce tutti quei potenziali utenti insicuri ma attratti dal oggetto tuttavia non disponibili a sborsare centinaia di euro a provare un indossabile, a vedere che cosa si può realizzare con uno smartwatch e come si può essere più produttivi. Come accennavo prima, adesso i pebble vengono letteralmente svenduti è il mio consiglio è proprio quello di prendersene uno nonostante l’incertezza circa le loro funzionalità. Ultimamente ad esempio io stesso mi sono comprato, al prezzo di uno solo, 3 pebble: un pebble 2 color bianco e acquamarina con rilevazione del battito cardiaco un pebble time steel con cinturino in pelle e schermo a colori e un pebble classico di colore rosso. Tra tutti e tre i modelli, tendo a preferire il pebble 2 con schermo in bianco e nero ma cinturino in silicone che mi posso infilare al mattino subito prima di entrare in doccia anche se probabilmente prenderò un cinturino alternativo per il pebble time per poter fare la stessa cosa. A proposito di questo va detto che non tutti gli smartwatch hanno la possibilità di cambiare il cinturino ad esempio il modello di LG che addirittura aveva integrato il GPS nel cinturino non consentiva ha fatto di cambiarlo e così molti altri mentre invece i prodotti di Apple di Samsung e tutti i pebble hanno i cinturini intercambiabili e questa è una grandissima comodità.
Bisogna dire qualcosa anche riguardo del futuro di Pebble. Al riguardo c’è molta incertezza. L’orologio ovviamente dovrebbe continuare a funzionare anche una volta che i server di Pebble siano stati smantellati e le notifiche dovrebbero essere portate sull’orologio senza nessun problema. Molti più dubbi ci sono invece sulla funzione di riconoscimento vocale che come tale si appoggia ai server di Pebble che a loro volta sono appoggiati ai server di Nuance. Trattandosi di un prodotto dismesso, queste funzionalità di riconoscimento vocale potrebbero cessare da un momento all’altro Senza molto preavviso ed è veramente un peccato perché la funzionalità di riconoscimento vocale funziona abbastanza bene ed è davvero comodo rispondere ad una notifica ad esempio di WhatsApp dettando la risposta direttamente dall’orologio, io stesso lo faccio spesso anche questo di nuovo mentre sono sotto alla doccia.
C’è da dire che il gruppo di sviluppo di Pebble è ancora al lavoro anche se nessuno se lo sarebbe aspettato. Proprio in questi giorni è stata rilasciata una versione beta della app del pebble che corregge alcuni baci che si erano manifestati ultimamente tra cui la scomparsa delle anteprime dei quadranti all’interno dell’applicazione stessa. Il fatto che il gruppo continui a lavorare fa ben sperare e ipotizzare che Fitbit non voglia smantellare del tutto un progetto così bello per poter eventualmente realizzare se non un nuovo pebble almeno un nuovo prodotto Fitbit che si appropria di tanti pregi dei vecchi pebble. Ovviamente la speranza è anche che Fitbit continui a supportare le funzionalità dei modelli esistenti. Anche al netto di questo, a mio giudizio conviene sempre trovare un pebble, specialmente se non avete mai avuto uno smartwatch per vedere che senso possono avere questi indossabili prendendo la migliore realizzazione che ne sia mai stata fatta.
Il mio consiglio finale, per tutti quelli che genericamente sono interessati al mondo degli smartwatch, è di provare ad entrarci prendendo ad esempio un Pebble da 50 euro su Amazon. Anche se cesserà di funzionare in tutto o in parte resterà comunque funzionante come orologio e potrete sperimentare la comodità di un indossabile che porta alcune funzioni del cellulare al posto.
Tempo fa, sono passato da iPhone a Android, come ho raccontato in questo post.
Non rimpiango affatto quella scelta, della quale sono profondamente soddisfatto avendo potuto fare molte più cose ed essere molto più produttivo che con un iPhone.
Recentemente tuttavia, ho incontrato alcuni problemi di rallentamento del telefono che ho potuto risolvere solo ripristinandolo con le impostazioni di fabbrica e reinstallando tutto quello di cui avevo bisogno.
Da questo punto di vista, Android sembra davvero molto simile a Windows. Infatti, prima di reinstallare da capo il sistema operativo ho tentato di ripulirlo in tutti i modi: ridurre ad esempio lo spazio occupato in memoria, installare applicazioni che avrebbero dovuto rimuovere la sporcizia e le altre cose che impedivano un funzionamento regolare del telefono, cambiare il launcher di Android e diverse altre cose che alla fine purtroppo non sono state utili. Come Windows, ho dovuto piallare completamente il sistema operativo e reinstallarlo da zero.
C’è però da dire che il ripristino del sistema con un telefono Android e tutti i servizi di Google attivati è abbastanza veloce e indolore dal momento che tutti i dati vengono recuperati dalla cloud.
Una limitazione che c’è in Android e che non è invece presente nelle periferiche Apple è il fatto che il backup di un telefono Android così come di un tablet si può fare in modo completo solo dopo aver fatto il root del telefono e con applicazioni di terze parti, quando invece le periferiche Apple hanno un sistema di backup completo sui server di Apple o tramite iTunes.
Questo spiazza un po’ nel momento in cui bisogna ripristinare il telefono alle impostazioni di fabbrica, perché un backup completo come paracadute nel caso in cui si perdessero, durante l’operazione, dei dati sarebbe davvero molto importante da avere.
Per questo motivo, ho temporeggiato molto prima di decidermi a fare questa operazione, che però alla fine sono riuscito a fare agevolmente proprio perché la pressoché totalità delle applicazioni che si utilizzano mantiene i propri dati ormai o nella cloud o comunque sincronizzati con un server.
Whatsapp ad esempio è una di queste applicazioni, una volta ripristinata la quale viene offerta la possibilità di recuperare tutti i dati composti sia da messaggi che da elementi multimediali dal backup che si trova sul server di WhatsApp. In realtà io ho perso un paio di messaggi che si vede non erano stati copiati ancora sui server prima del ripristino, ma si tratta di poca roba e di niente di importante.
Prima di fare il ripristino, il mio telefono era diventato pressoché inutilizzabile.
Probabilmente, si trattava di una applicazione che avevo installato e che era mal progettata o che comunque si era corrotta, purtroppo non sono stato in grado di individuarla e devo dire che non sono riuscito nemmeno a trovare delle applicazioni tipo task manager che mi potessero aiutare in questa ricerca. Il Play Store è pieno di applicazioni di questo genere però quando le vai a provare vedi che purtroppo non hanno le funzioni che ti servono per fare questo tipo di lavoro.
Alla fine, probabilmente, chi usa un telefono Android è bene che metta in conto di doverlo ripristinare ogni tanto scegliendo le applicazioni anche in funzione di ciò e pertanto prediligendo quelle applicazioni che mantengono i dati nella cloud oppure li sincronizzano con un server dal quale possono essere agevolmente recuperati.
Certo che Google dovrebbe prevedere la possibilità di fare un backup integrale di un terminale Android dal momento che un backup di questo genere può sempre essere utile, se non altro proprio come paracadute nel momento in cui si effettuano operazioni come quella che ho fatto io.
Da questo punto di vista, devo dire che Android mi ha un po’ deluso, speravo che fosse un sistema più gestibile in caso di problemi e il fatto che io abbia dovuto per ritornare a lavorare fare un’operazione che si faceva tipicamente con Windows, e che con i miei Mac non ho mai dovuto fare, mi ha un po’ fatto pensare.
Al netto di questo, continuo a ritenere Android di molto superiore ormai ad iOS e quindi a consigliarlo per chiunque vuole avere la massima produttività, anche mettendo in conto una sosta ai box ogni tanto, che nel mio caso si è resa necessaria dopo circa un anno di utilizzo intenso.
Al momento in cui scrissi il mio post di confronto tra iOS e Android non avevo ancora deciso il terminale da prendere. Stavo orientandomi verso il Note 7 della Samsung che per fortuna non ordinai visto quello che poi è successo con i problemi di esplosione dovuti alla batteria. Alla fine, ho preso un moto Z Play di Motorola, che mi ha soddisfatto per tanti motivi pur essendo un terminale di fascia media. L’aspetto migliore di questo telefono è sicuramente la durata della batteria che è abbastanza superiore a quella della media dei concorrenti è che è un aspetto a mio giudizio abbastanza importante. Motorola ha presentato il successore del modello che ho preso io con alcune migliorie ma purtroppo con una diminuzione della capacità della batteria una scelta che a mio giudizio è palesemente sbagliata e poco giustificabile anche se questo terminale purtroppo non è ancora commercializzato nel nostro Paese Negredo altrove e quindi non si sono potuti fare ancora dei test sulla durata effettiva della batteria.
Può capitare di avere tra le mani un ebook in formato ePub troppo grande. Ad esempio, Play Libri di google accetta ePub solo fino a 100 mega. Ci sono anche libri che superano questa dimensioni, tipicamente libri con molte immagini. In questi casi, c’è il problema di come ridurre le dimensioni del file per caricarlo sul proprio lettore preferito (o magari per metterlo su una periferica con poco spazio a disposizione o altro).
La cosa è più semplice di quel che potrebbe sembrare, dal momento che gli ePub sono in realtà degli archivi zip, cioè dei file compressi con dentro immagini, pagine html e altri elementi, una specie cioè di mini sito web, se vogliamo.
La procedura da seguire, sul mac (adattabile come al solito mutatis mutandis anche su altri sistemi), è la seguente.
Innanzitutto, bisogna usare un programma apposito per scompattare e ricompattare l’archivio zip, perché se si usa un compressore generico poi l’epub una volta ricompattato non funziona.
Io utilizzo ePub Zip-Unzip, che in realtà è solo un Applescript che immagino esegua, con una semplice interaccia grafica, alcune istruzioni a riga di comando.
Venendo al dunque, dovete per prima cosa prendere il file epub di cui dovete ridurre le dimensioni, lavorando magari su una copia da mettere sul desktop (consiglio di conservare sempre un originale del file, anche perché inevitabilmente la qualità delle immagini è destinata a degradare anche se in modo spesso impercettibile).
Lanciate a questo punto ePub Zip-Unzip. Vi chiederà di indicare il file da estrarre e poi dove salvare il contenuto dell’estrazione. Procedete.
Avrete una cartella con tutti i singoli files contenuti dentro allo Zip. Simile a questa.
Ovviamente, dovete andare dentro a /OEBPS/Images.
Qui dovete procedere come segue. Aprite Anteprima / Preview in modo da averla nel dock. Quindi entrate in Images e selezionate tutti i files di immagine. Trascinateli sopra Anteprima nel dock. Vedrete che saranno tutti aperti, mostrando le miniature a sinistra. A questo punto dovete selezionarli tutti con COMMAND + A e quindi aprire lo strumento di ridimensionamento dal menu, ottenendo una schermata simile a questa:
Nel mio caso, è stato sufficiente ridurre al 95% delle dimensioni originali le immagini. Lo strumento è fatto benissimo, perché mostra quale sara la dimensione dopo l’intervento, insieme a quella precedente, così potete fare volta per volta i vostri calcoli e le vostre considerazioni.
Scelta la proporzione giusta, dovete dare ok, poi chiudere Anteprima in modo che tutte le immagini siano ridimensionate e salvate.
A questo punto, aprire ePub Zip-Unzip scegliendo la cartella dove si trovano tutti i files dell’ePub e facendogli compiere il processo inverso, di creazione dell’ePub.
Al termine, naturalmente potete cancellare tutto quello che avevate messo temporaneamente sul desktop.
Recentemente mi sono imbattuto, in Mac OS Sierra, in un problema fastidioso e curioso, con una soluzione altrettanto curiosa e insensata, ma funzionante, al momento in cui sono stati pubblicati aggiornamenti che avevo regolarmente acquistato o scaricato tramite il Mac App Store che, a questo punto, diventa sempre meno consigliabile come fonte di approvvigionamento del software, essendo a mio modo di vedere preferibile acquistare le applicazioni direttamente dalle case software.
Ad ogni modo, il problema era che mi proponeva di aggiornare le applicazioni per cui erano disponibili nuove versioni con un account diverso da quello con cui erano state a suo tempo scaricate, di un altro utente (nel caso specifico: mia figlia) dello stesso mac.
Non so come mai accadesse questo, sono certo di avere scaricato le applicazioni con il mio utente, che è l’unico di amministratore, anche perché l’account di mia figlia, sino a poco fa, era anche vincolato a controlli parentali.
Ad ogni modo, gugolando in rete ho trovato la soluzione più rapida per questo problema (l’alternativa sarebbe stata rimuovere e reinstallare ex novo le applicazioni). Non ha alcun senso logico.
La soluzione consiste nel rimuovere le applicazioni dal famigerato launchpad (un giorno mi piacerebbe incontrare una persona che lo usa…). Se le si rimuovono dal launchpad, poi l’aggiornamento viene effettuato correttamente, con l’ID dell’app store dell’utente corretto e corrente.
Per rimuovere le applicazioni dal launchpad, è sufficiente lanciarlo, tramite spotlight o dalla cartella applicazioni o dal dock se siete stati così temerati da lasciarlo nel dock (personalmente, uso Alfred), quindi tenere premuto sul mouse (proprio come si fa con iOS) su di un’icona. Tutte le icone inizieranno a «ballare», mostrando il segno «X» in alto a sinistra, cliccando quello l’applicazione in questione sarà eliminata.
Non ho alcuna idea di come mai ci sia un problema del genere, nè di come possa funzionare una soluzione di questo tipo, ma se vi capita, potete utilizzarla.