In questa puntata, torno a parlare, a partire dalla domanda di una nostra ascoltatrice che si sfoga di un momento difficile vissuto – proprio il giorno del suo compleanno – col suo partner (in realtà si erano lasciati da poco), di problemi nelle relazioni: nella coppia, ma anche nelle relazioni di amicizia, parentela, genitori – figli e così via, in sostanza in tutte le relazioni della nostra vita.
Ti raccomando di ascoltare con attenzione questo episodio, in cui tocco molti punti della mia pratica di counseling ed in cui parlo di molte cose di cui parlo spesso durante la medesima con i miei clienti, tra cui:
ascolto
counseling come fenomeno che deve fare parte della vita di tutti i giorni
psicologia e erroneità di un’approccio che tratta la spiritualità con la scienza
grandi opere della letteratura e della poesia
anima
lentezza e suoi legami con l’ascolto
inutilità delle soluzioni e importanza delle connessioni
come trattare le persone che presentano un problema o un disagio
valore del mito, della letteratura e della poesia come cura per l’anima dell’uomo
amore egoico ed amore animico
e molto altro…
«Una cosa che facciamo a volte di fronte a conversazioni difficili, è cercare di migliorare le cose. Cercare di porle in una buona luce. Ma se io condivido qualcosa di molto duro con te preferirei che mi dicessi “non so nemmeno cosa dire in questo momento ma sono felice che tu me ne abbia parlato”. Perché la verità è che raramente una risposta può migliorare le cose. Quello che migliora le cose è la connessione.» (Brené Brown)
Approfitta dei riferimenti che ho compilato di seguito per fare il punto su ascolto, relazioni, lentezza: tre «cardini» della tua vita.
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«La lentezza» di Kundera: una dimensione temporale, un ritmo, cui è necessario ritornare, perché la lentenzza vince sempre…
Vuoi fare counseling con me?
Se abiti in zona, o vuoi comunque organizzarti per venire in zona, chiama lo studio al mattino al numero 059 761926 e concorda un appuntamento. Se sei lontano da Vignola, leggi questo post per capire come potremmo fare. Resta comunque in contatto, segui blog e radio solignani podcast.
Il mio sogno era di diventare insegnante, ma non di una disciplina tradizionale come la lingua italiana, la matematica, la fisica, bensì delle qualità dell’essere: compassione, non giudizio, empatia, ascolto, bellezza, musica, emozioni, inconscio…
Tutte quelle cose che sono assolutamente necessarie per vivere bene e in maniera appagante, da uomini liberi e non da schiavi, come invece ci hanno educato.
Sì perché le qualità dell’essere non ce le insegna nessuno.
Non la scuola, che si dedica alle materie classiche, diventando spesso purtroppo una fucina di mentalizzazione, non la famiglia, dove si fa sempre più fatica non dico a parlare di queste cose, ma spesso a parlare tour court, perché c’è sempre un «altro impegno» più importante, o, in mancanza, un messaggio, una chat, un commento o un like, veicolati da una tavoletta, cui dare prioritariamente attenzione.
Non le insegna la Chiesa e questa è la mancanza più grave e «colpevole» perché la Chiesa, col catechismo e con tutte le altre attività pastorali, esiste proprio per prendersi cura dell’anima. Il Vangelo, che tu ci creda o no, é un insuperabile manuale di crescita personale e cura dell’anima, peccato che non ci sia rimasto quasi più nessuno, a partire proprio dalla Chiesa, a veicolarne i messaggi.
Oggi la formazione, soprattutto dei giovani, é completamente rovesciata.
La prima cosa che dovrebbe apprendere un uomo libero sono le qualità dell’essere: per essere un bravo amico, figlio, fratello, coniuge, genitore un domani. La seconda cosa di cui si dovrebbe prendere cura un giovane uomo, una giovane donna, é il suo corpo: un dono meraviglioso, il primo mistero, da cui tanto dipende tutto il resto. Solo da ultimo ci si dovrebbe prendere cura della mente.
Oggi invece é tutto rovesciato. Sì é schiacciati dal lavoro di formazione mentale, che spesso degenera in una mentalizzazione, che causa spessissimo piccole o grandi nevrosi – su questo sfido chiunque a dimostrare il contrario. Si fa poco per il corpo. Non si fa niente, assolutamente niente per l’anima.
Poi ci si scopre – grazie al cazzo – ad essere bravi lavoratori, ma con relazioni col coniuge, coi figli, coi genitori, cogli amici devastate, e devastanti. Cioè, come dico sempre: giganti nel lavoro, nani nella vita privata.
Ma la vita vera é quella del lavoro o la famosa vita privata?
Avevo un sogno, dunque. Quello di diventare insegnante di qualità dell’essere.
Nel 2019, grazie a Dio, l’ho realizzato. Ho potuto aiutare, nella mia pratica di counseling, tante persone ad aprire gli occhi, a prendere consapevolezza di tante cose e di come è fatto davvero il cuore dell’uomo, il nostro cuore, a tornare a viverci dentro, scendendo di un piano, dalla testa al petto, a riprendere a vivere con soddisfazione all’interno di matrimoni e convivenze che erano pieni di dolore.
La cosa che ogni volta ancora mi stranisce é che basta così poco, non ci vuole poi molto ad acquisire le consapevolezze necessarie per vivere bene con se stessi e con gli altri…
Al 2020 chiedo solo di poter continuare così, diventare giorno per giorno una versione migliore di me stesso ed avere l’occasione di aiutare sempre più persone.
Grazie per l’affetto con cui mi segui sempre, significa molto per me
Buon anno 2020, che la mano di Dio sia sempre su di te per proteggerti. Un abbraccio.
Per il 2020, ti auguro di ottenere davvero quella vita che al momento fingi solamente di avere sui social, per poi scoprire così che in realtà non ti serve per essere felice.
Tendi troppo a giudicarti e spesso sei troppo pesante con te stesso nel dialogo interno.
Quando sbagli, al contrario, hai bisogno di ricordarti tutte le cose buone che hai fatto, tutte le cose buone che sei, per capire che non sei quell’errore, non sei solo le tue ombre, che peraltro puoi accettare come un qualcosa di necessario alla vita.
Un abbraccio.
«C’è una tribù africana che ha un costume molto bello. Quando qualcuno fa qualcosa di sbagliato e nocivo, gli abitanti prendono quella persona e la portano al centro del villaggio. Si raduna quindi tutta la tribù, lo circonda e per due giorni tutti dicono all’uomo tutte le cose buone che ha fatto. La tribù crede che ogni essere umano viene al mondo come un bene. Ma a volte, nel perseguimento di queste cose, commettiamo degli errori. La comunità vede quegli errori come un grido di aiuto. Essa si riunisce per sollevarlo e per ricollegarlo con la sua vera natura, fino a quando egli non ricorda pienamente la verità dalla quale era stato temporaneamente disconnesso.»
Oggi ti propongo un testo chiave da leggere con attenzione: per amare te stesso non devi guardare ai tuoi pregi, come si crede comunemente, ma tutto al contrario accettare le tue ombre.
É dall’accettazione dei tuoi difetti, e quindi dalla compassione per te stesso, che puoi iniziare ad amarti.
«Chi ha amore per Se Stesso non ha odio da spargere nel mondo. Questa meravigliosa possibilità di amare Me Stessa, che nessuno mi ha trasmesso e che ho dovuto imparare da sola, non consiste nell’amor proprio, né nell’ego, né nell’apprezzamento, né nell’autostima, e non è sufficiente neppure il rispetto di sé. Consiste nell’aver incontrato la mia parte più fragile, reietta, disgustosa, vulnerabile, debole, fallibile, intollerabile, ed averla riconosciuta, accolta, integrata, accettata come parte di me. Dall’essere stata in grado di spalancare le braccia a Me Stessa, ed aver consolato il pianto della mia bambina infelice, rifiutata ed abbandonata, è nato l’Amore che è in grado di accogliere senza più ergere difese. Da questa presa di coscienza parte la capacità di donare a Sé quello che è mancato, di riconoscere ciò che è naturale per me, che prima era negato, rimosso, sopito. Dalla capacità di SENTIRE ciò che il mio corpo mi dice, ora che la corazza si è frantumata, arriva la capacità di discernere ciò che mi corrisponde oppure no, e quindi la SCELTA di usare la mia volontà per dirigermi verso ciò che è Bene per me, anziché persistere in un sistema di Vita che ho ereditato, ma che non mi può rendere felice. Se esercito questo mio libero arbitrio e cambio rotta alla mia Vita, smettendo di giustificarmi in mille modi, andando sempre più verso ciò che mi nutre, perdo ogni interesse nell’odiare, denigrare, sparlare o trattare male gli altri. Lungo il percorso trovo persone che hanno fatto la stessa scelta, o che hanno bisogno del mio esempio e del mio aiuto e, in questo modo, contribuisco alla trasformazione del Mondo. L’Amore che si ha dentro si espande e si moltiplica, si amplifica e si diffonde. Senza aver compiuto questo processo al proprio interno ogni idea di salvare il Mondo attraverso l’Amore è solo un’illusione. Puoi dare solo ciò che hai.»
«Il maestro Zen Thich Nhat Hanh ha chiamato la mindfulness un miracolo» (Jan Chosen Bays, «Mindful eating»)
Perché la mindfulness.
Oggi ti voglio parlare della mindfulness, o meditazione di consapevolezza, anche per le svariate richieste che ho ricevuto in tal senso dopo averne parlato sui social e avervi condiviso diversi materiali, uno “strumento” che utilizzo tantissimo con i miei clienti del counseling, che pratico personalmente tutti i giorni più volte al giorno e che sulla psoriasi e le malattie autoimmuni.
La mindfulness è uno degli strumenti più importanti e che raccomando più spesso ai miei clienti del counseling, perché consente di centrarsi, scendere di un piano, dalla testa al cuore, riconnettersi con le nostre parti più profonde, combattere quindi la mentalizzazione e offre un sistema molto efficace per affrontare le difficoltà.
Parlo ad esempio della mindfulness in questo episodio del podcast, che ti invito ad ascoltare, o di cui puoi leggere la trascrizione curata, rispondendo ad una ascoltatrice che si chiedeva come sarebbe potuta uscire da una relazione disfunzionale.
La prima cosa che devo dirti, peraltro, é che la mindfulness é, appunto, una pratica, quindi in sostanza la capirai davvero solo quando la praticherai. Quindi questo è un po’ un articolo come sarebbe quello che tentasse di descrivere, ad esempio, la corsa: ti può dare un’idea, o un po’ di motivazione per iniziare, ma sarà solo quando effettivamente correrai che l’esperienza entrerà in te.
A questo primo post, farò poi seguito con un altro contributo in tema di mindful eating, una delle branche più interessanti, almeno per me, della mindfulness, consistente nella meditazione di consapevolezza applicata al cibo, che poi é anche il primo esercizio di mindfulness che quasi tutti, compreso Jon Kabat Zinn, propongono a chi si avvicina alla pratica – quello consistente nel mangiare, in consapevolezza, un semplice chicco di uva passa…
«Il mondo non morirà per la mancanza di meraviglie, ma per la mancanza di meraviglia.»
(Gilbert Keith Chesterton)
Una definizione «mentale».
Per chi ama le definizioni – non io particolarmente – posso richiamare quella di una grande maestra, secondo cui «mindfulness significa prestare attenzione in maniera totale e priva di giudizio allo svolgersi della vita momento per momento.» (Jan Chosen Bays, «Mindful eating»).
Così abbiamo dato una definizione, cioè una descrizione “mentale” della mindfulness, che é per lo più inutile, mentre questo articolo potrà avere un senso se riuscirà a fartelo capire col cuore.
La locanda.
Per fare questo, come sempre ci vuole la poesia.
Molte poesie parlano della mindfulness, addirittura ce la inducono o ne sono frutto (come tante altre opere d’arte), ma ce n’è una, che in particolare, a mio modo di … sentire, dice più delle altre sulla consapevolezza, sul momento presente, sull’accettazione.
Si tratta della “Locanda” di Rumi.
Rumi é stato un grandissimo poeta persiano e il fondatore di una confraternita sufi, quella dei dervisci rotanti. Il sufismo é una tradizione sapienziale, esattamente come il cristianesimo, lo zen, il taoismo, il buddismo e tante altre, cioè una dottrina di saggezza che, in estrema sintesi, si propone di migliorare l’esperienza dell’uomo su questa terra, alleviandone la sofferenza e dandovi un senso. Il sufismo é una tradizione sapienziale islamica, ma questo è poco rilevante, anche perché le cose dette dai più grandi maestri, tra cui Gesù e Budda, gli uomini che sono riusciti più di tutti a “essere anima”, si assomigliano davvero tanto.
Ma leggiamola.
«L’essere umano è una locanda, ogni mattina arriva qualcuno di nuovo.
Una gioia, una depressione, una meschinità, qualche momento di consapevolezza arriva di tanto in tanto, come un visitatore inatteso.
Dai il benvenuto a tutti, intrattienili tutti! Anche se è una folla di dispiaceri che devasta violenta la casa spogliandola di tutto il mobilio,
lo stesso, tratta ogni ospite con onore: potrebbe darsi che ti stia liberando in vista di nuovi piaceri.
Ai pensieri tetri, alla vergogna, alla malizia, vai incontro sulla porta ridendo, e invitali a entrare.
Sii grato per tutto quel che arriva, perché ogni cosa è stata mandata come guida dell’aldilà.»
Cominci a sentire qualcosa?
La inconsapevolezza come falso rimedio al dolore.
Perché noi generalmente oggigiorno non viviamo in modo consapevole?
Per il dolore che abbiamo sofferto, che ci ha portato a chiudere gli occhi nell’illusione di poterlo sopportare meglio.
La mindfulness invece ci insegna ad accogliere la sofferenza a braccia allargate, a tenere sempre gli occhi aperti quale sia lo spettacolo del nostro cuore, perché solo così si mettono in moto i meccanismi di autoguarigione, la famosa farmacia interna che abbiamo tutti, che rimane chiusa quando teniamo la testa sotto la sabbia.
La mindfulness deriva direttamente dal precetto evangelico di Gesù Cristo: «vegliate in continuazione». Questa era una cosa che Gesù ripeteva spesso ai suoi discepoli. Insieme alla preghiera, che ci connette col divino e stabilisce un asse tra noi qui sulla terra e il trascendente, determinando armonia.
La scommessa della mindfulness é proprio continuare a tenere «gli occhi aperti» anche di fronte alle difficoltà, compresi gli stati emotivi spiacevoli o, se interviene, la distrazione, l’importante è avere e mantenere sempre la consapevolezza e – cosa molto importante – farlo senza giudicarti, ma con accettazione. Poi man mano la capacità di mantenere il fuoco dell’attenzione migliore, con l’allenamento proprio come un muscolo.
La cura dell’attenzione.
L’attenzione è una forma di cura in sè, come ricordo a margine delle mie riflessioni sulla rilettura di un classico in questo post, che ti invito a leggere, richiamando un post del blog della Cinotti.
È uno strumento di lavoro che viene usato dagli psicoterapeuti proprio là dove il lavoro diventa più difficile, quando si passa dai sintomi, su cui intervenire è più semplice, al carattere, contesto in cui la resistenza del paziente è massima, come riportato in questo post.
Vuoi provare la mindfulness?
Contattami per organizzare un incontro in cui ti potrò insegnare le tecniche di base.
Questo è un blog giuridico quindi non deve certo fare strano, ma affronto l’argomento da un punto di vista diverso.
Che rapporto hai con le regole? Le detesti, le rispetti, le violi, le ossequi?
Il celebre racconto del figliol prodigo di cui alle letture di due domeniche fa é la storia di un padre che aveva due figli coglioni – ed è per questo che ogni genitore oggigiorno un po’ si immedesima subito…
Due coglioni in modo esattamente opposto tra loro: il primo credeva che violare le regole gli avrebbe dato la felicità, il secondo, tutto al contrario, che se avesse osservato sempre scrupolosamente quelle stesse regole, sarebbe automaticamente stato felice.
Attenzione, perché in questi due cretini c’è, a star scarsi, il 90% dell’umanità.
Come va a finire?
Che nessuno dei due è felice, finché non interviene il padre che dimostra loro una cosa essenziale: che non importa cosa fai con le regole, se ti metti loro di traverso o ne diventi un campione, l’unica cosa che importa è aprire e usare, volta per volta, il cuore.
Ricordarsi di averne uno, usarlo e sapere sempre che un cuore puro, dolce, che sa ascoltare e che ama davvero viene in ogni caso prima.
La storia di questi due coglioni salvati dal genitore 1 è la storia e l’attualità della nostra fede, il cristianesimo, ma é anche dentro altre tradizioni sapienziali planetarie, anche se nessuna come il cristianesimo ha mai espresso e incarnato queste cose così compiutamente.
Non ti porta alla felicità né violare le regole, e fare il male, né seguirle e quindi fare il bene non per amore, ma solo per paura di un castigo.
Va capito che le scritture non sono precetti, ma libri pieni di amore di un Dio, che ne conosce il vero cuore, verso l’uomo.
Mai come oggi le persone hanno bisogno di scendere giù di un piano, dalla testa al cuore, per vivere bene ed essere davvero felici.
Vivo una storia da tre anni con un uomo sposato, con alti e bassi. Lui in più occasioni ha detto di voler lasciare la moglie, con cui ha due figli, per costruire una famiglia con me, e ha anche compiuto dei passi concreti in questo senso, come affittare una casa, però ultimamente, in questi giorni, mi ha detto di aver deciso di provare a ricostruire con sua moglie. Io sono disperata, per lui avevo anche lasciato il mio ragazzo, ma soprattutto lo amo… Da quando mi ha detto così sto malissimo, passo momenti in cui vorrei metterli sotto con la macchina, lui e sua moglie, inoltre mi sono imposta di non scrivergli e non parlargli, vorrei farlo ma penso che sia meglio per il momento stargli lontana. Non so cosa fare, so solo che sto malissimo. Mi date un consiglio? Spero di fare cose buone…
Non è con la violenza che puoi uscire da una situazione di questo genere, violenza contro di «loro» (anche solo immaginata, di metterli sotto con la macchina) ma soprattutto contro di «te» (l’imposizione di non telefonare, non incontrarlo, non fare altre cose che vorresti fare ma pensi che non sarebbero opportune).
Tutto al contrario, è solo con l’amore che si può uscire da vicoli ciechi di questo genere, amore che però deve essere:
a) genuino e animico e non, invece, egoico;
b) rivolto verso tutti i protagonisti della situazione, compresa lui, la moglie del tuo lui e, soprattutto, te stessa.
Non è un discorso facile da capire e soprattutto da praticare, ma proviamo ugualmente ad affrontarlo perché credo che queste siano le uniche parole che potrebbero davvero servirti. Ti rimando, a riguardo, anche alla lettura di questa lezione sulla differenza tra amore animico ed amore egoico.
Cosa significa amare?
Significa forse desiderare una persona sino al punto da provare l’impulso di metterla sotto con la macchina nel momento in cui si pensa di stare per perderla?
Facciamo un passo indietro.
Nessuno di noi è completamente unitario e autentico, ma frammentario. Quello che facciamo, e anche quello che proviamo nelle nostre vite, è come se fosse la risultante di una serie continua di «votazioni» o elezioni che le svariate parti e personalità di cui siamo composti svolge, con una maggioranza che emerge volta per volta… Funzioniamo, anche se appariamo all’esterno come individui e «monadi», come tanti piccoli staterelli, con una popolazione interna che si divide in opinioni e punti di vista…
Tra le varia parti di cui siamo composti abbiamo una o più manifestazioni egoiche e una parte animica, una parte dell’anima.
Quindi, detto questo, amare cosa significa, nel suo significato letterale e rigoroso?
È semplicissimo, anche se tendiamo a dimenticarcelo o a non volerlo vedere.
Amare significa, molto semplicemente e incontrovertibilmente, mettere il bene di un’altra persona sopra al nostro.
Detto questo, se tu amassi quest’uomo di un amore vero, puro ed animico, avresti dovuto… fare dei salti di gioia nel momento in cui ti ha comunicato che voleva ricostruire con sua moglie, con cui ha anche dei figli, cosa che corrisponde probabilmente al suo bene, per come comunque lo ha valutato lui e per come generalmente avviene in situazioni del genere, in cui la separazione di una coppia con figli rappresenta sempre una ferita profonda per diversi aspetti.
Invece, tutto al contrario, sei caduta nella disperazione perché hai perso qualcosa che sentivi come tuo.
Quello che provi, dunque, al momento non è tanto amore, quanto un tuo desiderio di possesso, un volere una persona, al punto tale da immaginare di punirla gravemente per non voler essere più tua.
È, con tutta evidenza, più una manifestazione del tuo ego. Non c’è molto altruismo in questo, non c’è amore, c’è più che altro un capriccio egoico.
Almeno in questa fase. Non sto affatto dicendo che sei una donna egoista, materialista, che vuole comprarsi un uomo e tenerselo come oggetto. Siamo frammentari, l’abbiamo detto poco fa. In questo momento, la tua ferita è una ferita dell’ego.
Ma l’anima ce l’hai ancora. Anche perché è nella sofferenza che gli dei ci fanno visita e, quando lo fanno, ci ricordano della nostra dimensione animica.
Come sempre succede, è nelle tue ultime parole che, anche se sicuramente non te ne sei resa conto, fa capolino la tua anima, quando dici «spero di fare cose buone».
Qui abbandoni la tua dimensione individuale e intuisci che l’unica via d’uscita da questa situazione in cui ti sei cacciata da sola, come fanno tutti del resto (ognuno si costruisce da solo l’inferno in cui vive), è quella di elevarti al di sopra del tuo egoismo ed iniziare a capire davvero sia te, sia lui, sia l’altra donna e cioè sua moglie.
È solo cercando di fare la cosa giusta che uscirai da questa situazione, accettando che la cosa giusta possa anche essere finire per non avere quest’uomo.
Quello che devi iniziare a fare è provare sentimenti di compassione, benevolenza, amore per tutti e tre i protagonisti cioè per te, per lui, per sua moglie.
Devi capire che ognuno di voi tre sta soffrendo terribilmente per la situazione in essere, che ognuno di voi è una persona che desidera solo vivere, amare, essere amata e non provare dolore o sofferenza e che invece lo prova.
Al momento, pensi che sia difficile provare sentimenti di questo genere per lui, che vorresti mettere sotto con la macchina, per sua moglie, che probabilmente vorresti ugualmente imballare con la macchina, ma solo dopo averla torturata adeguatamente per almeno una settimana, ma io ti dico che la persona, delle tre, che ti sarà più difficile da amare davvero sarai tu stessa.
Ti senti in colpa verso di loro, ti stai giudicando per esserti ficcata in questa situazione, pensi di essere stupida, avventata e chi più ne ha più ne metta, sei molto crudele con te stessa e più soffri e più ti dai addosso. ti imponi delle regole – non chiamare, non parlarci – pensando che ti possano aiutare mentre accrescono solo il tuo fastidio.
Inizia proprio da qui, smettila di giudicarti e accettati per quello che sei e per quella che è stata la tua vita sinora. Può darsi che sia stato tutto un errore, ma chi non commette errori? E, se anche fosse, l’importante poi è ravvedersi e rimediare, per quanto possibile.
Devi essere inflessibilmente tenera e dolce con te stessa, come una madre lo sarebbe con un proprio figlio che pur sbaglia o ha sbagliato.
Fatto questo, dovrai riuscire a guardare la sofferenza anche degli altri due ed averne compassione.
Se riuscirai a fare tutto questo, ti eleverai ad un livello più alto dell’essere, quello della tua dimensione animica, che c’è e vuole uscire fuori, lo testimoniano le tue ultime parole, e uscirai da questa situazione, anche se non è detto che sia con l’uomo che desideri al tuo fianco: ma ricordati che lo scopo non è mai avere un uomo, una donna, un animale, ma essere felici e grati in e per questa vita.
Dovrà nascere una nuova e migliore versione di te.
È sempre lo Spirito che ci porta nel deserto e lo fa per farci diventare più grandi, più capaci di amore, più felici. Sta a noi fare quello che è necessario per portare tutto a compimento.
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Oggi parliamo di sofferenza, ascolto, compassione e fede.
Cosa c’entrano con la pratica legale? In realtà, sono temi fondamentali per chiunque svolga una delle professioni di cura, nel cui novero rientra certamente anche quella forense.
Nel mio lavoro di avvocato, e anche in quello, ulteriore, di mediatore familiare, la sofferenza mi scorre davvero davanti tutti i giorni, come un film, una pellicola che non finisce mai di essermi proiettata in faccia.
Anche pochi giorni fa, in un solo giorno di lavoro, ho fatto quattro appuntamenti, persone sempre più devastate negli affetti, nella vita, stremate, che non ne possono più da mesi, anni, ed io che le devo ascoltare fino in fondo, mettermi due orecchie da elefante, perché…
Perché oggi nessuno ha più amici, familiari, coniugi che lo ascoltano davvero, ma soprattutto perché è solo con l’ascolto prestato mantenendo il silenzio, senza dire nulla, senza interrompere, che posso iniziare a farle guarire, o comunque dare loro un principio di qualcosa, un inizio.
Non dico niente, mi limito ad ascoltare davvero finché loro non vedono una scheggia della loro stessa sofferenza brillare nei miei occhi, allora finalmente succede qualcosa e si può iniziare a pensare a quel che si può fare.
Generalmente, si crede che un avvocato debba essere un bravo oratore.
In realtà è vero in primo luogo tutto il contrario: un bravo avvocato deve essere, prima di qualsiasi altra cosa, un grande «ascoltatore».
L’avvocato, più che le famose palle, deve avere, insomma, due grandi orecchie.
È esattamente così che sono diventato a poco a poco, da generico credente qual ero, un cristiano sempre più convinto, anche se mai bigotto.
Se sento qualcuno smadonnare, mi metto magari ancora a ridere, perché in fondo aveva ragione Guareschi: in Emilia non si bestemmia affatto per ateismo, ma per far dispetto a Dio.
Ognuno ha i suoi difetti: chi ruba, rapina, violenta, scoccia, importuna, non vota, abbandona i cani; io sono molto credente, in un mondo che lo considera un errore sconveniente e per nulla simpatico, ma spero che mi vorrete accettare a corpo, con anche i pochi pregi che ho.
Si diventa ferventi, o comunque più ferventi di prima, nella fede toccando, tutti i santi giorni e più volte al giorno, lo sfacelo della nostra civiltà e il disagio profondo, lo smarrimento, l’assenza di lenitivi anche blandi al dolore in cui vivono quasi tutte le persone oggigiorno, e facendo entrare questi problemi in te.
Molte volte vorrei pregare per queste persone, e per lo sfacelo del mondo di cui sono segni, e ogni tanto lo faccio col pensiero, esattamente come si pone la mano sul capo di un morto per recitare un’Ave Maria, una cosa forse anche considerabile da molti oggigiorno come inutile ma che, per qualche misteriosa ragione, è l’unica che ti può dare conforto in quei momenti, in cui ti trovi di fronte all’ineluttabile, allo sfacelo profondo, l’unica che, tutto al contrario, senti che valga la pena di fare.
È così che, man mano, ho sentito sempre più di appartenere, sia pure nella mia miseria e infinita piccolezza, a Dio, in un mondo ormai pressoché completamente dominato dal maligno (1Gv 5,19), maligno di cui le persone sono povere vittime, spesso innocenti, colpevoli solo di aver creduto ad una delle sue solite ma riverniciate bugie, riportate dappertutto e ripetute ossessivamente – quella con cui mi trovo più spesso ad avere a che fare io è «Cambia coniuge! Sarà meglio non tanto per te, quanto e soprattutto per i tuoi figli. Enjoy!».
Quello che penso quotidianamente, al più tardi alla sera, dopo aver visto tutto il giorno i frutti marci della modernità, è che non sia, non possa proprio, essere questo il modo di vivere, perché questo modo di vivere non può che condurci all’infelicità, la nostra, ma soprattutto ancora quella dei nostri figli.
In un noto saggio di Risè si riporta una constatazione che può sembrare banale, ma che tale non è, secondo cui noi Italiani abbiamo scoperto, tra gli anni 50 e 60, che la ricchezza non era affatto meno problematica da gestire della povertà.
È verissimo.
Oggi, nelle nostre vite, lavoriamo, cioè dedichiamo il nostro tempo e la nostra attenzione – che sono acqua e fertilizzante – al mondo della materia, delle cose materiali, a quello dell’intelligenza della mente, che è servile, tramite gli studi, al benessere del corpo, tramite lo sport, ma chi è rimasto a lavorare sul proprio cuore?
Non so se la fede possa essere una risposta per tutti, magari è più probabile che ognuno debba trovare la propria strada, ma di sicuro non si può continuare a vivere così, come bestie, come poveri idioti che, partiti con la convinzione di seguire il loro cuore, in realtà lo stanno completamente tradendo, stanno tradendo il vero cuore dell’uomo, e poi non lo trovano, anzi lo perdono completamente, insieme a loro stessi.
Quindi la tua strada cercatela, lavora su te stesso, sul tuo cuore e la tua compassione per ogni essere vivente, a partire da te stesso, e, soprattutto, stai attento ai falsi idoli, che sono oggi numerosissimi e dappertutto.
Noi non siamo esseri tendenti naturalmente al bene, se seguiamo solo i nostri istinti otteniamo soddisfazioni momentanee, che però a lungo termine ci conducono alla rovina. Le scritture dicono chiaramente che non è il pane che nutre l’anima dell’uomo: si tratta di una verità universale, valida per tutti gli uomini, come una legge di natura. La nostra anima non vive di soddisfazioni materiali, beni, istinti.
Abbiamo, tutto al contrario, bisogno di significato, e quasi sempre il significato lo otteniamo solo (lo dico ancora una volta da cattolico, voi traducetelo in quel che preferite) con una croce da portare, perché è solo la sofferenza, oggi generalmente rifuggita come una cosa deprecabile e opportunamente evitabile con una pastiglia e un ciclo di sedute da uno psicologo – consigliate anche a chi avrebbe solo bisogno di un abbraccio – a prescinderne dallo scopo, che comprova quanto crediamo davvero, in che cosa e soprattutto in chi.
E la felicità, nel cuore dell’uomo, si ottiene solo facendo la cosa giusta, non quello che ci andrebbe al momento.
Chiediamoci sempre cosa stiamo facendo e se davvero è la cosa giusta.
C’è una coscienza dentro di noi, la devastazione derivante dal fatto che la maggior parte delle persone oggigiorno la spegne o semplicemente non l’ascolta credo sia sotto gli occhi di tutti.