Il sovranismo, sia individuale che politico, é una cosa estremamente positiva, perché significa, in sostanza, essere adulti, cioè indipendenti e padroni del territorio, in contrapposizione ai bambini, che sono per definizione esseri che hanno bisogno, per la loro stessa sopravvivenza, di un sostegno altrui.
Per questi stessi motivi, é così odiato da molti poteri forti, che vogliono tenere quante più persone possibili in uno stato di immaturità – anche a 50, 60 anni e più – che li rende depressi, deboli, insoddisfatto e, pertanto, più proni a consumare e votare come desiderano i potenti.
Ma é odiato anche da molte persone, probabilmente dalla maggior parte, della celebre società civile, perché la maggior parte delle persone oggi vuole lasciare al comando la propria personalità infantile, magari anche dopo essere diventata genitore, esattamente come tanti cloni di Homer Simpson, cui non a caso negli USA è stata intitolata una patologia, nota appunto come sindrome di Homer Simpson, radicatasi in quelli che non hanno voluto capire che Homer é un modello a contrario e l’hanno preso come modello tour court – ma c’è da dire che tutto il mondo attuale incita a questo.
Così assistiamo a persone che sono magari già nonni ma continuano a lasciare il dominio alla propria personalità infantile, vittime di una nevrosi, quella infantile appunto, che rende loro impossibile una vera felicità e che, come tutte le nevrosi, causa tantissima sofferenza completamente inutile.
Tutto é collegato dal piano individuale a quello sociale, io ti dico ad esempio che il reddito di cittadinanza é un veleno psichico. Così come la pornografia, di cui oggi potresti essere felice che sia «finalmente» disponibile dappertutto e gratuitamente… O la cannabis, che ti stanno per dare del tutto legittimamente.
Quando hai i soldi, la droga, il sesso e magari la PlayStation, chi te lo fa fare di smettere di essere un bambino e dare via tutti i tuoi giochi? O anche solo di uscire di casa, dove si sta tanto bene e al sicuro…
Cosa ne penseresti, invece, di un vero lavoro e di una donna vera..? Un lavoro fatto di problemi da risolvere e una donna fatta, come tutte, di inquietudine, non solo da sopportare, ma persino da accudire, servire e soprattutto proteggere – ecco la definizione di «vero uomo»: uomo che una donna la protegge – e con cui magari un domani creare la vita.
Troppa fatica? Vero, la fatica é tanta, ma se rifiuti questo rifiuti la vita, poi vuoi mettere crescere un tamagotchi o un figlio vero?
Il sovranismo non è una malattia. É più una malattia il pensare che lo sia e rendere ciò oggetto di propaganda verso gli altri, come se questa società di bambinoni avesse bisogno di ancora più immaturità.
Ricordati che se lasci da adulto il timone in mano alla tua sub personalità infantile non potrai mai essere felice, non ci sono cazzi.
Gli uomini non corteggiano più perché hanno paura del grande viaggio nella follia femminile che – come sa bene ogni grande seduttore – ciò comporterebbe.
Preferiscono persino rinunciare ad avere una donna, pur di poter continuare a pensare che quelle persone – su cui si reggono integralmente le famiglie, le scuole, il mondo del lavoro e del divertimento – siano normali.
La definizione più esatta, a mio giudizio assai difficilmente contestabile, é quella per cui è laico lo Stato che tratta in modo uguale tutte le religioni, quello per cui tutte le confessioni sono identiche davanti alla legge.
Orbene, l’Italia è uno Stato laico?
Per niente. C’è una differenza di trattamento legislativo, a favore della confessione cattolica, contenuta in un provvedimento normativo nazionale di fondamentale importanza e cioè direttamente all’interno della Costituzione.
Basta guardare gli articoli 7 e 8, contenuti nei principi fondamentali:
«Art. 7. Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Latera- nensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revi- sione costituzionale.
Art. 8. Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappre- sentanze.»
Non c’è molto da dire, già é tutto evidente dal fatto che alla sola chiesa cattolica é dedicato un singolo articolo, mentre a «tutte le altre» confessioni una norma a parte. In sintesi, comunque, il privilegio concesso dalla Repubblica alla Chiesa consiste nel fatto che per modificare unilateralmente gli accordi Stato – Chiesa l’Italia si è obbligata a un procedimento di revisione costituzionale, piuttosto complicato e che richiede larghe intese politiche, mentre quando vuole modificare i rapporti con una qualsiasi altra confessione, il Parlamento o il Governo non hanno affatto bisogno di toccare la costituzione, ma è sufficiente una legge o addirittura un atto di pari valore, come il decreto legislativo o persino il decreto legge.
Puoi dire quello che vuoi, ma l’Italia è uno stato non laico, che privilegia la fede cattolica e fa questo direttamente nel cuore del suo sistema legislativo e cioè nella sua costituzione, norma fondamentale e di rango superiore a tutte le altre.
Chi, tra i famosi «padri costituenti», ha votato queste disposizioni che rendono l’Italia uno Stato non laico ma sbilanciato a favore della chiesa cattolica?
Tutti.
Ma persino i comunisti? Certo, persino i comunisti, che, a parole erano contro tutte le religioni, specialmente quella cattolica.
Ma perché i comunisti di Togliatti – allora c’era lui, mica Renzi, soprannominato e considerato dai suoi «il migliore» – votarono questo che oggi agli occhi dei sostenitori della laicità dello Stato appare come un vero e proprio scempio giuridico, legale, sociale e culturale?
Chi, curioso di scoprirlo, aprisse uno dei libri di storia in dotazione agli studenti di oggi, vi troverebbe spiegazioni molto curiose e divertenti. Una che mi ricordo in particolare età quella secondo cui il PCI era preoccupato, votando contro, di «creare divisioni» tra gli operai comunisti e quelli cattolici…
É una spiegazione petalosissima, che nasconde la realtà dietro il velo del politicamente corretto… Eppure chi scrive i libri per i giovani dovrebbe vergognarsi a consegnare loro indicazioni fuorvianti come questa, ai giovani andrebbe trasmessa semplicemente la verità.
E la verità è che queste disposizioni non sono state votate per tutelare gli operai, ma, tutto al contrario, il partito comunista stesso che, considerato che ai tempi in cui fu approvata la costituzione l’Italia era davvero un paese cattolico (oggi non lo è più da decenni), avrebbe semplicemente perso una barca di voti, troppi per gli equilibri di allora.
La conclusione dunque é che l’Italia non é un paese laico e ciò per il fatto che coloro che avrebbero dovuto, almeno stando a quanto proclamavano allora ed oggi, farlo diventare tale si sono venduti alla chiesa cattolica per paura di perdere voti.
Molta gente di sinistra oggi si spertica a dire che l’Italia é un paese laico, ma è vero l’esatto opposto e per i motivi che ti ho spiegato.
Tutto quello che ho scritto qui é vero, fondato, dimostrato documentalmente e lo puoi verificare velocemente con una ricerca di 5 minuti con google.
Adesso che abbiamo visto la laicità dell’Italia, ti voglio parlare di un altro aspetto e cioè la laicità della società, il trattamento che viene riservato dalla famosa società civile, quella che, in ipotesi, sarebbe molto meglio della politica e delle istituzioni…
In Italia, nel mondo, il cattolicesimo é trattato in modo uguale alle altre religioni dalla società civile?
É una domanda interessante, cui si può rispondere agevolmente.
Nell’ultima settimana, infatti, si sono susseguiti una fiction di Netflix su Gesù gay, un manifesto che ritrae Gesù come pedofilo e, per finire, un quadro in Svezia che raffigura la Genesi in chiave gay.
Quando però ad esempio un migrante fa qualcosa che va, anche pesantemente,# contro i nostri costumi, allora va bene perché noi siamo evoluti e dobbiamo capire le «altre culture»…
Siamo così evoluti che capiamo tutte le culture tranne che la nostra, che sempre più spesso sembra non esserci più, tanto che pare ormai difficile parlare, a proposito del fenomeno delle migrazioni, di sconto di culture, dal momento che qui in Occidente ormai regna il vuoto, la vacuità, il nulla e quindi non c’è più nessuna cultura, la cultura é solo dall’altra parte.
In conclusione, la società occidentale non è “laica”.
La società occidentale è semplicemente anti-cristiana.
È così difficile capire che le uniche cose che contano davvero sono i nostri sentimenti e quelli delle persone che ci vogliono bene?
Non c’è lavoro da fare, progetto da perseguire, sogno da inseguire, scopo da conseguire, cosa da acquistare che abbia il minimo senso, se per andare verso la stessa devi andare contro i tuoi sentimenti o contro quelli di chi ti ama.
E, se lo fai, ne paghi ancora una volta il prezzo in banconote di perdita di te stesso.
Non sappiamo perché abbiamo le emozioni che abbiamo, quando ci sono venute, quando e se andranno via, probabilmente non ne sapremo mai niente, ma esse restano le uniche cose vere e importanti che abbiamo.
E un’emozione, che sia tua o di un altro, se è vera, la devi sempre rispettare, perché è dentro alle emozioni che viviamo noi uomini.
Credi a quello che senti, e a quello che sentono i tuoi cari, lascia perdere tutto il resto.
Oggi ti propongo un testo altissimo, della mia grande maestra Silvana De Mari – a proposito, sto pensando ad un post con una raccolta di persone da seguire, che penso possa essere utile a molte persone, specialmente in un’epoca di falsi idoli come la nostra.
Basterebbe, comunque, leggere, assimilare e interiorizzare questo testo per risolvere la pressoché totalità dei nostri problemi, sia individuali che sociali.
Buona lettura. Un abbraccio.
«Onora il padre e la madre. I padri sono sotto attacco. Anche gli uomini in generale, ma se hanno osato diventare padri non c’è salvezza. Il padre deve essere perfetto. Se si azzarda a uscire dalla più algida perfezione un criminale. La seconda tragedia è che il concetto di perfezione è opinabile, per qualcuno un padre che insegni a giocare a calcio è il minimo sindacale, per altri un’insopportabile intrusione. La perfezione è l’incubo della nostra epoca. È sotto attacco il diritto dei bambini di nascere, posso farlo solo perfetti, concepiti in maniera perfetta, in una situazione economica perfetta, con una salute perfetta. Fortunatamente non è ancora possibile la diagnosi prenatale di miopia e tendenza all’obesità: altrimenti sarebbe una strage. Ancora peggio è andata per i genitori. La psicologia ha insegnato a pretendere genitori perfetti in grado di garantire una scintillante felicità in ogni istante. Questa pretesa delirante ha trasformato le prime due generazioni di tutta la storia d’Europa senza guerre e senza fame in fiocchi di neve sempre in necessità di cura psicologica, che si sciolgono al primo vento o al primo sole che osino essere impietosi. Dei due quello messo di gran lunga peggio è il padre. L’ultimo mezzo secolo è stata un’aggressione al padre. Il principio di autorità paterna è stato ritenuto criminale. Le narrazioni e in particolare quelle cinematografiche si sono alternate a presentare padri padroni nel migliore dei casi insopportabili nel più frequente ripugnanti. L’unico padre buono è quello morto, per esempio quello di Harry Potter, perché l’unico padre accettabile e quello perfetto, e dato che la perfezione solo ai morti può essere concessa, è impossibile un padre perfetto vivo, cioè vero. Oltre al padre crudele, oltre al padre stupratore abbiamo il padre stupido. La cinematografia negli ultimi cinquant’anni si è sbizzarrita e figure maschili ridicole: Omer Simpson regna su tutti. Il quarto Comandamento recita: onora il padre e la madre. Oggi non è più molto di moda. Gli psicanalisti ci assicurano che i nostri genitori sono sempre colpevoli, mamma però è femmina e qualche volta le tocca il ruolo di vittima. Papà è maschio e non c’è salvezza. Onorare ha due significati: il primo è rendere onore, il secondo, molto più potente, ancestrale e granitico al senso di onorare un debito. Se siamo vivi, vuol dire che qualcosa di giusto papà e mamma devono averlo fatto. Sicuramente non sono stati perfetti, forse sono stati un disastro, ma noi siamo vivi grazie a loro e se noi non onoriamo il debito, tutta la nostra mente si azzoppa perché vuol dire che la vita che ci hanno dato non ha valore, cioè che noi non abbiamo valore. Se la mia vita ha valore, hanno valore padre e madre che me l’hanno data. Se continuo ad aggredire chi mi ha dato la vita, il messaggio che arriva al mio subconscio è che la mia vita non ha valore, e quindi io non ho valore. Questa continua aggressione giustifica la perdita di identità, la situazione mentale che con un italiano di plastica oggi dannatamente di moda si chiama crollo dell’autostima In un italiano più decente le parole sarebbero senso di incompletezza e incastro a vita in un’adolescenza cronica, spesso proclamata anche nel linguaggio. Sono un ragazzo di 45 anni. Me questi quando diventano uomini e donne? Non hanno onorato padre e madre? Mai. L’adolescenza cronica è caratterizzata da un’unica dannata parola, fragilità, che rintocca come una campana a morto. Fragili come statuette di vetro, come fiocchetti di neve, come infissi mal assemblati, quelli che ti restano in mano tutte le volte che cerchi di aprire una finestra. I 10 Comandamenti non hanno solo la funzione di aprire al credente la via del paradiso: ci spiegano anche come non procuriamo l’inferno in terra. Nel momento in cui noi non onoriamo padre e madre, perdiamo il senso alla nostra identità, ci scomponiamo nell’insicurezza. Nella dannata, insopportabile, onnipresente fragilità. Quindi onorate il padre e la madre e se non avete niente di meglio da fare segnalo che sta uscendo nelle sale il film Una canzone per mio padre, il primo film che osa affrontare il tema del valore della paternità imperfetta. Il film osa mostrare un padre imperfetto, per usare un eufemismo. In effetti il padre mostrato è francamente disfunzionale, sempre per restare sugli eufemismi, ma il film osa affermare che un padre imperfetto è meglio della tragica mancanza di identità che nasce la mancanza di un padre. Il padre protagonista segue la linea standard degli esseri umani: la stragrande maggioranza di noi quando siamo frustrati facciamo e diciamo cose stupide cattive. A questo si aggiunga la liceità che la nostra società concede ai comportamenti di abuso di alcol o altro. Veramente non sappiamo che rendono un uomo una belva? Ci spiegano che deve far parte della libertà umana poter distruggere la propria mente e la propria anima con alcol e droghe, peccato che questo presupponga la perdita di libertà di qualcun altro a non essere brutalizzato, perché l’enorme quantitativo di brutalità che succedono all’interno delle famiglie arrivano per l’alcol per le droghe. In effetti più che imperfetto questo padre è disastroso. Alla violenza fisica si associa quella verbale. Eppure è il padre: lui che ha portato la sua vita sul posto di lavoro perché il figlio potesse avere un tetto sulla testa qualcosa nel piatto. Quindi c’è un debito da onorare Il secondo punto fondamentale del film è il valore del dolore. La nostra epoca odia il dolore, siamo anatroccoli terrorizzati, immersi negli analgesici, e comunque c’è sempre l’eutanasia. Il dolore è orribile, questo è innegabile, com’è orribile passare attraverso il fuoco, ma può essere l’unica strada per salire. Il padre si ammala, una delle tante patologie favorite dall’alcolismo, ed è proprio nel dolore nella sua malattia che finalmente la sua anima si libera e ritrova il figlio. Il terzo tema nel film è il perdono: senza il perdono la nostra vita resta annegata nell’astio, negata nel risentimento. Non perdonare vuol dire vivere abbracciati a un nido di calabroni. Il figlio perdona il padre. Il figlio onora il padre. Finalmente la sua anima si ritrova intatta e piena di fede in se stessa e lui riesce a scrivere la sua magnifica canzone. Ritroviamo il padre. L’essere umano viene al mondo con usa sola competenza: un pinto disperato che attira su di lui l’attenzione di mamma, che lo nutre con le sue mammelle. Anche altre specie hanno mammelle, tutti i mammiferi. Il nostro neonato è l’unico che piange. Il suo pianto è rumoroso, perfora i timpani, traversa i muri. Nessun cucciolo piange: si attirerebbe addosso i predatori. Perché noi lo facciamo? Perché il nostro cervello ancestrale sa che i predatori non possono avvicinarsi a noi perché nostro padre ci protegge con la sua potenza, ci protegge di predatori, dalla fame, dalla paura. Onoriamo il debito. Quindi andate a vedere questo film, a meno che non abbiate di meglio da fare: mettere al mondo un figlio, proteggerlo, lottare per lui, oppure andare a ringraziare padre e madre di avervi proiettato nel mondo. Se però tute queste attività vi lasciano due ore libere, andate a vedere Canzone per il padre. PS Per quanto riguarda la frustrazione non è un caso se nel cattolicesimo tra i peccati che gridano vendetta a Dio ci sia non dare la giusta mercede: un uomo che è padre non può non avere il danaro sufficiente alla sua famiglia per trasmettere la sua famiglia soffrirà nella miseria e perché aumenta il rischio che la frustrazione renda il padre un cattivo padre.» (Silvana De Mari)
La maggior parte degli avvocati continua a fare le separazioni consensuali passando dal tribunale e non con le convenzioni di negoziazione assistita.
Perché questa è una grande cazzata?
Per svariati motivi.
A) Per i clienti, i famosi utenti del sistema giustizia, é molto più lungo come tempi, scomodo e stressante. Un accordo in studio si fa in un’ora di lavoro, al massimo, su appuntamento. Ed è finito tutto lì. Addirittura, in casi particolari si può fare in videoconferenza. In tribunale, invece, devi stare ai tempi del tribunale. Depositi il ricorso, poi l’udienza magari te la fissano dopo 6 mesi, la settimana in cui avevi prenotato per andare in ferie. L’udienza, poi, é alle nove del mattino, ma tu entri alle cinque del pomeriggio. Parlo di cose reali, ordinarie, non di fatti estremi.
B) L’accordo in studio impedisce i ripensamenti.
Se due coniugi firmano un ricorso per consensuale e poi, prima di andare in udienza, uno dei due cambia idea e si ritira, bisogna ricominciare tutto daccapo e, a volte, é impossibile. Magari per arrivare alla firma ci erano voluti sei mesi di trattative difficili…
Ora, quando un avvocato ha la possibilità di cristallizzare un accordo, di bloccarlo definitivamente, ma invece preferisce adottare un’altra strada che non blocca niente ma lascia tutto in sospeso per alcuni mesi – il tempo necessario per fissare e svolgere l’udienza di comparizione – che cosa potresti dirne?
Se uno che passasse di lì per caso dicesse che é un coglione, e che fa molto male il suo lavoro, penseresti che avrebbe ragione o che ha torto?
C) Gli accordi in house sono stati introdotti per realizzare la degiurisdizionalizzazione, una parola orribile che significa sgravare, ove possibile, i tribunali, un bene o servizio pubblico che spesso non funziona proprio perché vi si ricorre in modo eccessivo, incardinandovi troppe cause e procedimenti rispetto a quelli che possono gestire in base alle loro dimensioni. Tempo fa lessi un contributo dottrinale che sottolineava come fare ricorso allo strumento giurisdizionale in presenza di alternative viabili fosse probabilmente un illecito deontologico; mi pare che questa prospettiva sia corretta, se é vero che anche gli avvocati hanno il dovere di collaborare per il buon andamento della giustizia. Prima ancora che scorretto deontologicamente, mi sembra non molto intelligente per i motivi già esaminati prima.
Perché allora la maggior parte degli avvocati fa così?
Per un motivo tristissimo: perché hanno sempre fatto così.
Poi si lamentano che il PCT non va, che come categoria non ci sappiamo imporre, che i notai invece, che i clienti non pagano, ecc. ecc..
Salvo poi non fare niente nei casi in cui effettivamente avrebbero il potere di innovare e migliorare la vita di tutti: clienti, utenti del sistema giudiziario, loro stessi.
Ora, se una persona non riesce a far bene anche in ciò che rientra completamente nella sua sfera di dominio, ma non lo fa, poi può dare la colpa ad altri di quello che non va?
Mi sembra di vedere quelli che si mettono addosso la maglietta «fateci votare» per poi correrci a comprare i Nutella biscuits.
Fai un primo, ma fondamentale passo.
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É una grande verità, ci si innamora per risonanza, perché le vibrazioni di una persona si incastrano, in qualche modo, con le nostre.
Questo non significa affatto suonare la stessa canzone, o la stessa nota, tutto al contrario siamo attratti per lo più dalla diversità, a condizione che si «intoni» (continua il parallelismo con in mondo della musica) con la nostra.
Un grandissimo musicista, Thelonious Monk, parlava, a proposito della sua musica di «errori buoni», sostenendo che a volte non riusciva a farli e gliene venivano solo di «cattivi»: in quei casi doveva ricominciare daccapo sino a che non gli venivano quelli buoni, quelli piacevoli.
A volte anche noi siamo alla ricerca di tonalità diverse, che sembrano stridere con la nostra canzone, invece a ben guardare la completano così bene e la rendono ancora più grande e maestosa.
Anche perché come é stato giustamente detto «i malati sono il sistema che Dio usa per guarire i sani»… Così anche gli errori buoni, le diversità, fanno suonare meglio le canzoni «sane».
Un abbraccio.
«Non si ama qualcuno per il suo aspetto fisico, per i suoi vestiti, per la sua macchina, ma perché canta una canzone che solo tu puoi sentire.»
Timidi si nasce o si diventa? A mio avviso è un tratto del carattere che si possiede fin dalla nascita, come si nasce mori o biondi.
E se ti dicessi che è sbagliata la domanda?
Un tratto caratteristico dell’uomo contemporaneo, come ricordo spesso sulle colonne di questo blog e nelle puntate di radio solignani podcast, è la mentalizzazione.
Il nostro approccio è sempre – persino nelle cose spirituali – di tipo scientifico, razionale, logico. Tanto che siamo persino stati capaci di fondare una disciplina che si occupa della cose dell’anima dal punto di vista logico – la psico-logia appunto – cosa che è assolutamente demenziale perché l’anima è qualcosa di molto più grande e vasto della mera logica razionale.
Con l’Illuminismo, l’uomo moderna ha sostituito a Dio la Ragione e, così facendo, ha fatto un idolo di se stesso, perché la ragione, da scrivere, a mio modo di vedere, rigorosamente con la lettera minuscola, è uno dei tanti strumenti e livelli di conoscenza dell’uomo e nemmeno il più approfondito.
Tutti coloro che si occupano di cura della persona sanno che la mente, oggigiorno, per lo più è uno strumento di tortura, o quantomeno di impoverimento dell’uomo stesso, lungi dall’essere quella grande risorsa che tutti pensano che sia.
La mentalizzazione, intesa come quel processo per cui l’uomo concepisce la mente come la sua più grande risorsa e la utilizza per risolvere tutti i suoi problemi, esattamente come ad esempio chi tentasse di ammazzare le zanzare con un trapano, nella nostra epoca è stata aggravata dalla terza grande rivoluzione dell’uomo, quella digitale, che ci ha portati tutti a livelli ancora più alti di astrazione e lontananza – dalla realtà materiale e concreta, dal principio di necessità, ovviamente.
Tutto questo ci ha portato alla tua domanda.
Una persona ha un aspetto, che percepisce come un problema, di «timidezza». Vorrebbe cambiarlo, per essere meno timida, più spigliata, più diretta.
Qual è il metodo migliore che trova?
Quello di iniziare a lambiccarsi la mente con domande come questa, per «capire» se la timidezza è «genetica» o se è un tratto del carattere che si sviluppa ambientalmente.
Voler capire a tutti i costi è la grande maledizione dell’uomo contemporaneo.
L’uomo contemporaneo – che per mille aspetti ha dimostrato di non capire un cazzo, del mondo, degli altri, di se stesso – è sinceramente (questa è la cosa più stupefacente) convinto che potrà risolvere i suoi problemi comprendendosi, capendo, con la mente insomma, con quella stessa mente con la quale ha dato ampia provare di non essere in grado che di capire pochissime cose…
Quanta compassione che provo ogni volta per le persone che si portano così, completamente smarrite e con poca speranza di riuscire a iniziare a trattare i loro problemi.
Questo atteggiamento è molto disfunzionale, anche e soprattutto perché chi pretende di capire rinuncia ad ascoltare.
Focalizzati bene su questo aspetto perché è molto importante.
Per ascoltare veramente, dobbiamo rinunciare alla pretesa di capire.
Chi pretende di capire sempre a tutti i costi rinuncia in realtà ad ascoltare perché ci sono molte cose di noi che sono incomprensibili, cose rispetto alle quali l’unico atteggiamento possibile è quello dello stare accanto, dello stare insieme, della compassione, dell’accoglienza e, appunto, dell’ascolto.
Chi vuole vivisezionare l’altro a forza di sciabolanti e continui «perché» in realtà non lo sta ascoltando ma lo sta solamente torturando, aggravando la sua situazione, senza aiutarlo, ma tutto al contrario appesantendolo.
Bene. Tutto questo vale anche per noi stessi. Anche noi dobbiamo ascoltare noi stessi. Anzi, la prima persona che devi ascoltare sei tu stesso. Se pretendi di capirti, non puoi ascoltarti. Devi ascoltare le vibrazioni e le emozioni che promanano da te stesso senza avere la pretesa di etichettarle, dar loro una spiegazione, un inquadramento, devi semplicemente guardarle ed accettarle a prescindere da tutto.
Sei timido?
Iniziamo ad accogliere questo tratto, senza giudicarlo, con compassione ed accettazione.
Vorresti essere meno timido, anche dopo esserti accettato ed accolto intanto così come sei?
Benissimo.
Mi dici a cosa ti serve porti la domanda demenziale se è nato prima l’uomo o la gallina?
Ti dò una brutta notizia. Brutta per te, per me è meravigliosa. La scienza degli uomini non sarà mai in grado di rispondere a domande del genere. Questo te lo dò per certo, ci posso scommettere sopra qualsiasi cosa tu voglia. Il massimo che farà sarà produrre, anno dopo anno, studi che man mano pretenderanno di essere «risolutivi» di una qualche università sparsa per il mondo che volta per volta diranno che la soluzione vera è una o l’altra, alternandosi. Ogni volta che usciranno studi del genere tutti i giornali del mondo li annunceranno come epocali, dopo massimo due anni ne uscirà uno contrario che verrà ugualmente annunciato come epocale senza nemmeno citare quello dei due anni precedenti, ognuno leggerà, si farà la sua idea – sbagliata – e così via, all’infinito.
L’uomo è una piramide che ha la sua base sulla terra e il suo vertice all’infinito, dentro all’uomo c’è un’anima immortale che non può mai essere compresa completamente dai limitati mezzi cognitivi e anche spirituali dell’uomo stesso.
La vera, unica, possibile domanda sensata allora è questa.
Che cosa è più funzionale pensare: che la timidezza è genetica, ci si nasce e non ci si può far niente, o che la timidezza è un tratto che, come tutti i tratti, con poca o tanta fatica, si può modificare, per lo più cambiando le proprie abitudini quotidiane, col buon vecchio metodo dell’un po’ tutti i giorni?
Questo è un post di counseling, il counseling è fatto di domande, quindi è giusto che finisca così, con una domanda, che spetterà a te che leggi riempire di contenuti.
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