La descrizione più chiara ed efficace di questo processo l’ho trovata nel libro di due medici, i fratelli Speciani, che personalmente trovo non solo molto preparati, ma anche dotati di un punto di vista innovativo e intelligente in fatto di alimentazione e salute, e che avremo modo di citare ancora.
Per il nostro organismo, a quanto pare, una ingestione eccessiva di zuccheri – che non avviene solo ovviamente col comune zucchero da tavola ma con qualsiasi alimento ad alto indice glicemico come il pane, la pasta e così via – è una aggressione e quindi un fatto negativo in sé.
La cosa ancora peggiore, tuttavia, è che le difese approntate dal corpo per questa «aggressione» possono facilmente innestare, in un ecosistema alimentare come quello occidentale, un meccanismo ciclico.
Questo meccanismo costituisce buona parte del problema della dipendenza da carboidrati, e in esso devo dire che mi riconosco molto se guardo alla mia fase anteriore alla paleo, mentre adesso, dopo la eliminazione dei cereali e la riduzione dei carboidrati, non sperimento più picchi di appetito improvvisi.
Ma leggiamo le semplici e chiarissime parole dei fratelli Speciani al riguardo.
«Poiché un uomo medio ha circa 5 litri di sangue, ciò significa che ciascuno di noi dispone di circa 5 g di glucosio che circolano nell’intero organismo, tutti necessari e sufficienti alla normalità delle nostre attività metaboliche. Qualcuno si è mai chiesto quanti grammi di zucchero possa contenere un bicchierone di una qualunque bibita gassata? Circa 25-30. Tutti immediatamente assimilabili perché disciolti in acqua. Che cosa succede al nostro sangue quando riceve dall’esterno un apporto pari a più di cinque volte la concentrazione ematica massima consentita? Altro che indigestione: il corpo si trova ad affrontare un “insulto” che dal punto di vista evolutivo è a lui completamente sconosciuto, come se ingoiasse un pezzo di roccia marziana. Che risposte fisiche e mentali può generare un apporto così squilibrato di zuccheri? Un pompiere maldestro. Il nostro corpo del paleolitico, tutte le volte che si ciba di un piatto di pasta bianca raffinata (o di qualunque altro cibo ricco di zuccheri di rapida assimilazione) e vede salire la glicemia, manda un forte segnale di allarme, che chiama in azione l’insulina fino a che i livelli glicemici non sono di nuovo regolati. Tale operazione però presenta diversi inconvenienti. Prima di tutto noi sappiamo che quando c’è un’emergenza non si può andare troppo per il sottile. E di emergenza vera si tratta (così pensa il corpo) perché nella nostra storia evolutiva abbiamo visto raramente crescere così in fretta la glicemia! Dunque via con gli “estintori”. E si sa che quando si spegne un incendio in casa non si può stare troppo attenti a non bagnare i divani… In questo caso, l’intervento ” di emergenza” provoca alcune sgradevoli conseguenze: la prima è che la capacità del pancreas di produrre insulina viene alterata. Un continuo utilizzo di questo ormone potrà infatti provocare negli anni il diabete mellito tipo 2, ovvero un’incapacità di far fronte ai rialzi glicemici con la giusta secrezione insulinica. L’insulina in circolo crea anche una predisposizione organica di tipo infiammatorio, attraverso lo stimolo alla produzione di citochine che orientano l’azione del sistema immunitario in quella direzione, con conseguenze patologiche di vario genere (dalla colite alla predisposizione ai tumori). Infine il “pompiere”, una volta asportati gli zuccheri in eccesso dal sangue, ragionando da uomo primitivo sa che non potrebbe mai buttare via senza motivo preziose risorse energetiche. Il nostro corpo preistorico non può sapere che noi abbiamo il frigo pieno di ogni ben di Dio. Dunque riciclerà gli zuccheri accantonati, in modo da riaverli a disposizione all’occorrenza. Li trasformerà dunque in trigliceridi, stivandoli poi nelle cellule grasse, gli adipociti, localizzati negli strati di grasso che circondano il nostro corpo. Da quei preziosi depositi sarà poi difficilissimo estrarli perché il nostro corpo li terrà in gran conto per un’eventuale successiva carestia. Ma non finisce qui. Il “pompiere” continua la sua azione sul sangue (c’era un incendio, no?) fino a che non è ben sicuro che non vi sia più rischio di propagazione delle fiamme. Dunque non si fermerà alla concentrazione ideale, ma proseguirà nella sua azione fino a far scendere un po’ più in basso (diciamo a livello di “sicurezza”) la glicemia. A quel punto (una o due ore dopo l’assunzione del “piattone di pasta” o della ”fetta di torta”) ci troveremo con la glicemia bassa, e avremo uno stimolo alla fame che ci spingerà a mangiare di nuovo. Sarà tuttavia una fame fasulla, non corrispondente ad un reale bisogno del nostro organismo, ma solo una reazione alla secrezione insulinica. Se avremo la cattiva idea di fare uno spuntino ancora con soli carboidrati (per esempio con pane e marmellata o con un caffè zuccherato più brioche) la nostra glicemia risalirà repentinamente, con ulteriore intervento dell’insulina e ripetizione del ciclo. Solo dalla comprensione delle ragioni evolutive e delle dinamiche metaboliche di questo meccanismo molto pericoloso, potremo capire a che cosa sia dovuta questa insalubre catena di eventi metabolici».
tratto da Attilio e Luca Speciani, «Prevenire e curare la depressione con il cibo», Rizzoli, pp. 44 ss.