«Il Bagatto, un tempo, era una specie di giocoliere, mago, prestigiatore, che appariva nelle piazze di quando in quando, essendo per lo più un girovago, per eseguire esercizi di abilità o di prestigio, guadagnandosi da vivere in quel modo.
Quando pensi al Bagatto di una volta, non devi pensare solo a lui stesso, ma anche al suo pubblico, cioè a come lo guardavano tutti gli altri, che poi è il punto di vista che è stato incorporato negli onori.
Da chi era composto per lo più il pubblico del Bagatto di quei tempi? Per lo più da contadini, che lavoravano duramente da mattina a sera e che erano legati alla loro terra da una specie di schiavitù. Nella grande letteratura russa di un paio di secoli fa, si parla tranquillamente di signori che possiedono un certo «numero di anime» con riferimento ai contadini, che erano considerati una pertinenza dei terreni di cui i nobili erano proprietari. Anche nei luoghi e negli Stati in cui la servitù della gleba era già stata, formalmente e legalmente, abolita, di fatto non c’era molta mobilità tra i contadini, che, nonostante la libertà formale che era stata loro riconosciuta, non avevano mezzi per poter anche solo pensare ad una vita di fatica diversa da quella che svolgevano, tutti i giorni, da mattina a sera, sempre nella stessa terra.
Adesso immaginati come un contadino, che doveva lavorare duramente tutti i giorni per guadagnarsi qualcosa da mangiare, non aveva neanche un minimo di libertà, non poteva spostarsi, come poteva guardare il Bagatto di allora.
Il Bagatto era un nomade, si spostava continuamente. Oggi tendiamo a considerare i nomadi come persone sfortunate, che purtroppo per loro devono muoversi continuamente senza poter godere di una casa di riferimento, ma allora l’occhio del contadino era esattamente l’opposto: il nomade era visto, innanzitutto, come una persona libera. Poi era visto anche come una persona che in qualche modo viaggiava: vedeva tanti posti, tanti paesi, incontrata tante persone diverse e di conseguenza si pensava che avesse sviluppato anche una certa cultura, anche solo di fatto.
Oltre a questo, un contadino che, mettiamo alle cinque del pomeriggio, quando lui si era alzato alle quattro del mattino per iniziare a mungere o per lavorare altrimenti nei campi, vedeva un Bagatto che si presentava, faceva qualche gioco di prestigio, guadagnava quanto necessario per mangiare e poi andava via, potenzialmente a riposarsi, come poteva guardare a questo Bagatto?
La realtà è che, per il pubblico di allora, il Bagatto era un vero e proprio mago: uno che nella vita aveva raggiunto una posizione che tutti avrebbero desiderato, girava per città e paesi diversi, lavorava dieci minuti al giorno e mangiava tutti i giorni. Il Bagatto di allora stava meglio di un signore, di un nobile, non aveva obblighi, cure, pensieri, ma doveva solo girare e allietare il pubblico che di volta in volta gli si fermava davanti.
Era uno che aveva fatto il giocoliere non solo come mestiere, o come intrattenitore, ma con la vita stessa: aveva raggiunto una posizione che tutti avrebbero voluto, se solo fossero stati capaci di pensarci, se solo avessero avuto l’occasione di acquisire quelle «competenze».
Il Bagatto era un vincente, che veniva guardato necessariamente e inevitabilmente con invidia da quasi tutti, uno che nella sua vita, a differenza di tutti gli altri, aveva potuto fare quel che aveva voluto – o almeno questa era il modo in cui il pubblico di allora lo guardava.»