Ti ho già detto che una buona app per fare telefonate voip su quei telefoni Android che non presentano il supporto nativo, come il Note 8 che in questo momento sto utilizzando io, è CSipSimple.
Oggi ti voglio parlare di una possibilità offerta da questa app, quella di registrare le telefonate, e di come si possano gestire queste registrazioni in modo ottimale per non finire lo spazio su disco (del cellulare) ed averle sempre a disposizione in caso di bisogno.
Come sai, per le telefonate da cellulare classiche o GSM consiglio di utilizzare una diversa e molto funzionale app che si chiama ACR, che tuttavia non effettua la registrazione delle chiamate voip ma appunto solo quelle GSM, per cui se vuoi registrare tutte le tue chiamate devi usare due soluzioni diverse.
Per quanto riguarda CSipSimple, la registrazione delle chiamate non è attiva di default, cioè di suo subito dopo aver scaricato e installato l’app. Bisogna attivarla, se ovviamente la si desidera.
Per attivarla, bisogna entrare nelle impostazioni, cliccando sul menu con i tre pallini verticali in basso a destra. Una volta dentro a impostazioni, tappare sul sottomenu «opzioni di chiamata» e quindi mettere il segno di spunta a sinistra di «Registra automaticamente le chiamate – Registra le chiamate appena connesso».
Dove vengono salvate le chiamate?
Sul punto, CSipSimple è un po’ criptico e personalmente ci ho messo un po’ a capire dove andare a trovare i files, per fortuna gugolare è sempre utile.
Le chiamate finiscono nella memoria interna del cellulare, nella cartella «Records», che è a sua volta una sottocartella del folder «CSipSimple», poggiato direttamente nella radice.
Dal momento che la memoria interna del cellulare è sempre limitata e che non c’è, o almeno io non l’ho vista, l’opzione per usare una cartella sulla scheda di memoria, ho settato un sistema per avere la copia delle mie registrazioni dentro a dropbox, con una app che mi effettua appunto questa copia e poi cancella le registrazioni sulla memoria del telefono.
L’app in questione, che uso anche per tante altre cose, con molta soddisfazione, è Dropsync.
Come si può vedere nella schermata allegata, la sincronizzazione è stata configurata per essere unidirezionale: viene fatta una copia su dropbox, dopodiché il file viene cancellato in locale.
Ricordatevi di chiedere sempre al vostro interlocutore il permesso di registrare la chiamata, non sarebbe necessario ma è comunque più corretto. Personalmente lo faccio sempre e registro di solito i colloqui e le lunghe sessioni di consulenza, legale o di coppia o di counseling, perché spesso mi torna comodo andare a recuperare dei dati.
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Dopo il mio passaggio ad Android, di ormai un po’ di tempo fa, mi avete chiesto in molti quale è il terminale migliore.
Ovviamente non esiste una risposta assoluta a questa domanda, dipendendo sempre dalle esigenze di ognuno.
Personalmente, dopo aver usato un moto Z play, di Motorola, che, peraltro, é ancora un eccellente telefono, con una batteria impareggiabile, peraltro aggiornato ad Oreo proprio in questi giorni – sono passato a Samsung Note 8, un telefono da molti considerato tra i migliori disponibili.
Personalmente, tuttavia, pur continuando ad usarlo con profitto, ritengo presenti alcuni difetti da considerare, che mi sembra utile condividere con voi, per aiutarvi nella scelta del vostro smartphone.
Il primo problema è la durata della batteria, che è davvero scarsissima. Impossibile, usandolo in modo medio / intenso, arrivare oltre il primo pomeriggio, cosa che é inaccettabile. Personalmente, ho risolto con una cover con batteria, che tuttavia ha appesantito molto il telefono, coprendone integralmente il design. C’è gente che giura di arrivarci a sera, probabilmente non telefonano se non per pochi minuti e per il resto del tempo per lo più lo tengono in tasca.
Un altro problema piuttosto fastidioso almeno per me è la estrema sensibilità al surriscaldamento. Adoro prendere il sole e non ho mai avuto problemi col il mio vecchio Moto. Con il Note, invece, dopo pochi minuti sotto al sole il terminale si blocca per raggiungimento – a suo dire – di temperatura eccessiva e diventa così impossibile continuare ad usarlo. Per fortuna, con la cover presa per il problema di cui sopra, anche la problematica del surriscaldamento si è attenuata e così posso usarlo abbastanza bene anche sotto al sole.
Questi due primi problemi, peraltro, sono, anche se nessuno lo dice, evidentemente figli dello scandalo del note 7, modello ritirato dal mercato due anni fa, con grandi danni economici e di immagine, per Samsung perché alcuni esemplari erano esplosi. Gli ingegneri coreani, avendo paura di prendere un altro colpo del genere, hanno messo una batteria più piccola e sicuramente sottodimensionata (ovviamente dicono che per compensare hanno «ottimizzato» i consumi energetici, ma non è vero o comunque non conta un cazzo) e soprattutto hanno tarato in modo sensibilissimo i sensori di temperatura. Così il Note 8, figlio delle paure di Samsung, é nato di fatto come un prodotto molto limitato da questo punto di vista, anche perché per uso professionale, categoria cui punta la serie Note, la batteria è essenziale.
Un’altra cosa che non mi è piaciuto é lo slot dual SIM di tipo ibrido e la disponibilità solo di 64g di RAM a bordo. Slot ibrido significa che non puoi avere contemporaneamente una memory card e una seconda sim ma devi scegliere: o metti la SD card o la seconda sim. Posto che due sim per uso professionale o comunque avanzato di un telefono sono indispensabili, Samsung avrebbe dovuto ingegnerizzare il cassettino in modo da farci stare tutte e tre le schede contemporaneamente, come avviene in molti altri telefoni, tra cui sempre il mio Moto Z play. A riguardo, ho risolto o per meglio dire rimediato con una piattina di Simore, dove tieni la seconda sim all’esterno del cassettino lungo il corpo del telefono.
Così il mio Note 8 sembra un po’ un piccolo mostro Frankenstein, con aggiunte di qua e di là fatte per colmare sue carenze strutturali, che, tutto sommato, non sono appunto accettabili in un terminale di questa categoria, prezzo e pregio.
Nemmeno la gestione dual SIM è stata ben ingegnerizzata a livello software. Ad esempio, non è possibile assegnare una certa sim ad un certo contatto, in modo che ogni qual volta si chiama quel determinato contatto lo si faccia col numero che si preferisce e vuole esporre, che mi sembra proprio il minimo sindacale per chi usa un terminale dual SIM.
Oggi torno a parlare di smartwatch anzi, più generalmente di, «indossabili» (wearables) cioè oggetti di tecnologia appunto che si possono portare addosso e quindi sono tipicamente orologi ma anche fasce fitness.
In questo post piuttosto approfondito, dove spiego meglio anche l’utilità di oggetti come questi, sostenevo che la soluzione migliore a riguardo fosse ancora, nonostante tutto, pebble, da acquistare su Amazon o sul mercato dell’usato.
Oggi pebble tuttavia si sta avviando sempre più verso il programmato spegnimento. Fitbit, proprietaria del marchio e delle tecnologie, ha già annunciato che a breve verranno terminate alcune funzionalità che si basano sui server, come il riconoscimento vocale per le risposte da dare ai messaggi.
A queste circostanze generali, o di sistema, si è aggiunto il fatto che il mio amato pebble 2 HR ha smesso di funzionare bene, iniziando a perdere spesso la connessione bluetooth, con la conseguenza che ho dovuto pensionarlo.
Avendo venduto ad un amico gli altri due modelli di pebble che avevo, mi sono ritrovato senza uno smartwatch, al quale tuttavia ormai sono abituato, perché fa «sistema» col mio modo di utilizzare il cellulare – che di solito tengo in modalità silenziosa, ricevendo le notifiche, anche delle chiamate, sul polso, senza disturbare così nessuno.
No Android, no Tizen…
Nessuno che li abbia provati davvero può avere idea di che zavagli indegni siano gli smartwatch con Android Wear, ora ribattezzato Wear OS. Si tratta di dispositivi che, se non saranno completamente riprogettati dalle basi, sono destinati a essere completamente inutili per un minimo di uso nella vita di tutti i giorni, almeno a mio modo di vedere. Roba da buttare.
Scartata dunque questa indegna classe di prodotti, ho deciso di provare Samsung, prendendo un gear frontier S3. Si tratta innanzitutto di un orologio molto bello e «maschile», non privo di una certa ingegnosità, con il sistema della ghiera che ruota per offrire alcune funzionalità di consultazione sia a sinistra che a destra. Purtroppo però non è ancora il prodotto azzeccato per un uso al polso nella vita di tutti i giorni.
I softwares a disposizione sono troppo pochi, le notifiche non sono ben gestibili e soprattutto visibili. Il funzionamento generale a mio giudizio non è ancora abbastanza fluido. Alla fine l’ho restituito e generalmente devo dire che lo sconsiglio anche perché non costa mica poco, però ci sono persone che sono soddisfatte in giro e posso anche capirli, quindi non scartatelo a priori ma valutatelo, non è certo un prodotto assurdo come gli smartwatch Wear OS, ma un prodotto con una sua dignità ed ingegnerizzazione, bisogna solo vedere se può rispondere a quello che volete voi da un indossabile.
Bip di Amazfit
Ad ogni modo, il wearable su cui ho ripiegato in seguito, per il mio «post pebble», è Amazfit Bip.
E mi ci sto trovando sorprendentemente bene…
Non è proprio uno smartwatch, ma un wearable che si colloca a metà tra uno smartwatch e una fascia fitness, assommando un po’ le funzioni dell’uno e dell’altro, anche se probabilmente più sbilanciato a favore della seconda.
Non ci si possono installare applicazioni, come avveniva sul pebble (che aveva un parco software incredibile, c’era persino un client per i sistemi Bose SoundTouch), quindi fa solo quello che è offerto dal suo firmware – aggiornato due volte da quando ce l’ho. Da questo punto di vista, è dunque fascia fitness.
Ma ha due punti di forza fortissimi a mio giudizio:
costa pochissimo: meno di 100€;
la batteria dura tantissimo: fino a 45 giorni!
Da quando mi è arrivato, in effetti, l’ho indossato con la carica della batteria di «fabbrica» (circa il 50%) e, dopo una settimana, non l’ho ancora ricaricato! Non mi era mai successa una cosa del genere, con nessun oggetto di tecnologia da me acquistato.
Con una batteria così eccezionale (l’espressione è impropria, la batteria è probabilmente una delle solite, quello che è stato ottimizzato è il suo utilizzo), si può ricaricare il Bip anche una volta al mese, scordandoci quindi di portarlo al polso, anche perché è molto leggero, non è certo come il Samsung o altri orologi, è più piccolo anche del pebble – anche in questo è più fascia fitness.
Potendolo portare sempre, si può effettuare finalmente un monitoraggio del sonno.
Personalmente lo porto anche sotto la doccia, in realtà non lo tolgo quasi mai. L’uso sotto la doccia è espressamente sconsigliato dal produttore, nonostante il Bip sia impermeabile, anche se al momento non ho incontrato problemi. Per nuotare, tuttavia, penso che lo toglierei.
Pur non potendosi installare applicazioni sul Bip, esistono applicazioni di controllo per Android che sono molto interessanti e consentono in diversi modi di estenderne le funzionalità, come ad esempio Amazfit Tools, che consente di valorizzare moltissimo l’unico pulsante presente sul Bip, per poter gestire ad esempio la musica, con un sistema complementi configurabile basato sul numero di pressioni consecutive del tasto (es. 2 pressioni pausa, 3 pressioni prossima traccia, 4 pressioni traccia precedente) e addirittura la possibilità ulteriore di cambiare profili di configurazione dell’unico pulsante, per passare dal profilo, ad esempio, di comando della musica ad un altro profilo in cui mettere altri comandi azionabili tramite il pulsante, tra cui anche procedure di Tasker, una celebre utility di automazione per Android.
Bip è simpaticissimo, insomma, perché quel poco che fa lo fa in maniera eccezionale. C’è già una comunità abbastanza nutrita di utenti e sviluppatori che ha trovato modi per fargli fare sempre più cose e sono disponibili diversi accessori come cinturini, casse colorate e così via, tanto che è probabile che si affermi come indossabile più trendy del momento.
Ha persino il GPS… Incredibile che in un oggetto che costa così poco sia presente, ma soprattutto che funzionando col GPS la batteria duri oltre un mese…
Personalmente, devo dire che mi ha abbastanza conquistato… Ho già ricominciato a contare i passi, stabilendo un obiettivo giornaliero di 6000 al momento, con ottimi risultati in termini di mia autoincentivazione.
Il fatto è che Bip azzecca sotto molti aspetti come dovrebbe essere un indossabile: il più leggero e meno invasivo possibile (cosa che non è presente sugli orologi Wear OS e Samsung), con una batteria che ti puoi scordare di caricare, per cui lo allacci al polso ed è un set and forget it, con molte funzionalità legate al fitness e alla fruizione della musica (che, a sua volta, è legata a filo doppio al fitness) e, infine, costa poco, perché gli indossabili non sono ancora un prodotto ambito dai consumatori ed è dunque impensabile che costoro possano sborsare 300 euro per decretare il successo di un tipo di oggetto che ancora non capiscono bene, mentre invece 80/100 per un indossabile che è comunque una fitness band (prodotto che ha già un suo certo focus sul mercato) sono tutta un’altra cosa.
Fa poche cose ma le fa abbastanza bene. Dopo che te lo sei messo, appunto te ne dimentichi, sia perché non pesa al polso, è quasi come non averlo, sia perché non lo devi mettere a caricare ogni sera come i zavagli con Wear OS o gli orologi Tizen.
Le notifiche soffrono alcuni limiti: caratteri piccoli, visualizzazione temporanea, necessità di scorrerle tutte per poterle cancellare, mancanza di sincronia con il cellulare (sul frontier, se cancelli una notifica sull’orologio la cancelli anche sul cellulare, non così invece col Bip). Però funzionano e, per me, sono più fruibili di quelle del Samsung: la vibrazione è più forte, lo schermo è subito illuminato quando alzi il polso, a differenza di quello che avveniva col Samsung, fatto sta che difficilmente me ne perdo una.
Le applicazioni con cui si può gestire Bip sono sostanzialmente tre:
Mi Fit, l’applicazione ufficiale Huami, la società, del gruppo Xiami, produttrice del Bip;
Notify & Fitness, un «miglioramento» consigliassimo dell’applicazione ufficiale, che offre funzionalità ulteriori rispetto a quelle di base;
Amazfit Tools, già menzionata, anche questa un miglioramento, anche se si segnala per le funzionalità che riesce a conferire all’unico pulsante fisico, mentre per le notifiche a mio giudizio rimane meglio la precedente.
Queste tre applicazioni si possono usare anche parallelamente, infatti sul mio Note 8 le ho installate e le utilizzo tutte e tre.
Ultimamente, mi sono focalizzato su Amazfit Tools, che offre un plugin per Tasker e Automagic, la mia applicazione di automazione, che consente di fare cose molto interessanti coll’unico pulsante disponibile sul Bip, ad esempio con una pressione eseguire un’azione, con due un’altra, con tre un’altra ancora e così via, magari diverse a seconda del contesto – nel mio caso, se sono in palestra una doppia pressione lancia un timer, ma a casa lancia altro…
Questa non è e non voleva essere una recensione completa del Bip, per la qual cosa magari scriverò un altro post in seguito, ma un punto della situazione sugli indossabili, come «seguito» ideale al post, già richiamato, di agosto 2017 sulla categoria, per consentire di fare chiarezza su una categoria di prodotti che deve ancora trovare collocazione nella mente dei consumatori, pur presentando diversi ed innegabili vantaggi.
Buon divertimento a tutti.
Dove acquistare il Bip.
Oggi è disponibile su Amazon e si può acquistare qui.
Quanto l’ho preso io non c’era ancora su Amazon, ma solo su store cinesi, dove è ancora disponibile, costando anche un po’ meno, anche se io consiglio assolutamente Amazon per i tempi di consegna e le garanzie, anche semplicemente sul recesso nel momento in cui un oggetto, dopo averlo provato un po’, non dovesse piacere.