Credo che i politici che ci ritroviamo oggi, un po’ tutti – da quello che cerca il senso della vita citofonando a quell’altro che si presenta in piazza col cerchietto, compreso quello che ha sconfitto la povertà degli spacciatori, e tutti gli altri – siano il segno che, come popolo, abbiamo perso la capacità di riconoscere un coglione quando lo vede.
Ciò nonostante i notevolmente accresciuti livelli di istruzione e di «informazione» disponibili oggigiorno, o forse, esattamente al contrario, proprio a causa degli stessi, che uno poi, allora, si chiede se siano vera formazione o informazione e non, piuttosto, una deformazione collettiva.
Credi, insomma, che un contadino italiano degli anni 50 con la sua terza elementare avrebbe mai potuto dare la propria fiducia a Di Maio, Salvini o al capo sardina? O dare il proprio endorsement ad audaci slogan come «porti aperti come i nostri culi?»
Come disse un grande del passato, «non sempre ciò che viene dopo é progresso».
A ben guardare, in questo aforisma sembra esserci la storia
dell’umanità, che non è affatto una storia di progresso, almeno qui in Europa, sicuramente in Italia.