Lui continuò:
«Dopo il terzo giorno che avevi parlato in continuazione, per ore ed ore, con me, con tuo figlio e con le tue amiche di dove sarebbe stato meglio acquistare i libri di scuola, se al supermercato, se alla tal cartoleria o alla talaltra, ho pensato una cosa, della quale – ti chiedo scusa, ma – sono convinto ancora adesso: che oggigiorno il compito principale di un padre è quello di difendere il figlio dalle nevrosi e dalle isterie di sua madre. Così ho deciso di prenderlo e andarmene, creando una vita migliore per lui e per me».
Lei raccolse le braccia, che sino a quel momento aveva tenuto appoggiate sulle gambe, e se le portò al petto. Fece per incrociarle e chiudersi a braccia conserte, ma rimase per alcuni lunghi istanti con le braccia a mezz’aria, senza andare né avanti né indietro, finché, espirando, le lasciò ricadere sulle cosce.
Lui la guardò come un cane ferito, come se la vera vittima dell’ingiustizia, quella che lui aveva perpetrato a lei, fosse invece lui stesso e lei capì che, in fondo, anche quella, in questa strana situazione, era una delle verità.
Guardò in basso e poi a mezza voce, sussurrando, senza replicare nulla gli disse: – «Continua, vai avanti…».