«Il maestro Zen Thich Nhat Hanh ha chiamato la mindfulness un miracolo» (Jan Chosen Bays, «Mindful eating»)
Perché la mindfulness.
Oggi ti voglio parlare della mindfulness, o meditazione di consapevolezza, anche per le svariate richieste che ho ricevuto in tal senso dopo averne parlato sui social e avervi condiviso diversi materiali, uno “strumento” che utilizzo tantissimo con i miei clienti del counseling, che pratico personalmente tutti i giorni più volte al giorno e che sulla psoriasi e le malattie autoimmuni.
La mindfulness è uno degli strumenti più importanti e che raccomando più spesso ai miei clienti del counseling, perché consente di centrarsi, scendere di un piano, dalla testa al cuore, riconnettersi con le nostre parti più profonde, combattere quindi la mentalizzazione e offre un sistema molto efficace per affrontare le difficoltà.
Parlo ad esempio della mindfulness in questo episodio del podcast, che ti invito ad ascoltare, o di cui puoi leggere la trascrizione curata, rispondendo ad una ascoltatrice che si chiedeva come sarebbe potuta uscire da una relazione disfunzionale.
La prima cosa che devo dirti, peraltro, é che la mindfulness é, appunto, una pratica, quindi in sostanza la capirai davvero solo quando la praticherai. Quindi questo è un po’ un articolo come sarebbe quello che tentasse di descrivere, ad esempio, la corsa: ti può dare un’idea, o un po’ di motivazione per iniziare, ma sarà solo quando effettivamente correrai che l’esperienza entrerà in te.
A questo primo post, farò poi seguito con un altro contributo in tema di mindful eating, una delle branche più interessanti, almeno per me, della mindfulness, consistente nella meditazione di consapevolezza applicata al cibo, che poi é anche il primo esercizio di mindfulness che quasi tutti, compreso Jon Kabat Zinn, propongono a chi si avvicina alla pratica – quello consistente nel mangiare, in consapevolezza, un semplice chicco di uva passa…
«Il mondo non morirà
per la mancanza di meraviglie,
ma per la mancanza di meraviglia.»(Gilbert Keith Chesterton)
Una definizione «mentale».
Per chi ama le definizioni – non io particolarmente – posso richiamare quella di una grande maestra, secondo cui «mindfulness significa prestare attenzione in maniera totale e priva di giudizio allo svolgersi della vita momento per momento.» (Jan Chosen Bays, «Mindful eating»).
Così abbiamo dato una definizione, cioè una descrizione “mentale” della mindfulness, che é per lo più inutile, mentre questo articolo potrà avere un senso se riuscirà a fartelo capire col cuore.
La locanda.
Per fare questo, come sempre ci vuole la poesia.
Molte poesie parlano della mindfulness, addirittura ce la inducono o ne sono frutto (come tante altre opere d’arte), ma ce n’è una, che in particolare, a mio modo di … sentire, dice più delle altre sulla consapevolezza, sul momento presente, sull’accettazione.
Si tratta della “Locanda” di Rumi.
Rumi é stato un grandissimo poeta persiano e il fondatore di una confraternita sufi, quella dei dervisci rotanti. Il sufismo é una tradizione sapienziale, esattamente come il cristianesimo, lo zen, il taoismo, il buddismo e tante altre, cioè una dottrina di saggezza che, in estrema sintesi, si propone di migliorare l’esperienza dell’uomo su questa terra, alleviandone la sofferenza e dandovi un senso. Il sufismo é una tradizione sapienziale islamica, ma questo è poco rilevante, anche perché le cose dette dai più grandi maestri, tra cui Gesù e Budda, gli uomini che sono riusciti più di tutti a “essere anima”, si assomigliano davvero tanto.
Ma leggiamola.
«L’essere umano è una locanda,
ogni mattina arriva qualcuno di nuovo.Una gioia, una depressione, una meschinità,
qualche momento di consapevolezza arriva di tanto in tanto,
come un visitatore inatteso.Dai il benvenuto a tutti, intrattienili tutti!
Anche se è una folla di dispiaceri
che devasta violenta la casa
spogliandola di tutto il mobilio,lo stesso, tratta ogni ospite con onore:
potrebbe darsi che ti stia liberando
in vista di nuovi piaceri.Ai pensieri tetri, alla vergogna, alla malizia,
vai incontro sulla porta ridendo,
e invitali a entrare.Sii grato per tutto quel che arriva,
perché ogni cosa è stata mandata
come guida dell’aldilà.»
Cominci a sentire qualcosa?
La inconsapevolezza come falso rimedio al dolore.
Perché noi generalmente oggigiorno non viviamo in modo consapevole?
Per il dolore che abbiamo sofferto, che ci ha portato a chiudere gli occhi nell’illusione di poterlo sopportare meglio.
La mindfulness invece ci insegna ad accogliere la sofferenza a braccia allargate, a tenere sempre gli occhi aperti quale sia lo spettacolo del nostro cuore, perché solo così si mettono in moto i meccanismi di autoguarigione, la famosa farmacia interna che abbiamo tutti, che rimane chiusa quando teniamo la testa sotto la sabbia.
La mindfulness deriva direttamente dal precetto evangelico di Gesù Cristo: «vegliate in continuazione». Questa era una cosa che Gesù ripeteva spesso ai suoi discepoli. Insieme alla preghiera, che ci connette col divino e stabilisce un asse tra noi qui sulla terra e il trascendente, determinando armonia.
La scommessa della mindfulness é proprio continuare a tenere «gli occhi aperti» anche di fronte alle difficoltà, compresi gli stati emotivi spiacevoli o, se interviene, la distrazione, l’importante è avere e mantenere sempre la consapevolezza e – cosa molto importante – farlo senza giudicarti, ma con accettazione. Poi man mano la capacità di mantenere il fuoco dell’attenzione migliore, con l’allenamento proprio come un muscolo.
La cura dell’attenzione.
L’attenzione è una forma di cura in sè, come ricordo a margine delle mie riflessioni sulla rilettura di un classico in questo post, che ti invito a leggere, richiamando un post del blog della Cinotti.
È uno strumento di lavoro che viene usato dagli psicoterapeuti proprio là dove il lavoro diventa più difficile, quando si passa dai sintomi, su cui intervenire è più semplice, al carattere, contesto in cui la resistenza del paziente è massima, come riportato in questo post.
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