Al fine di poter rendere più semplice la comprensione di quanto di seguito scritto, ritengo di fondamentale importanza prima di tutto rappresentare il fatto che l’attività sportiva in senso lato va distinta in tre categorie: l’attività sportiva necessariamente violenta come la boxe, in cui la violenza espressa dagli atleti, è un elemento intrinseco e proprio dell’attività; quella a violenza eventuale, ove il contatto fisico tra gli atleti è possibile ma non strettamente necessario come il basket, il calcio o la pallanuoto; ed infine, tutte quelle discipline sportive dove la violenza è tout court non contemplata e quindi esclusa dalla tipologia di attività esercitata, come nel nuoto, nel tennis o atletica leggera. Come è facilmente intuibile, in quest’ultimo caso non sorgono problemi interpretativi sulla condotta tenuta dall’atleta, dato che la violenza non è mai consentita, mentre vi possono essere alcuni problemi in merito alle prime due categorie, per le quali invece, necessariamente occorre stabilire se e quando la giustizia ordinaria consenta di ritenere non punibili le lesioni cagionate nell’esercizio dell’attività sportiva.
Questo è il nocciolo della questione, ovvero se e quando ritenere un’atleta penalmente responsabile dell’evento lesivo da lui provocato durante lo svolgimento della disciplina sportiva.
Ora focalizzando il discorso sugli sport a cosiddetta violenza eventuale, come per esempio il calcio (sport nazionale ma da ex cestista reputo il basket la disciplina sportiva in assoluto più avvincente del panorama sportivo!) è in primis necessario stabilire se la violenza esercitata durante lo svolgimento dell’attività sportiva ecceda o meno i limiti consentiti dai regolamenti di gioco della disciplina medesima. E’ naturale se non ovvio, tenere presente il tipo di sport esercitato, difatti praticando il calcio, è nello stato naturale delle cose poter incappare in infortuni se non in episodi “violenti”. Di fondamentale importanza è, in via preliminare, stabilire quando nel caso di episodi violenti, si fuoriesca dal campo del mero illecito sportivo per entrare nella sfera dell’illecito penale.
Una simile distinzione, ha il suo perché nella volontarietà o meno dell’atto illecito: ovvero saranno considerati semplici illeciti sportivi e come tali non punibili penalmente tutte quelle lesioni derivanti da violazioni involontarie dei vari regolamenti di gioco, poste in essere per incapacità e mero caso fortuito. Saranno invece considerati illeciti penali tutte quelle lesioni provocate volontariamente durante una competizione sportiva, proprio nel momento in cui, la gara sia solo un pretesto per offendere l’integrità fisica dell’avversario di turno. E’ lapalissiano il fatto che non sussistono problemi interpretativi, laddove la violenza in ambito sportivo, venga esercitata con dolo, cioè con volontarietà da parte dell’atleta. In una situazione del genere, colui che si rende protagonista di un fatto violento ne risponderà come in un qualunque altro momento e caso della vita quotidiana.
Risulta di tutta evidenza , che nei casi in cui l’atleta dolosamente colpisca un suo avversario, non possa invocare una causa di giustificazione sportiva.
Ben diverso è, invece il caso in cui un giocatore si renda attore della violenza, senza alcuna violazione delle regole del gioco. Ebbene in questo caso, per poter determinare la responsabilità penale in capo all’atleta, è necessario dimostrare che quest’ultimo, con la sua condotta, abbia superato quello che comunemente nell’ordinamento giuridico viene definito il” rischio consentito”.
Al fine di giustificare la non punibilità di alcune condotte violente, l’ordinamento giuridico, ha introdotto il limite del c.d. rischio consentito, ovvero, nell’esercizio di una attività sportiva è necessario, oltre il il consenso dell’atleta alla partecipazione della gara, anche il rispetto delle regole del gioco.
Per semplificare, si ritiene cioè che la condotta di uno sportivo, per esempio un calciatore, potrà ritenersi lecita non solo quando rispetti le specifiche regole della disciplina sportiva praticata, ma anche quando pur violando le regole del gioco, non superi la soglia del rischio consentito.
Si tratta, di una serie di comportamenti scriminanti legati all’attività sportiva, nel senso che, qualora li stessi comportamenti fossero mantenuti al di fuori di un’attività sportiva allora si verterebbe in un’attività penalmente e/o civilmente rilevante.
La giurisprudenza sia di merito che di legittimità, concordemente, considera pertanto, penalmente rilevanti la condotta posta in essere dall’atleta, che supera il rischio consentito, e in tal modo pone a repentaglio l’incolumità fisica del suo avversario. Al contempo, abbastanza pacificamente, ritiene esente da responsabilità l’atleta che pur rispettando le regole del gioco, cagioni involontariamente un danno all’avversario.
Per essere precisi, siamo nell’ambito delle cosiddette scriminanti non codificate dell’esercizio dell’attività sportiva, cioè quando le lesioni nel corso di una competizione sportiva vengano cagionate nel rispetto sia delle regole del gioco che del rischio consentito.
Difatti, in ogni circostanza in cui si discuta di lesioni in ambito sportivo, per poter addivenire ad una affermazione di responsabilità penale, occorre, in primis che l’autore del fatto abbia volontariamente e coscientemente violato i regolamenti di gioco, in modo da superare il limite di fair play e/o lealtà sportiva, proprio ed intrinseco di quella disciplina sportiva, in tal caso verrà chiamato a rispondere di dolo, colpa grave o preterintenzione.
Secondo logica, nel momento in cui l’atleta non viola nessun regolamento di gioco, alcun addebito può essere allo stesso attribuito e dall’ordinamento giuridico ogni conseguenza dannosa è tollerata alla luce delle scriminanti.
Vale la pena in tale sede ricordare, che la Corte di legittimità in più circostanze negli ultimi anni, ha palesato come non sia sufficiente violare le cosiddette regole tecniche del gioco affinché possa dirsi penalmente rilevante il danno perpretato a terzi, se e quando ciò sia avvenuto quale conseguenza fisiologica dell’azione. A parere dei giudici di legittimità, la Cassazione tanto per essere più chiaro, la nozione di illecito sportivo, ricomprende tutti quei comportamenti che, pur sostanziando infrazioni delle regole basilari e strutturali di una determinata disciplina sportiva, non sono penalmente perseguibili, neppure quando risultano essere di pregiudizio per l’integrità fisica di un avversario, in quanto non superano la famigerata soglia del rischio consentito.
Vieppiù, anche in presenza di lesioni gravi, la condotta lesiva dell’atleta, ma conforme e rispettosa delle regole del gioco, sarà tollerata dall’ordinamento escludendo per l’effetto ogni responsabilità penale in capo all’atleta.
In conclusione, all’odierno scrivente, preme tuttavia esprimere un concetto molto semplice, e cioè che il campo da gioco, non è una moderna arena dove al segnale del capitano si può scatenare l’inferno, non è una zona franca, dove tutto è lecito pur di sconfiggere il “nemico”, è tutt’altra cosa…..meditate sportivi…meditate.