Il fenomeno doping attualmente è per il mondo sportivo un problema di rilevante entità. Nell’ultimo decennio il doping è divenuto fonte di dibattito sia in ambito sociale che legislativo. Sempre più frequentemente infatti accanto a cronache sportive, la stampa riporta casi di atleti dopati in svariate discipline, notizie riguardanti blizt da parte delle forze dell’ordine in palestre e centri sportivi. Il doping ha raggiunto oramai effetti e proporzioni più che preoccupanti diventando un fenomeno di massa.
Con il termine doping si vuole comunemente indicare la somministrazione ad atleti o animali di sostanze o farmaci proibiti o l’utilizzo di pratiche mediche vietate allo scopo di migliorare la prestazione agonistica sportiva. Il doping è un fenomeno complesso che coinvolge aspetti medici, farmacologici, sportivi e di costume e che pone numerosi problemi etici in merito al trattamento alle sostanze usate alle dosi ai tempi ai modi di somministrazione, alle persone coinvolte, non solo atleti, ma anche medici, allenatori, ed alle modalità dei controlli antidoping, nonché riguardo alle sanzioni da applicare alla prevenzione e all’elaborazione di valide strategie antidoping.
Diventa di primaria importanza riuscire ad elaborare una definizione etico-sociale chiara e certa di doping. Non è sufficiente limitarsi a fornire indicazioni valide per approntare un’efficace sistema di controlli antidoping a fini esclusivamente repressivi, richiamando classi e categorie di sostanze e metodi proibiti oppure adottando un rigoroso sistema di valutazione gabellare. La definizione di doping, secondo la mia personale interpretazione, va costruita fornendo delle basi giustificative sulle quali poter portare avanti una valida ed adeguata politica antidoping sia a livello di giustizia sportiva che ordinaria. Va curata in primis la fase preventiva, attraverso un costante impegno educativo ed informativo, dato che il nostro paese è sostanzialmente carente in fatto di educazione e cultura sportiva. Nel corso del tempo si è tentato di dare una definizione certa e univoca di doping, evidenziando però un fallimento sotto ogni aspetto sociale e normativo.
La pratica del doparsi si configura senza dubbio come comportamento plurioffensivo, in quanto lede da una parte i principi di lealtà e correttezza sportiva, alterando la normale e sana competizione tra gli atleti in gara dall’altra parte, contestualmente, danneggia e pregiudica sia il bene dell’integrità psicofisica dell’atleta agonista che del comune sportivo, costituendo una seria e grave minaccia alla salute pubblica.
Per quanto esposto poc’anzi ritengo che nel fornire una definizione etico-sociale del doping è indispensabile tenere conto di entrambi questi aspetti: doping inteso quindi sia come frode sportiva e azione deprecabile verso la comunità sportiva, sia come pericolo per la salute non solo dell’atleta, ma anche di quella pubblica. Lo sport non è solo scienza e tecnologia ma anche diritto. E’ di tutta evidenza come l’ordinamento sportivo ha sempre cercato, almeno tentato, di condurre una costante lotta al doping con più o meno efficaci interventi di tutela e prevenzione, l’ ordinamento statale si è occupato seriamente del problema solo da pochi anni.
Il dilagare forse inaspettato del doping ha indotto, bontà sua, il Legislatore a prestare maggiore attenzione alla materia ed a colmare la lacuna normativa in seno ad essa, con l’introduzione della legge 376/2000. Tutto quello che ha preceduto la vigente normativa è una serie di interventi legislativi e di proposte di legge non uniformi, rimasti di fatto inattuali e superati ampiamente dal grado evolutivo del fenomeno in oggetto. Un primo e vero intervento in materia di doping si è avvertito con la legge antidoping 1099/71, che prevedeva inizialmente reati di natura contravvenzionale puniti con la semplice ammenda e al massimo con una sanzione di tipo disciplinare. In seguito la normativa antidoping è stata depenalizzata (legge 689/81) così che tutti gli illeciti penali, previsti in materia di doping sono stati trasformati in illeciti amministrativi. In attesa della legge 376/2000 la possibilità di attribuire rilevanza penale ai fatti di doping dipendeva in questo modo dalla riconducibilità di tali fatti ad ipotesi delittuose, previste da singole leggi o dallo stesso codice penale (T.U. in materia di stupefacenti D.P.R. 309/1990, legge 401/89 tutela e correttezza svolgimento competizioni agonistiche). D’altra parte, l’opportunità di sanzionare penalmente i fatti di doping è emersa con evidenza laddove si sono prese in considerazione da un lato le devastanti conseguenze per l’organismo umano derivanti dall’uso di tali sostanze, dall’altro il fatto che chi ricorre al doping vi è spesso indotto da soggetti qualificati per le loro cognizioni tecnico-scientifiche.
L’antefatto del doping forse sta in un ‘interiorizzazione da performance che costituisce il caposaldo del principio del produttivismo e dell’industrialismo. Sta in quell’idea dell’accettazione disincantata di quell’equazione uomo-macchina che sorge spontanea nella testa dell’uomo abituato oramai ad un rapporto con lo sport spettacolo retto dalla logica del “sempre di più”. Il fenomeno doping può essere inteso come una sorta di patto con il diavolo. Nella letteratura è un tema che ha affascinato Marlowe, Goethe e Mann, per loro il patto diabolico era un contratto che presupponeva la consapevolezza dei contraenti. In sé, questo contratto ha la straordinaria idea di forza, quella del superamento del limite ad ogni costo, si tratti del limite biologico o dei limiti assegnati dalla natura e dal destino. Il nuovo comandamento è andare oltre il limite, anche tramite l’esplorazione e lo sfruttamento dei segreti della natura indagata dalla nuova scienza.
Tutti coloro che hanno rimosso il limite a dispetto del monito baconiano “alla natura si comanda solo obbedendole” si sono avvicinati esattamente alla filosofia del patto col diavolo.