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Viaggi e pacchetti turistici: come tutelarsi?

La stagione estiva è ormai alle porte e si intensificano, facendosi frenetiche (!!), tra i consumatori, le attività di ricerca, individuazione e prenotazione delle meritate vacanze.

Tutti noi in questo periodo dell’anno siamo alla ricerca della “vacanza ideale”, quella che servirà a cancellare tutti i pensieri e lo stress di un intero anno lavorativo. Quella che ci farà ritemprare nello spirito e nel corpo!

Forse…

E si, perché, purtroppo, molto spesso, le agognate ferie si trasformano in vere e proprie tragedie, al limite del surreale!

La location non è proprio quella che ci aspettavamo (in foto era decisamente, come dire…diversa!!), i servizi promessi e tutti inclusi nel prezzo in realtà non ci sono…o sono tutti a pagamento e costosissimi!

I transfer si trasformano in veri e propri viaggi della speranza (speriamo di arrivare a destinazione…prima o poi!!).

Queste ed altre amenità del genere…

Se ci dovessimo trovare di fronte a situazioni, come dire, critiche, possiamo in qualche modo tutelarci?

E se si, come??

La normativa in materia è stata recentemente riformata, udite udite…a tutela del consumatore!

Intanto va precisato che sono da intendersi pacchetti turistici le combinazioni “di almeno due tipi di servizi turistici di trasporto, alloggio, noleggio veicoli o altro servizio turistico ai fini dello stesso viaggio se combinati da un unico professionista, ovvero, anche se siano conclusi contratti separati con singoli fornitori di servizi turistici, siano acquistati presso un unico punto vendita, oppure offerti ad un prezzo forfettario, ovvero pubblicizzati sotto denominazione di ‘pacchetto’ o denominazione analoga oppure, infine, combinati entro 24 ore dalla conclusione di un primo contratto, anche con processi collegati di prenotazione online”.

Vengono, inoltre, aumentate le tutele dei viaggiatori in caso di RECESSO.

RESPONSABILITA’ PER “PACCHETTO DIFETTOSO”
Altra novità è rappresentata dall’intensificazione della responsabilità dell’organizzatore per l’inesatta esecuzione del pacchetto. Viene garantita al viaggiatore una riduzione del prezzo, oltre all’eventuale risarcimento del danno e alla possibilità di recedere dal contratto.

TRE ANNI PER CHIEDERE I DANNI
Altra novità rilevante riguarda i termini di prescrizione: 3 anni per il danno alla persona e 2 per gli altri danni.

Per prevenire problemi in vacanza o comunque per gestirli una volta malauguratamente insorti, é fondamentale avere, prima di partire, una polizza di tutela legale e, soprattutto, un contratto di protezione.

 

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INPS vuole soldi indietro: che fare?

Oggi voglio parlare di una questione purtroppo sempre più diffusa e che molto “disagio” crea in coloro che si trovano ad essere destinatari di tali comunicazioni, per lo più pensionati, si vedono recapitare raccomandate a.r. con richiesta da parte dell’Inps di restituzione somme, a dire dell’ente, erogate indebitamamente.

Capita, anche con una certa frequenza, che la richiesta di restituzione afferisca a periodi anche molto indietro con gli anni.

E’ prassi sempre più diffusa operare, da parte dell’Ente, sin dal mese successivo a tali comunicazioni, una ritenuta sulle pensioni eventualmente già erogate. Una sorta di esecuzione forzata autonomamente auto-autorizzata dallo stesso ente previdenziale.

E’ prassi dell’ente negare qualsivoglia motivazione in merito a tali richieste.

L’avvocato a cui il pensionato si rivolge, al fine di valutare la fondatezza delle richieste di restituzione dell’Inps, tenta più e più volte, con richieste bonarie, almeno di conoscere le motivazioni; provvede, altresì, ad inoltrare numerose istanze di revoca del provvedimento che si ritiene illegittimo in via di autotutela.

Nulla.

L’Inps, di fatto, costringe il pensionato al ricorso giudiziale con tutti i patemi e le spese legali da anticipare che questo comporta.

E’ recente il caso occorso ad una mia cliente che si è vista recapitare una richiesta di restituzione di somme per l’importo di €. 32.805,25, per presunte somme, relative ad una pensione d’invalidità civile, erogate indebitamente nel periodo dal 01.12.1993 al 31.03.2007.

Questa la scarna comunicazione dell’ente.

Vani sono stati i ripetuti solleciti tutti bonari a che l’ente esplicasse le motivazioni di tale richiesta.

Vani, altresì, gli inviti ad agire in via di autotutela essendo evidentemente decorso qualsivoglia termine prescrizionale.

Dunque cosa fare in presenza di tali richieste?

In primis valutare la motivazione espressa dell’ente in relazione alla richiesta di restituzione.

In secondo luogo verificare appunto il decorso di eventuali termini di prescrizione.

Qualora venga accertato un indebito pensionistico a seguito di verifica sulla situazione reddituale che incide sulla misura o sul diritto delle prestazioni, l’Istituto procederà al recupero delle somme indebitamente erogate nei periodi ai quali si riferisce la dichiarazione reddituale.

Ciò solo qualora la notifica dell’indebito avvenga entro l’anno successivo a quello nel corso del quale è stata resa la dichiarazione da parte del pensionato.

Ove la notifica dell’indebito non sia effettuata entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello nel quale è stata resa la dichiarazione reddituale, le somme erogate indebitamente non sono ripetibili.

Ma ancora, a prescindere dalla valutazione sui requisiti reddituali, l’art. 52, comma 2 L. n. 88/1986 evidenzia che, laddove siano state riscosse rate di pensione risultanti non dovute, non si fa luogo a recupero delle somme corrisposte, salvo che l’indebita percezione sia dovuta a dolo dell’interessato.

Se hai subito una richiesta di restituzione da parte di INPS o altri enti previdenziali, contattaci per valutare il tuo caso.

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Compenso degli avvocati e recupero giudiziale: come funziona?

Il pagamento dei compensi degli avvocati.

Il tema della procedura di recupero, da parte dell’avvocato, della propria parcella o compenso nei confronti del cliente non pagante non e’ materia pacifica ed e’ oggetto di interventi frequentissimi da parte della corte di legittimita’, oltre che dei giudici di merito, sempre piu’ spesso investiti della questione. anche perche’ la disciplina e’ stata oggetto di svariati interventi, statificatisi nel tempo, che hanno dato e danno luogo a numerose incertezze applicative.

Oltre ai dubbi sulle regole procedurali applicabili per il recupero di questi crediti, sono sorti e sorgono dubbi interpretativi sulla valenza probatoria della liquidazione effettuata dall’ordine di appartenenza.

Tralasciando la disciplina vigente fino all’entrata in vigore della nuova legge professionale la n. 247/2012, nonche’ le vecchie tariffe professionali, direi di partire dalla disciplina codicistica, cio’ si rende necessario per dare un ordine sistematico al tema.

I principi generali.

Ritengo sempre opportuno, anzi necessario, partire dai principi generali:

art. 2233 c.c.:
professioni intellettuali
compenso
“il compenso, se non e’ convenuto dalle parti e non puo’ essere determinato secondo le tariffe o gli usi, e’ determinato dal giudice, sentito il parere dell’associazione professionale a cui il professionista appartiene.
in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione.
sono nulli, se non redatti in forma scritta, i patti conclusi tra gli avvocati e i praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali.”

Dunque, ai sensi della disciplina codicistica, che pone i fondamentali principi generali a cui tutte le discipline speciali soggiacciono:
1) la pattuizione del compenso professionale e’ libera – con il limite dell’importanza dell’opera e del decoro della professione – ed e’ oggetto di convenzione negoziale tra le parti, per iscritto a pena di nullita’
2) solo in via residuale e’ determinata da tariffe e/o dal giudice

È evidente che la legge professionale non ha fatto altro che riprendere, confermare e disciplinare in maniera piu’ ampia ed esplicita la disciplina codicistica:

l. 247/2012
art. 13 conferimento dell’incarico e compenso

  1. l’avvocato puo’ esercitare l’incarico professionale anche a proprio favore. l’incarico puo’ essere svolto a titolo gratuito.
  2. il compenso spettante al professionista e’ pattuito di regola per iscritto all’atto di conferimento dell’incarico professionale.
  3. la pattuizione dei compensi e’ libera: e’ ammessa la pattuizione a tempo, a forfait, per convenzione avente ad oggetto uno o piu’ affari, in base all’assolvimento e ai tempi di erogazione della prestazione, per singole fasi o prestazioni o per l’intera attivita’, a percentuale sul valore dell’affare o su quanto si prevede possa giovarsene, non soltanto a livello strettamente patrimoniale, il destinatario della prestazione.

Cosa dice in sostanza la nostra legge professionale?

Conferma e rende espressa la liberalizzazione dei compensi professionali.

La pattuizione del compenso e’ libera. e cio’ anche alla luce dei principi generali del 2233 c.c.: in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione.

Limite e che deve sempre essere rispettato!

Dunque possiamo pattuire il compenso da richiedere ai nostri clienti sganciando la richiesta da qualsivoglia tariffa o parametro, purche’, a mente del comma 2 e 5, ma soprattutto dell’art. 2233 c.c., cio’ avvenga per iscritto.

La L. n. 124/2017 ha introdotto, pre gli avvocati, l’obbligo del preventivo scritto. Il preventivo, di massima, deve essere adeguato all’importanza dell’opera prestata e va pattuito indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, compresi oneri, contributi e spese.

I clienti vanno altresì resi edotti circa:
1) il grado di complessità dell’incarico
2) l’esistenza e gli estremi della polizza assicurativa r.c.
Gli avvocati che non ottemperano, per ora, commettono “solo” un illecito disciplinare.
Tuttavia, secondo uno studio del CNF, per gli avvocati non vige un vero e proprio obbligo di preventivo scritto, quanto piuttosto l’obbligo di comunicare per iscritto ai propri clienti il prevedibile costo della prestazione distinguendo tra oneri, spese e compenso professionale.

Dunque i parametri ex d.m. n. 50/2014?

In realta’ essi hanno valore residuale.

Vale a dire vi si ricorrera’ in mancanza di accordo scritto, in mancanza di adempimento spontaneo e di determinazione consensuale, nonche’ in caso di liquidazione giudiziale.

Cosa succede in caso di mancato adempimento spontaneo al pagamento da parte del cliente?

rimedi giudiziali

art. 633 e ss. c.p.c
art. 28 l. 794/42
art. 14 d.lgs. 150/2011

art. 633 e ss. c.p.c.

Problematiche poste:
necessita’ del parere di congruita’ del consiglio dell’ordine di appartenenza?

La giurisprudenza sul punto e’ divisa: vi sono numerosissime pronunce nelle quali si richiede il parere di congruita’ dell’ordine, non ritenendo i parametri vincolanti e comunque sufficientemente predeterminati da consentire una liquidazione “automatica” da parte del giudice.

Viceversa, va considerato che:
1) se c’e’ accordo scritto abbiamo prova scritta e convenzione negoziale che da fondamento all’obbligazione assunta dal cliente.
2) se non vi e’ pattuizione scritta si ricorre ai parametri d.m. 55/2014 che sono prederminati e rigidi nella quantificazione.

In caso di opposizione, e in mancanza di accordo negoziale scritto, allora sara’ ncessario il parere di congruita’ e procedimento a cognizione sommaria 702 bis c.p.c.

art. 28 l. 794/42
art. 14 d.lgs. 150/2011

Le problematiche applicative ed interpretative aumentano nel caso in cui si decida di esperire il rimedio giudiziale alternativo al ricorso per d.i. e dunque senza previo ottenimento del parere di congruita’ dell’ordine di appartenenza:

Art. 702 bis c.p.c. esperibile solo quando si discute del “quantum” ovvero anche se l’accertamento investe l’an debeatur?

Fino alla sentenza n. 4002/2016 della cassazione, il procedimento ex art. 702 bis era esperibile solo in caso di richiesta di mera liquidazione del quantum indicato dall’avvocato e in caso di mancata contestazione nell’an da parte del cliente.
in caso di contestazione sull’an, il giudizio veniva dichiarato inammissibile, poiche’ non convertibile nel rito ordinario di cognizione, paralizzando in questo modo l’azione del professionista che doveva intraprendere un nuovo giudizio; sostanzialmente come avveniva con la procedura ex art. 28 l. 794/42.

Si diceva fino alla sentenza n. 4002/2016 che ha introdotto un nuovo principio circa l’ambito di applicazione del procedimento ex art. 702 bis: esso e’ esperibile sia quando la controversia investa la mera liquidazione del quantum – sia quando investa l’an della pretesa, ossia i presupposti stessi del diritto al compenso (ad esempio i limiti o l’esistenza stessa del mandato, ovvero sia eccepita la prescrizione del credito) ovvero l’effettiva esecuzione delle prestazioni, la sussistenza di cause estintive o limitative della pretesa.

Le ss.uu. sono interventute con sentenza n. 4485/2018 stabilendo che:
1) e’ esclusa l’esperibilita’ del rito ordinario di cognizione;
2) e’ esclusa l’esperibilita’ del procedimento sommario ordinario codicistico di cui all’art. 702 bis c.p.c.;
3) le controversie aventi ad oggetto la domanda di condanna del cliente al pagamento delle spettanze giudiziali dell’avvocato, sia che vi sia stata una contestazione sull’an debeatur, sia che non vi sia stata sono assoggettate al rito speciale sommario ex art. 702 bis c.p.c.;
4) una volta introdotta resta dunque assoggettata al rito speciale sommario anche qualora il cliente sollevi contestazioni sull’an.
in altri termini le ss.uu. hanno sancito l’inutilizzabilita’ del rito di cognizione ordinaria introdotto con atto di citazione, sia del procedimento ex art. 702 bis c.pc. “ordinario”. viceversa, ritenendo ammissibile esclusivamente il rito ex art. 702 bis c.pc. “speciale”, distinto da inappellabilita’ dell’ordinanaza e immodificabilita’ del rito.