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Firma remota con slpct: come funziona?

Oggi ti parlo di come firmare un deposito telematico con firma digitale remota Namirial e slpct.

Questa modalità è molto comoda quando si è ad esempio fuori da studio e si deve effettuare un deposito telematico. Inoltre funziona come backup in caso di malfunzionamento della chiavetta, per problemi hardware o software o perché magari i certificati sono scaduti e non ci se ne era accorti.

Questo breve tutorial si concentra sulla procedura di firma e, pertanto, presuppone che si conosca già un minimo il funzionamento di slpct e si abbia confidenza con il programma. Se per te non è ancora così, prima di leggere questo tutorial vai a leggere gli altri post che ho pubblicato su slpct e prova a prendere confidenza con il programma prima di tornare qui.

La procedura di firma parte dal bottone «firma e crea busta» che appare una volta impostato l’atto principale del deposito e gli eventuali allegati. 

bottone firma e crea busta

Cliccando questo bottone, si apre il pannello per la firma.

Prima di cliccare «firma tutto» a sinistra, devi selezionare a destra con l’apposita tendina la modalità di firma.

Di default, è impostata la firma in locale con la chiavetta.

Questa collocazione a destra, dopo il bottone «firma tutto», è un po’ controintuitiva, ma pazienza. 

 

selezione modalità firma

Seleziona dunque dapprima «firma remota» e poi clicca su «firma tutto» 

Dopo aver cliccato su «firma tutto», se avrai correttamente selezionato firma remota, si aprirà il pannello relativo all’inserimento delle credenziali per la firma remota:

pannello di firma remota

Nel campo «dispositivo assegnato» occorre inserire appunto il numero di dispositivo assegnato da Namirial al momento della sottoscrizione del servizio. Suggerisco di cliccare su «salva dispositivo» per evitare di doverlo inserire di nuovo in futuro.

Nel campo del PIN si inserisce invece il proprio PIN, il codice identificativo che funge da conferma della propria identità, proprio come avviene con le chiavette hardware, con la sola differenza che, in questo caso, il PIN non è la conferma finale dell’identità, ma bisognerà anche inserire un codice OTP.

Naturalmente, tutte queste informazioni, tutte queste credenziali, le devi tenere in un gestore di credenziali, come ti spiego meglio in questo precedente post, che ti invito a leggere con attenzione. 

Dopo aver inserito i dati e dato la conferma appare il seguente ulteriore pannello per specificare il dispositivo OTP da utilizzare, quello da cui viene generato il codice OTP che conferma ancora la propria identità.

Devi cliccare sulla tendina e selezionare il dispositivo che avevi precedentemente generale nel pannello del sito web di Namirial. Nel mio caso, ho scelto di utilizzare l’app per cellulari di Namirial, Namirial OTP, che genera un nuovo codice OPT ogni 30 secondi. 

Panello specifica dispositivo OTP

Dopo aver selezionato il dispositivo con la tendina, appare questo ulteriore pannello dove devi inserire il codice OTP a conferma della tua identità per concludere la firma.

pannello OTP

Personalemnte, appunto, ho attivato l’app di Namirial sul cellulare, per cui non devo far altro che aprire l’app e inserire uno dei codici che vengono continuamente prodotti, curando che non stia scadendo temporalmente, perché in quel caso potrei non fare in tempo ad inserirlo.

Una volta inserito il codice OTP e cliccato su conferma, vedrai apparire nell’elenco dei file di slpct le versioni firmate e si alzerà la finestra di dialogo di conferma (nel mio caso è stato necessario fare clic sull’elenco dei file per visualizzarla).

conferma firma

In basso c’è un pulsante con cui si possono visualizzare i files firmati.

vedi PDF firmato

Se vuoi puoi selezionare il singolo file che ti interessa e vedere come compare dopo l’apposizione della firma.

A questo punto, si può procedere come al solito con la creazione della busta e l’invio all’organo giudiziario.

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Istanza di visibilità con slpct: come farla.

Un breve tutorial su come fare correttamente l’istanza di visibilità temporanea del fascicolo con slpct, con anche un modello relativo.

Presuppone che slpct sia già stato installato e che ci sia già una conoscenza o almeno una confidenza minima con il programma.

Come tipo di atto, selezionare «atto generico / Istanza generica».

Il nome della busta deve, come sempre, essere compilato automaticamente. Noi a studio, a riguardo, seguiamo questa convenzione: mettiamo i nomi delle parti e, di seguito, separato da un doppio trattino, l’oggetto della busta.

Ad esempio

Pinco – Pallino — istanza di visibilità

A volte può capitare di effettuare uno stesso deposito più volte per fallimento di quello precedente, in questo caso aggiungiamo un numero alla fine

Pinco – Pallino — istanza di visibilità 2

In modo da non confonderci tra le varie buste che rimangono memorizzate in split

Come atto principale, devi mettere la tua istanza di visibilità ovviamente.

Ti metto di seguito un modello in formato word, naturalmente poi una volta compilato devi convertirlo in PDF «leggibile», cioè direttamente dal computer (non stampando e scandendo, insomma).

istanza di visibilita? temporanea fascicolo.docx

Una volta impostato l’atto principale, deve essere allegata la procura.

Allegare la procura

L’allegato deve essere marcato appunto come «procura alle liti» utilizzando l’apposita tendina; non va fatta alcuna dichiarazione di conformità anche perché la procura diventerà subito dopo un originale con l’apposizione della firma digitale. Naturalmente, la procura deve essere firmata sia dal cliente che dall’avvocato; da quest’ultimo viene firmata sia sull’originale cartaceo che, digitalmente, nell’esemplare informatico.

Una volta inseriti i due documenti – istanza di visibilità (atto principale) e procura alle liti – si può procedere alla firma e alla creazione della busta, facendo clic sull’apposito bottone.

bottone firma e crea busta

 

Prima di cliccare questo bottone, se hai, come me, la versione di slpct che consente la firma remota, devi selezionare la modalità di firma che intendi utilizzare: se quella locale, con chiavetta, o quella remota con Namirial. Guarda l’immagine qua sotto, prima di cliccare «firma tutto» a sinistra devi selezionare a destra con l’apposita tendina la modalità di firma. Di default, è impostata la firma in locale con la chiavetta. Questa collocazione a destra, dopo il bottone «firma tutto», è un po’ controintuitiva, ma pazienza. 

selezione modalità firma

 

Clic su «firma tutto», seleziona «solo in necessario» (è indifferente, slpct firmerà comunque entrambi i files, ovviamente), quindi si aprirà la finestra di dialogo obbligatoria per la visualizzazione del confronto

visualizza confronto

Basta fare clic su «visualizza confronto», si aprirà la nostra istanza. A quel punto si deve chiuderla e fare clic su «chiudi», dopo aver messo il segno di spunta a sinistra di «conformità verificata e dati strutturati». È solo una formalità, insomma. 

A questo punto si può procedere con la firma. Non mi dilungo sulla procedura di firma, anche perché esula dallo scopo di questo breve tutorial, ti anticipo solo che a breve pubblicherò un altro post con le procedure specifiche di firma remota, una opportunità interessante fornita da slpct, che può servire sia per comodità che come backup in caso di malfunzionamento di una singola chiavetta.

Una volta firmato, si deve procedere alla creazione e all’invio della busta, cliccando sull’apposito pulsante in basso a destra:

pulsante crea busta

Apparirà una finestra di dialogo di conferma dell’avvenuta creazione corretta della busta. A questo punto, si deve fare clic sul pulsante in basso a destra «invia deposito» 

pulsante invia deposito

Fai attenzione a questo punto a selezionare come account mittente della mail con cui invii il deposito quello di posta certificata – un errore comune è quello di inviare i depositi da un account diverso, cosa che genera inevitabilmente un errore.

Spero che il post ti sia utile.

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Archiviazione messaggi mail: nuovo add-on.

Se sei un avvocato, o un altro libero professionista che usa la pec, sai che questo tipo di posta, in particolare, è bene archiviarla nel suo formato originale, o nativo, seguendo il metodo che ti ho già spiegato in questo precedente tutorial.

mailUltimamente, il componente aggiuntivo da utilizzare era diventato incompatibile con le versioni più recenti di Thunderbird, così ti avevo scritto un altro post indicando come fare il «downgrade» della versione di Thunderbird, in modo da poterlo utilizzare ugualmente, disattivando gli aggiornamenti automatici.

Ora per fortuna non c’è più bisogno di fare il downgrade, è possibile installare l’ultima versione di Thunderbird con un nuovo add-on, o componente aggiuntivo, sviluppato sulla base di quello precedente.

Si tratta di ImportExportTools NG, dove NG sta per next gen, sviluppato in Germania, appunto sulla base del plugin originario, scritto invece in Italia.

Il nuovo plugin puoi trovarlo qui.

Non mi dilungo a spiegare come funziona, perché è sostanzialmente una rifinitura, resa appunto compatibile con le versioni più recenti, del plugin precedente.

Una funzione interessante è quella che ti consente di realizzare un backup automatico dei tuoi messaggi di pec, che non credo sfrutterò in quanto non utilizzo Mozilla come client di posta principale, ma solo per il backup, e che può essere utile a chi invece appunto usa TB anche come client.

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Twitter: come averlo senza pubblicità.

Se anche tu sei un affezionato utente di Twitter come me, ma ultimamente ti sei un po’ scocciato e infastidito della pubblicità sempre più presente nella timeline, forse ti può interessare questo post in cui spiego come poter seguire Twitter al netto completo della pubblicità.

Purtroppo, i gestori di Twitter hanno reso molto difficile la vita delle applicazioni di terze parti, così che oggi è molto scomodo, o comunque poco pratico, utilizzare un client di terze parti diverso dell’applicazione ufficiale messa a disposizione da Twitter. Questo serve perché i gestori della piattaforma vogliono che tutti gli utenti utilizzino l’applicazione ufficiale per poterli gestire meglio. Si tratta di un fenomeno che ritroviamo anche su facebook, dove sono ancora più evidenti gli sforzi degli sviluppatori di cercare di tenere le persone all’interno dell’applicazione ufficiale di facebook senza farli andare più di tanto in giro per la rete.

Una via d’uscita da queste situazioni si ritrova nel fatto che comunque tutti i social, tutte le piattaforme di microblogging come Twitter, devono comunque essere accessibili tramite il web e non solamente all’interno di apposite applicazioni.

Esiste a riguardo un browser che può essere installato anche sui dispositivi mobili e nel quale può essere aggiunta una estensione che blocca la pubblicità.

Il browser in questione è il vecchio Mozilla Firefox, che ormai personalmente utilizzo da qualche anno di default avendolo preferito sia a Safari che a Chrome.

Magari in un altro post ti parlerò anche più approfonditamente di Firefox in relazione al tema di quale browser è preferibile utilizzare oggigiorno.

In questa sede, mi limito a concludere dicendo che se vuoi seguire Twitter senza vederti la pubblicità puoi installare Firefox e aggiungere il componente aggiuntivo adblock oppure un’altra estensione analoga.

Una delle cose belle di Firefox, che mi hanno portato a preferirlo, è infatti che anche sui dispositivi mobili si possono installare i componenti aggiuntivi, a differenza di quello che avviene con Chrome e Safari che possono installare estensioni solo nelle versioni per PC o Mac.

Sempre con Firefox, una volta aperta la home page di Twitter si può, su android, scegliere di installare un collegamento nella homepage o desktop del nostro dispositivo android, in questo modo si avrà un’icona del tutto analoga a quella dell’applicazione ufficiale di Twitter, anzi è anche possibile cambiare l’icona se proprio uno vuole e metterci la stessa dell’applicazione ufficiale o comunque un’altra icona di twitter, in questo modo l’esperienza dell’utente è quasi completamente paragonabile a quella che si ha utilizzando un applicazione.

L’interfaccia web mobile di Twitter funziona estremamente bene, si può anche personalizzare il tema, mettendo la skin nera che personalmente è quella che preferisco in quanto almeno mio giudizio è molto più riposante per gli occhi. Si possono poi anche ingrandire i caratteri cosa cui ho provveduto per lo stesso identico motivo.

Buona navigazione e buon divertimento con twitter.

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Copia e incolla su android: se non va c’è la Hacker’s.

Che cosa devi fare quando copia incolla non funziona su android?

A volte, capita di entrare all’interno di applicazioni che, per qualche motivo, non supportano il copia e incolla normale, quello che si ottiene tenendo premuto il dito sul display e facendo apparire un menu in sovrapposizione con le opzioni relative.

Questo può rappresentare un inconveniente tutte le volte in cui ad esempio bisogna digitare una password, che, spesso si è scelto di creare in modo molto complicato, con molti caratteri speciali che sono difficili da riprodurre sulla tastiera standard di Android.

Comunque, anche in questi casi in cui non si riesce a far comparire il menu in sovraimpressione, è possibile usare il copia e incolla.

La soluzione è quella di installare e definire una tastiera di sistema alternativa che supporti il tasto CTRL, che nella tastiera montata di solito su Android è assente, in modo da poter fare copia e incolla, rispettivamente, con CTRL + C e CTRL + V.

La tastiera alternativa che uso per questo scopo è la Hacker’s Keyboard.

Negli ultimi tempi, peraltro, questa utilissima applicazione era stata rimossa dal Play Store probabilmente per un disguido relativo ad alcune pubblicità contenute al suo interno, ma, fortunatamente, attualmente sembra essere stata reinserita ed essere disponibile, al link sopra indicato.

Qualora venisse rimossa di nuovo, sarebbe sufficiente cercare il relativo pacchetto APK e installarlo, anche tramite gestori di pacchetti alternativi per android, come F-droid. La home page del progetto, ospitato su github, si trova comunque qui.

Dopo aver installato il pacchetto, si deve tappare sull’icona relativa per impostarlo e aggiungere la tastiera a quelle previste sul cellulare. Dopodichè si avrà accesso ad una schermata come la successiva, dove la hacker’s dovrà essere appositamente abilitata, spostando il relativo interruttore in modo che sia attivo.

Purtroppo, di default la hacker’s non è nella modalità a cinque righe di tasti, con anche il tastro control, ma si presenta come una tastiera semplice, come si può vedere nell’immagine successiva

A questo punto, bisogna tappare a lungo sull’icona a forma di «bottone» in basso a sinistra, tra quella per il passaggio ai numeri e quella del microfono. Questo tasto serve sia per cambiare tastiera, cosa che vorrai fare quando avrai finito di usare l’applicazione che non ti consente il copia e incolla, sia per cambiare i parametri della hacker’s, che è quello che vorrai fare in questo momento.

Seleziona dunque «Settings for Hacker’s Keyboard»

Verrà a questo punto mostrata questa schermata.

Devi andare nella sezione «Keyboard mode, portrait». Si alzerà questo menu:

Qui dovrai scegliere «Full 5-row layout».

E voilà, avrai a disposizione una tastiera, un po’ scomoda, perché con i tasti molto «fitti», ma su cui potrai usare il tasto control come su un computer fisso.

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Files ebook Kindle KFX: come trattarli.

Ti ho già parlato, in un precedente post, della possibilità di rimuovere i sistemi di protezione DRM dagli ebook, operazione che in qualche caso è probabilmente legittima, se avviene su libri acquistati e solo ovviamente per uso personale.

Oggi voglio parlarti di un nuovo formato di file utilizzato da Amazon per gli ebook venduti tramite il sistema Kindle, il KFX, che i softwares diffusi in precedenza non avevano, almeno in un primo momento, la capacità di gestire.

Personalmente, non ho un Kindle. Per leggere gli ebook, uso il formato ePub e li carico in Google Play Books, che posso usare sia sul cellulare, che sul tablet, che sul mac, ritrovando sincronizzate note, evidenziazioni e così via.

Il problema è che alcuni libri sono disponibili solo in cartaceo o i formato kindle, ma non si trovano in vendita in formato ePub, non so per quale misterioso motivo, probabilmente ci sono politiche commerciali degli editori o, semplicemente, sbadataggine di chi, all’interno degli editori, si occupa della versione ebook dei titoli.

In questi casi, si può legittimamente acquistare la versione Kindle. Per poterla poi caricare sul proprio lettore di ePub, bisogna necessariamente convertire il formato, cosa che a sua volta richiede la rimozione dei DRM.

Siccome mi è capitato di farlo di recente per un libro che mi interessava, ecco di seguito la procedura da seguire descritta passo passo.

Bisogna usare Calibre, un software di gestione degli ebook, di cui ho parlato già diverse volte nel blog e che uso da diversi anni.

Dentro a Calibre, bisogna installare due plugin. Uno per la gestione del nuovo formato KFX e uno per la rimozione dei DRM. I plugin si possono scaricare da qui:

Questi due plugin dovranno essere installati dentro a Calibre, dal menu Preferenze, Plugin, scegliendo ovviamente l’installazione da files. Dopo l’installazione, sarà preferibile riavviare Calibre.

Il file del libro in formato KFX si può ottenere installato sul proprio PC o Mac l’applicazione Kindle apposita e andando poi a cercarlo nel percorso impostato per il download dei libri. Nel mio caso, il file aveva estensione .azw all’interno di una directory specifica nel percorso configurato per il salvataggio dei files kindles.

Una volta individuato il files, sarà sufficiente importarlo dentro a Calibre, o trascinandolo o con le apposite funzioni, il software provvederà a configurarlo e a rimuovere i DRM.

A quel punto, sarà possibile effettuare la conversione in ePub con le funzionalità di conversione dello stesso Calibre, per poi caricarlo nel proprio sistema di lettura preferito.

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WordPress: cambiare l’indirizzo di un post o altro contenuto.

Oggi ti parlo del modo più efficace di cambiare indirizzo ad un contenuto che hai pubblicato con wordpress, come ad esempio un post come questo.

Perchè ti può venire bisogno di cambiare indirizzo ad un contenuto già pubblicato?

Un caso classico è quello in cui cambi il tipo di contenitore, cioè il formato di quel contenuto, ad esempio da post a pagina, perché ad esempio il post è molto letto ed è diventato una «pietra miliare» del tuo blog, oppure viceversa, perché le pagine ad esempio sono diventate troppe e alcune cose si possono mettere più agevolmente nel classico formato del post.

A me, ultimamente, è capitato di farlo passando dal formato «FAQ», ottenuto grazie ad un apposito plugin con cui avevo creato una apposita sezione di Frequently Asked Questions, al formato post, smantellando questa sezione che, alla lunga, si era rivelata una complicazione inutile.

In teoria, wordpress dovrebbe creare di «ricollegamenti» automatici tra il vecchio indirizzo e il nuovo dello stesso contenuto, nel momento in cui cambi il tipo, ma questa cosa non sempre funziona, specialmente quando il formato è speciale come appunto nei casi in cui lo si ottiene con un apposito plugin.

Meglio agire a livello di gestione del sito.

Ma perché è necessario compiere operazioni del genere?

Innanzitutto è una forma di riguardo per i lettori del blog, che possono non trovare un contenuto collegato ad un altro post perché appunto non funziona più il collegamento.

Ma, soprattutto, è una forma di riguardo anche per google che, se non ritrova la roba allo stesso posto in cui si trovava prima, si incazza e penalizza il tuo sito nei risultati di ricerca (SEO), perché giustamente lo ritiene il sito di uno che non sa lavorare con il web e fa pasticci con i contenuti…

Questo ovviamente per tutti coloro che lavorano con il web è da evitare assolutamente.

Dunque, fatte queste premesse, il modo migliore per gestire questa operazione è andare a modificare il file .htaccess che si trova nella radice del blog.

Il modo migliore per fare questa operazione è accedere tramite il vecchio protocollo FTP al server su cui gira il blog. Personalmente, uso sul Mac un client, disponibile anche in ambiente windows, che si chiama Cyberduck e che consiglio di provare anche a te.

Dopo aver eseguito l’accesso, è importante dire a Cyberduck di visualizzare anche i files nascosti, perché di default non lo fa, mentre .htaccess, con il punto all’inizio del nome è appunto un file nascosto. Per farlo, devi andare in Visualizza e selezionare appunto l’opzione «Visualizza files nascosti» oppure premere, con Cyberduck in primo piano, SHIFT+COMMAND+R. Se procedi in questo modo, però, dovrai farlo ogni volta che ti connetti, invece la cosa consigliabile è settarlo direttamente nelle preferenze di Cyberduck, come mostrato nell’immagine che segue:

Una volta entrati nel server ftp e localizzato il file .htaccess si può fare l’editing direttamente senza bisogno di scaricarlo, modificarlo e poi tornarlo a caricare – si occupa in background Cyberduck di tutte queste operazioni in modo da farla sembrare una modifica locale.

Fai quindi a questo punto clic destro su .htaccess, scegliendo «Modifica con…» e scegliendo poi l’editor installato sul tuo computer, nel mio caso quello di default di ogni Mac e cioè TextEdit.

La sintassi da usare è la seguente, prendo un esempio reale dal mio file .htaccess:

Redirect 301 /faq/potete-indicarmi-un-avvocato-delle-mie-zone/ https://blog.solignani.it/2008/09/23/potete-indicarmi-un-avvocato-delle-mie-zone/

Bisogna quindi mettere all’inizio della riga il «comando» Redirect 301, quindi il vecchio indirizzo del contenuto, quello che aveva prima dello spostamento, in formato relativo, cioè senza l’indicazione del percorso completo del sito, omettendo quindi la prima parte. Poi bisogna mettere quello di destinazione, che corrisponde al nuovo indirizzo, in questo caso il percorso deve essere assoluto e completo, come nell’esempio.

Una volta fatte le modifiche, si può salvare e voilà, il contenuto sarà raggiungibile nella nuova posizione.

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Gestione posta elettronica: MailSuite di SmallCubed.

Oggi ti voglio parlare di un plugin di Apple Mail che è, a mio giudizio, molto utile per una ordinata gestione del lavoro sulla posta elettronica.

Ti ho già parlato, in un altro post, dell’importanza di poter ritardare sia la posta in uscita che quella in entrata, adattando il flusso del messaggio alla possibilità di lavorazione che abbiamo – in relazione ad un’estensione per gmail, boomerang.

Questo plugin consente di effettuare il delaying, cioè ritardare la posta in uscita, con qualsiasi account di posta elettronica, a condizione che si utilizzi Apple Mail e cioè il client di default di macOs.

Si tratta di MailSuite di Smallcubed.

In realtà, MailSuite è un gruppo di plugin, ognuno con funzionalità diverse, come si vede dall’immagine sopra riportata, quello che utilizzo io è Mail-ActOn che consente di effettuare quello che a me più interessa e cioè la spedizione ritardata delle mail. Anche MailTags, tuttavia, è molto interessante e magari ci torneremo sopra con un post apposito.

MailSuite, comunque, funziona anche con mojave, l’ultima versione, ad oggi, di macOs e questa è la cosa importante. Dopo l’installazione, occorre intervenire sulle Preferenze di Apple Mail per abilitare il plugin. In effetti, l’installazione altro non fa che copiare il file del plugin dentro alla cartella di Apple Mail. Bisogna aprire le preferenze, nella prima scheda in basso selezionare «Gestisci plugin», cliccare sul plugin installato e poi riavviare Apple Mail.

Comunque, è il processo stesso di installazione che ci ricorda di fare ciò.

Quelli di Smallcubed peraltro hanno un supporto molto efficiente. Ogni volta che ho mandato una richiesta ho ricevuto una risposta abbastanza completa in tempi molto rapidi. Le richieste di supporto vanno mandate da questa pagina.

Dopo l’installazione, nella finestra di creazione di un nuovo messaggio si avrà una nuova riga in cui impostare, se lo si desidera, il tempo e il giorno di consegna. Si potrà anche definire una «regola» in base alla quale, ad esempio, tutti i messaggi mail, di default, saranno consegnati dopo tot ore. Questo plugin, infatti, crea una nuova sezione nelle regole di Apple Mail, chiamata regole Act-On, in cui è possibile definire appunto regole anche di consegna per i messaggi in uscita. Ad esempio, si può impostare una regola di default per mandare tutti i messaggi in uscita alle ore 23 di ogni giorno. Poi quando si scrive un messaggio si può optare di uscire dal default e mandarla subito, se urgente, oppure ancora più tardi se la si vuole inviare dopo ancora.

Le mail in attesa di essere «liberate» da MailSuite si trovano nella cartella «Uscita» di Apple Mail. Da qui si possono riaprire, se ad esempio si vuole cambiarne la programmazione di uscita, compreso il caso in cui si vogliono «mollare» subito perché ad esempio le esigenze sono cambiate.

Una cosa molto importante da dire è che MailSuite, a riguardo, opera a livello locale, senza sincronizzazione, a livello IMAP, con altri mac con installato Apple Mail e configurati gli stessi account. Questo comporta diverse conseguente tra cui segnatamente:

  1. se Apple Mail è chiuso o il mac, ad esempio, è spento, all’ora programmata originariamente per l’invio, la mail non viene spedita: in questi casi, ho notato che la mail viene inviata poi al momento in cui si accende il mac e si riapre Apple Mail;
  2. se il mac va in crash, perché ad esempio si rompe il disco fisso, o sempre ad esempio viene rubato, le mail messe in coda di uscita verranno perse e non verranno mai più inviate – questo è un altro motivo per cui conviene sempre un backup di tipo clone con utility tipo carbon copy cloner o superduper.

Questa è una importante differenza con boomerang, che sembra operare a livello di server e che pare evitare problemi del genere alla radice.

MailSuite è un plugin a pagamento. Per il costo, consiglio di andare a vedere direttamente il sito di Smalcubed, inutile che lo riporti qui col rischio che poi possa cambiare in più o in meno. Personalmente, l’ho acquistato e li trovo soldi ben spesi considerato che mi agevola notevolmente il lavoro. Non ho link di affiliazione con Smallcubed, quindi se lo acquisterai non ci guadagnerò niente, sarà solo per la tua utilità.

Ti raccomando, con l’occasione, di iscriverti alla newsletter del blog, o, se non ti piace la mail, al gruppo Telegram, in modo da non perderti importanti e utili aggiornamenti quotidiani.

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Apple Mail e problemi con Mojave: come risolvere.

Molti utenti, me compreso, hanno avuto problemi con Apple Mail dopo aver effettuato l’aggiornamento di macOs a Mojave: forti rallentamenti, crash, blocchi frequenti, insomma impossibilità di usarlo decentemente come avveniva prima dell’upgrade.

Oggi voglio spiegarti come fare per risolvere il problema.

Naturalmente, come avviene nel 90% dei casi nel mondo dell’informatica, non c’è la possibilità di individuare un problema preciso, ma si fanno operazioni di «reset» della situazione che causa le difficoltà, intervenendo in modo rozzo ma spesso efficace, anche se come sempre c’è un prezzo da pagare che è appunto la riconfigurazione dei vari parametri.

Ovviamente, esegui la procedura a tuo rischio e pericolo. Tieni magari un backup di tipo «clone» con utility quali carbon copy cloner o superduper.

Se anche tu hai Apple Mail che fa le bizze, puoi provare a ripulirlo eseguendo le seguenti operazioni:

  1. Ovviamente, chiudi Apple Mail. Se non si chiude spontaneamente, premi ALT+ CMD + ESC e, dopo aver selezionato Apple Mail, fai clic su «uscita forzata». Un altro modo per chiudere forzatamente un’applicazione che non risponde in macOS è usare l’utility «monitoraggio attività».
  2. Lancia il Finder. Vai – scusa il gioco di parole… – nel menu «Vai», premi il tasto ALT e seleziona «Libreria». Senza premere il tasto ALT, la voce Libreria per motivi di sicurezza non compare, quindi appena lo premi la vedi comparire e la puoi selezionare facilmente.
  3. Dalla Libreria, poi devi andare in «Containers > com.apple.mail > Data > Library > Saved Application State» e mettere nel cestino la cartella «Saved Application State»
  4. Poi torni su, dentro a «Containers» e cerchi queste due cartelle; quando le hai trovate le sposti sul desktop (così poi in caso di bisogno le puoi ripristinare)
    1. com.apple.mail
    2. com.apple.MailServiceAgent
  5. Ora torni su alla Libreria e vai nel percorso «/Mail/V6/MailData». Qui devi trovare a cancellare i seguenti tre files:
    1. Envelope Index
    2. Envelope Index-shm
    3. Envelope Index-wal
  6. Svuota il cestino e riavvia il Mac.

Al riavvio, tutte le impostazioni precedentemente configurate saranno perse e dovranno essere configurate di nuovo. Mail si comporterà come se fosse stato avviato per la prima volta, chiedendo anche l’autorizzazione alla conversione delle mail precedenti, mostrando l’immagine riportata di seguito.

Conversione dei messaggi dal vecchio formato

Nota bene: dopo aver fatto questa operazione, il mio Mail è restato inutilizzabile per tutta la giornata, essendosi messo a riconvertire il formato di tutti i messaggi e avendo io molta posta in archivio. Può darsi che nel tuo caso occorra meno tempo, tieni comunque in considerazione questa ipotesi, specialmente nel caso in cui ti serva l’accesso (anche se in molti casi si può intanto usare l’interfaccia web della posta o un altro computer).

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Il PAT e… altri animali fantastici.

Questo post è per quegli avvocati che, come me, oltre al civile, fanno anche amministrativo e, abituati al processo civile telematico, devono sfortunatamente imparare come funziona anche un altro processo telematico, quello amministrativo.

Scrivo questo post, infatti, dopo una settimana consumata, sia pure a intervalli, a studiare il PAT, acronimo di processo amministrativo telematico, e una mattinata intera spesa a depositare il fascicolo di un ricorso al Consiglio di Stato a Roma.

Per il PAT, ci sono infatti molte peculiarità, che si manifestano sin da prima dei depositi, già al momento della notifica.

In teoria, chi ha disegnato il PAT avrebbe potuto renderlo corrispondente, o quantomeno simile, al PCT, che ormai quasi tutti gli avvocati conoscono abbastanza bene e con i cui strumenti ormai siamo quasi tutti avvezzi. In realtà, il PAT è stato invece ridisegnato completamente per suo conto, con regole sue proprie, con la conseguenza che è impossibile praticare il processo amministrativo senza studiare completamente daccapo il funzionamento del PAT. In altri termini, la conoscenza del PCT è pressochè inutile e biusogna prendere confidenza con regole e strumenti completamente diversi.

Per il PAT, ci sono già ottime guide on line, alcune delle quali da me ampiamente saccheggiate ed alle quali rimando per praticità. Il senso di questo post è quello di essere un’introduzione d’insieme al PAT, più che altro per quegli avvocati che fanno quasi esclusivamente civile e si trovano solo raramente alle prese con pratiche di diritto amministrativo, al fine di evitare loro di commettere errori che potrebbero costare salati.

Senza, dunque, parlare del PAT in generale, mi limito a segnalare alcune peculiarità «interessanti» e rilevanti da questo punto di vista.

La prima cosa da tenere bene in considerazione è che, anche per quanto riguarda la notifica, almeno secondo alcune sentenze, la firma non può avvenire in formato Cades, ma deve essere fatta in formato PADeS BES. Anche se alcune pronunce, come ad esempio questa (ma, in tal caso, c’era comunque stata la costituzione avversaria), sono possibiliste sulla validità, comunque, della firma in formato Cades, è preferibile firmare con il formato previsto, per evitare antipatiche eccezioni. Altre pronunce infatti sono più rigorose, come ad esempio questa.

Per firmare in formato PADeS BES si può usare Acrobat, Reader o DC, oppure anche il semplice Dike, selezionando la relativa opzione. La firma in formato Cades era quella che aggiungeva l’estensione .p7m alla fine del nome dei files, rendendoli più difficilmente leggibili, ma consentendo di capire a colpo d’occhio (guardando la cartella dei files) se un determinato file era già stato firmato o meno. Con il formato PADeS, invece, l’estensione del file rimane quella originaria, di solito PDF, e per vedere se un determinato file è stato firmato bisogna aprirlo o verificarlo, sempre con Acrobat o Dike o altri programmi simili. Qui in studio da me abbiamo adottato la prassi di mettere l’hashtag #pades nel nome di un file dopo averlo firmato appunto con il formato PADeS BES, anche se ovviamente prima di usare il file confidando sulla presenza della firma facciamo sempre un apposito controllo. L’hashtag nel nome serve per dirci che probabilmente il file è già firmato, ma meglio sempre controllare.

Una volta fatta la notifica del ricorso, via pec (come faccio ormai da anni, essendo stato un pioniere in questo senso sin dal 2012 con tante notifiche fatte e mai un’eccezione subita) o tramite posta cartacea, bisogna effettuarne il deposito. Questo vale sia per il Consiglio di Stato, di cui mi sono occupato stamattina, che per i TAR: nella giustizia amministrativa le cause si introducono sempre, che io sappia, con il sistema del ricorso, che poi richiede la fase successiva del deposito.

Per il deposito del ricorso amministrativo, non si può, come ormai avrete già capito, usare SLPct ma è stato predisposto un sistema completamente diverso, che si basa sulla compilazione di un modulo messo a disposizione sul sito di riferimento giustiziaamministrativa.it. Si tratta, ovviamente, di un modulo «dinamico», da compilare tramite il programma Acrobat opportunamente configurato e che, alla fine, consente anche di apporre la firma. Il file PDF così ottenuto, tramite compilazione del modulo e successiva firma, deve essere poi inviato tramite pec, ma questo avviene anche con il PCT cui siamo tutti abituati, dall’account pec del professionista, ovviamente l’indirizzo di destinazione dipende dal giudice competente, anche in questo caso l’elenco degli indirizzi va reperito sul sito della giustizia amministrativa.

Qui il lavoro da fare è sia configurare Acrobat per la apposizione della firma sia capire meglio come va compilato il modulo. A riguardo esistono, come cennato, alcune ottime guide tra cui scegliere.

Per la configurazione di Acrobat sul mac, sistema operativo che personalmente utilizzo con soddisfazione da anni, ho utilizzato questa guida. Per la compilazione del modulo di deposito, ho utilizzato invece le istruzioni messe a disposizione sul sito di riferimento, che al momento si trovano in questa sezione.

Una cosa molto importante da dire è che essendo il modulo di deposito un modulo dinamico lo devi scaricare ogni volta che fai un deposito, perché viene costantemente aggiornato e bisogna sempre usare l’ultima versione disponibile. Scordati, quindi, di scaricarne una copia e metterlo in mezzo ai tuoi soliti modelli: puoi conservare il link alla sezione da cui scaricarlo, poi dovrai farne il download volta per volta.

Buon divertimento con il PAT!