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«”Porgere l’altra guancia” del nostro Maestro buono significa esattamente questo: combattere sempre il male, senza però mai farsene contagiare, senza diventare parte di quel male.»
«Atto d’amore è accogliere in noi la nostra parte più ferita e fragile, accorgersi che dobbiamo amare l’ultimo degli uomini perché arriva terribile il momento in cui ci accorgiamo che l’ultimo degli uomini siamo noi.»
(Carl Gustav Jung)
consigli, ma solo di domande. É come se io mi limitassi a darti delle
scatole, che poi sei tu a riempire.
Uno dei temi fondamentali della vita di tutti noi, uno dei problemi
che mi vengono portati più spesso a studio, é quello di riuscire a
trovare il proprio «vero talento», quello per cui ognuno di noi é
stato in qualche modo chiamato.
Sette domande per trovare la tua chiamata più autentica.
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Il counseling si basa su due elementi:
– ascolto non giudicante;
– formulazione di domande che stimolano processi riflessivi.
Nel mio counseling, poi, c’è un terzo elemento, di carattere negativo: il divieto assoluto di dare consigli.
Nel counseling, infatti, è il «cliente» che trova, con la
fluidificazione del counselor, la sua soluzione; non è mai il counselor che eroga una consulenza e dice al «cliente» cosa deve fare.
La cura del counseling é un tocco molto più gentile di quello di chi pretenderebbe di avere soluzioni valide per tutte le persone e tutti i casi.
É come un amico che ti siede accanto, ti ascolta, senza giudicarti per i tuoi problemi e la tua incapacità di risolverli e ti propone degli angoli visuali nuovi su quegli stessi problemi, facendoti venire idee nuove riguardo possibili soluzioni degli stessi, che tu poi elaborerai in completa autonomia.
Per questo, un buon counselor mette da parte il suo ego e mantiene sempre un atteggiamento animico: non è importante che tu risolva i tuoi problemi grazie al mio metodo e ai miei consigli, é importante che tu li risolva, in qualunque modo ciò avvenga o, se non li risolvi, che almeno la tua sofferenza sia lenita.
Il counseling non è mai una teoria da dimostrare, quanto piuttosto una mano da tendere, una connessione da stabilire, perché non è la logica – questo è difficile da capire per l’uomo contemporaneo, che vive nella mente – che consente di affrontare i problemi, ma sono le connessioni.
Te lo ripeto.
Non ti serve mai un «piano». Ti serve molto di più uno che stia con te nella tua stessa situazione, nelle tue stesse emozioni.
Ti serve, insomma, più un “complice” che un piano…
Un piano, un consiglio, una «logica» non fanno altro che farti sentire giudicato, inadeguato, impreparato, a rischio di fallire di nuovo…
Una connessione ti fa sentire compreso e che non sei solo ad affrontare i tuoi problemi e le tue paure.
Essa mette in moto e sprigiona tutta l’energia e la capacità di risolvere i problemi che si trovano dentro di te, le tue capacità di autoguarigione, che sono essenziali in ogni situazione.
Non sono mai i ragionamenti che ci muovono, non sono i progetti, non gli obiettivi, ma i sogni.
Non abbiamo bisogno di consigli, ma di ascolto, presenza, vicinanza, connessione, un modo di relazionarsi delicato e davvero rispettoso sia dei nostri problemi che, soprattutto, dei nostri blocchi, perché in quei blocchi ci sono le nostre ferite e, in ultima analisi, ci siamo noi.
Lo scopo principale del mio lavoro come counselor, ma anche come avvocato, e del mio essere padre, amico, fratello, figlio di Dio é quello di aiutare gli altri e, in particolare, di fare in modo che non abbiano paura, o ne abbiano il meno possibile.
Che abbiano il coraggio, la prontezza, la determinazione e,
soprattutto, il gusto di vivere la vita in tutte le sue sfumature tra il dolce e l’amaro.
Oggi, che la vigliaccheria é diventata per molti una vera e propria virtù civile, tanto che ognuno di noi viene esortato letteralmente ad avere paura, perché questo servirebbe, in teoria, a proteggere i più deboli, fare questo lavoro è diventato più difficile.
Quando dico alcune fondamentali verità, tra cui il fatto che non esiste nessuna pandemia, non manca mai qualcuno che mi contesta – é incredibile – la mia libertà, il mio coraggio e la mia voglia di darne agli altri.
Queste persone, schiave per vocazione, si sono bevute completamente la narrativa del mainstream e sono sinceramente convinte che se non avremo tutti paura, se non correremo tutti a nasconderci sotto al letto, se – alla fine – non smetteremo di vivere, rinunciandoci una volta per sempre, si produrranno le più gravi sventure.
Provo una profonda compassione per la pochezza di queste persone che, al di là della inverosimiglianza, ormai conclamata, della narrativa mainstream, non riescono a capire che morire non è una tragedia, ma l’esito finale e naturale cui sono dirette tutte le nostre vite, mentre la vera tragedia è non vivere.
Il sanitariamente corretto funziona esattamente come il politicamente corretto, di cui rappresenta la versione 2.0, quella migliorata e più potente.
Praticamente loro non ti tolgono, formalmente, né la libertà né la vita, ma fanno in modo che, se le eserciti, se provi ad essere libero, a vivere, nelle cose più semplici, come andare a prenderti un caffè con un amico, o – non sia mai – a farti una scopata con una che sta in un comune limitrofo o – orrore – dopo le 22, tutti ti biasimano perché sei considerato uno che attenta alla salute pubblica.
Fai attenzione, non sono dieci coglioni che siedono a Roma, non eletti da nessuno, a sostenere questo regime.
Questo regime fasciosanitario si regge, come tutti i regimi
dittatoriali, sui delatori.
Questi sono persone che vedono un gruppo di ragazzi che giocano a calcio in un parco e chiamano i carabinieri perché sono intimamente convinti che se non lo facessero l’intera popolazione morirebbe e si sentono anche persone eticamente migliori per questo, persone che fanno il loro dovere, che fanno rispettare le leggi…
«Chiuditi nel cesso» degli 883 dovrebbe essere l’inno nazionale di questo regime fasciosanitario che vuole tutti chiusi in casa, terrorizzati, impauriti, senza un lavoro vero, tanto c’è la carità di Stato (il merdosissimo, ignobile e devastante reddito di
cittadinanza), pronti a denunciare il loro vicino perché per farsi una scopata si attarda dopo le dieci di sera o i bambini che scendono in cortile a giocare a pallone perché è un assembramento…
La libertà e il coraggio sono fuori moda, sono oggi oggetto di biasimo, ma proprio per questo c’è ancora più bisogno che in passato di parlarne.
Nella costituzione, e nelle Scritture, ci sono parole bellissime sulla dignità dell’uomo, sulla sua evoluzione personale e sociale, sul coraggio e sull’appartenenza: é da quelle parole che possiamo ripartire, per ambire, ad esempio, ad un lavoro, che ti dà dignità, e non a un reddito di cittadinanza, che te la toglie.
Il lavoro è difficile e verrà sempre aggravato dalla massa di inconsapevoli che remerà sempre contro ogni evoluzione, anche la propria, rendendo tutto sempre più difficile, ma questa è la storia dell’umanità, dove ogni progresso vero é sempre stato raggiunto dai «piccoli eserciti» e non dalle masse.
Ma ce la faremo perché la vita vince sempre, la luce trionfa sempre sulle tenebre.
Non avere mai paura.
«Non te l’ho io comandato? Sii forte e coraggioso; non ti spaventare e non ti sgomentare, perché il Signore, il tuo Dio, sarà con te dovunque andrai». (Giosuè 1:9)
[? kondeeveedee se non hai paura ?!]
«Mentre giudichi gli altri, condanni te stesso»
(Romani 2,1)
«Qui fodit foveam incidet in eam»
(Ecclesiaste, 10-8)
Sei preparato nelle «qualità dell’essere»? Tutto quello che hai studiato o ti hanno fatto studiare a confronto non vale nulla…