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Fallimento risultante dopo recesso da amministratore: che fare?

Ho un problema con la banca che non mi vuole aprire più un conto corrente perché mi risulta un fallimento un una azienda in cui io non ero unico amministratore e in cui avevo il 25% delle quote, la società è stata messa in liquidazione perché è stato fatto un decreto ingiuntivo d parte di un fornitore che vantava un credito, premesso che io non ero più amministratore da diversi anni e che mi ero dimesso mandando come previsto dallo statuto una comunicazione (raccomanda) alla sede legale alla camera di commercio allo studio che gestiva la contabilità e alla sede operativa. Questa non è stata presa in carico per alcuni motivi, poi la stessa cosa è stata fatta in un secondo momento presso un’altra camera di commercio dove l’amministratore in carica e di fatto aveva spostato la sede legale, fatto sta che io risulto ancora in carica e mi risulta un fallimento con un procedimento in corso con problemi sulla mia attività imprenditoriale. Come posso fare? mi può essere di aiuto?

Ci possiamo sicuramente guardare, approfondendo la situazione in diritto e soprattutto in fatto, ovviamente senza alcuna garanzia, purtroppo, di riuscire ad ottenere un risultato perché dipende proprio da quello che troveremo mentre ricostruiamo quello che è successo.

Tu dici che la prima raccomandata di dimissioni o recesso non è stata presa in carico per «alcuni motivi», senza però dire di quali motivi si tratterebbe, quando invece è proprio questo l’aspetto che si dovrebbe iniziare ad approfondire.

Può darsi che tu risulti ancora in carica per motivi corretti, oppure che questa risultanza sia un errore dovuto alla mancata annotazione del tuo recesso esercitato correttamente.

Per cui la prima cosa da fare è esaminare la documentazione del caso, in modo completo, e vedere che cosa se ne può inferire.

Se credi, valuta l’acquisto di una consulenza per fare questo lavoro, da noi o da un altro avvocato di tua fiducia.

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Mutuo casa e mantenimento figlia: si possono compensare?

ho avuto una causa di separazione giudiziale , dove a mie precise richieste , rata mutuo casa familiare al 50% non pagate , per due anni , utenze non pagate per 2 anni uso del cellulare da parte della controparte non saldate , tasse sulla casa non pagate , per un controvalore di euro 16500 euro . la conclusione del tribunale che i miei crediti pareggiano i 2 anni che non ho versato l’assegno di mantenimento per mia figlia . premetto che mia figlia viveva con me per 15 gg al mese e mi sembrava corretto che l’importo lo decidesse un giudice e non la controparte . inoltre si e’ portato il suo ” fidanzato ” in casa che e’ ancora mia al 50% .mi chiedo ma e’ possibile che debba rimetterci i miei soldi e lei faccia la bella vita .purtroppo per pagare quello che lei non ha mai pagato sono stato costretto a chiedere dei finanziamenti e ad oggi non riesco piu’ a pagare niente , possibile che la legge sia vessatoria nei confronti dei padri separati?

Non ha ovviamente nessun senso parlare di un provvedimento senza poterlo leggere.

Si può dunque solo tentare di fare qualche osservazione generale.

Mi sembra molto strano che il tribunale abbia potuto compensare voci di credito come quelle da te indicate, cioè il mutuo, le utenze, il cellulare e così via, che sono obbligazioni di natura patrimoniale, con quella relativa al mantenimento di tua figlia, che è invece un obbligo di famiglia, che si esprime in valuta corrente ma non ha natura patrimoniale, bensì personale.

Temo che il tribunale abbia potuto fare al massimo un accenno al tema, che tu hai interpretato in modo sbagliato.

Questo perché innanzitutto tra crediti di specie diversa come questa non opera mai la compensazione. Inoltre il giudizio di separazione giudiziale ha necessariamente un oggetto circoscritto agli aspetti relativi alla dissoluzione della famiglia, mentre quelli patrimoniali e dominicali come il mutuo, le utenze e così via non possono nemmeno esserne resi oggetto, dovendo semmai essere valutati in cause a parte.

Sarebbe bene che tu facessi leggere il provvedimento ad un avvocato e te lo facessi illustrare compiutamente. Se vorrai, poi, potrai valutare, con estrema prudenza, eventuali possibilità di impugnazione.

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Come non pagare una sentenza: tutte le istruzioni.

sono socio amministratore pro tempore di una piccola societa’ coperativa di trasporti abbiamo perso una causa di lavoro con un nostro dipendente lavoratore aspettiamo da un momento all’altro pignoramento dalla controparte. Come fare per non essere pignorati veicoli intestati alla societa’ coperativa tenendo presente che per fare tutti i passaggi di propieta’ dei mezzi in possesso andremmo a spendere all’incirca la stessa somma che siamo stati condannati in sentenza.

Un avvocato non può assolutamente, né in privato né tantomeno in pubblico, fornire consigli diretti a consentire ad un debitore, quale siete voi -ufficialmente, a prescindere dalle vostre ragioni di merito – di sfuggire alle legittime pretese, accertate con un titolo giudiziale, del suo creditore.

Può benissimo darsi che la sentenza sia ingiusta, non sarebbe né la prima né l’ultima, ma la regola è che comunque le sentenze, fino a che non sono eventualmente riformate da giudici di sede diversa, purtroppo si devono rispettare, salva sempre la sospensione o inibitoria da parte del giudice competente a prevederla, di solito per gravi motivi.

Quello che potreste chiedere ad un avvocato dunque sarebbe di lavorare su di un appello, sempre che ce ne possano essere i presupposti e, una volta fatto l’appello, di vedere se possibile ottenere la sospensione della sentenza impugnata.

Se, invece, i presupposti per l’appello mancassero, l’unica cosa possibile per evitare il pignoramento ed eventualmente risparmiare qualcosa sul debito che avete nei confronti del vostro ex dipendente è quello di far fare ad un legale competente, preparato e con buone attitudini negoziali, una trattativa per il raggiungimento di un accordo che preveda, in sostanza, uno sconto a fronte del pagamento immediato e magari alla rinuncia all’appello.