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Richiesta di consenso al pm per il patteggiamento: un modello

Il modello.

Devo ancora riprendermi dallo shock di una lettera, compilata da un avvocato regolarmente iscritto all’albo, in cui viene contestato ad un mio assistito di aver commesso un «reato penale».

Schermata 2021 06 10 alle 17 00 15Nonostante ciò, siccome conosco (anche se, come dico sempre, non condivido) la tua passione per i modelli, oggi voglio metterti a disposizione uno dei modelli che uso più frequentemente e cioè quello per richiedere al pubblico ministero il consenso per il patteggiamento, rito alternativo che evita di andare al dibattimento e consente di definire il processo penale in tempi molto più brevi, con una pena minore – quasi sempre condizionalmente sospesa – e di conseguenza anche con un notevole risparmio di spese.

Per maggiori dettagli, puoi leggere la mia scheda di approfondimento che trovi qui.

richiesta consenso al pm per patteggiamento.docx

Conclusioni.

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Patteggiare è spesso la scelta migliore

Nei giorni scorsi, la Gazzetta di Modena e il Resto del Carlino hanno ripreso un procedimento penale che ho seguito e che si è concluso con un patteggiamento.

articolo Gazzetta di Modena

Per gli amici amanti degli animali (tra cui annovero certamente anche me stesso, visto che ho un cane) voglio dire subito che i cani stanno benissimo. 

Molto prima della definizione del processo penale, la cosa è stata interamente gestita con il comune interessato – il compito di tutela degli animali spetta all’ente territoriale comunale, in via principale – ed è stata trovata una destinazione per tutti i cani: alcuni sono stati dati in adozione, a persone individuate dagli ordinari proprietari, ed altri sono stati restituiti ai proprietari stessi, co alcune prescrizioni.

Purtroppo, era rimasto il procedimento penale, che è stato possibile definire tramite il rito alternativo del patteggiamento.

Si tratta di una soluzione utile in molti casi in cui si vuole definire un procedimento senza affrontare un dibattimento, a volte non solo certo per colpevolezza, ma semplicemente per comodità, per uscire da un procedimento penale che, come tale, è lungo e costoso.

Tramite patteggiamento, il procedimento in questione si è potuto concludere nel migliore dei modi: la pena pecuniaria è stata condizionalmente sospesa, questo significa che i «condannati» non dovranno pagare nulla; inoltre è stato previsto il beneficio della non menzione.

Per maggiori dettagli sul patteggiamento, rimando alla mia scheda pratica.

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Animali malnutriti, coppia condannata

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Lap dance e denuncia per molestie: che fare?

mi sono lasciato convincere da una ragazza rumena che prima mi confessa di aver subito sequestro amministrativo vettura, ad appartarmi,per 20 minuti previo pagamento di 100 euro in nero,nella zona prive di un locale lap dance che frequento nel weekend(abitudine che sto tentando di perdere) dove di solito mi limito a bere una Bibita. Nel privé ci siamo scambiati dei baci sulla bocca in modo consenziente ma non oltre, nonostante lei volesse spogliarsi. Prima di congedarci ci scambiamo il numero (sono single) Lasciato il locale, la ballerina mi manda un messaggio WhatsApp nel quale mi ringrazia e mi augura buona domenica. Ricambio.
Durante la settimana successiva,non avendo più sue notizie cancello il suo numero e i suoi messaggi . Il weekend dopo, torno al locale e la ragazza torna alla carica invitandomi a bere. Di fronte al mio rifiuto mi risponde che me l’avrebbe fatta pagare. Ora io temo di essere querelato per molestie: le mie paure sono fondate?

Se anche le troie, in questo paese, smettono di comportarsi seriamente, mi domando dove andremo a finire.

A parte questo, va innanzitutto considerato che una querela può essere sempre presentata, a prescindere dal suo fondamento nel merito, che è una cosa che si può accertare, appunto, solo in seguito.

Quindi è inutile interrogarsi sul fondamento o meno di una ipotesi di reato in relazione ad una querela che, come tale, può essere presentata da chiunque anche quando non c’è nessun reato, tant’è vero che spesso le querele finiscono archiviate o con provvedimenti di assoluzione.

Tutto ciò significa anche che una persona può, con una querela, darti fastidio e danno anche se non c’è nessuno reato, questo è uno degli effetti collaterali di un sistema giudiziario, purtroppo ineliminabile. È pur vero che chi denuncia una persona, sapendola innocente, può essere a sua volta denunciato per un reato piuttosto grave, che è la calunnia, procedibile anzi d’ufficio perché reato contro l’amministrazione della giustizia, ma molte persone, e specialmente gli stranieri, tendono a non considerare tale eventualità.

Su queste premesse, a mio modo di vedere, nei fatti che hai raccontato tu non c’è nessun reato, tantomeno di molestie, che è comunque un reato minore.

Se proprio vuoi lavorare sulla situazione si potrebbe pensare ad una diffida, che sarebbe utile sia per scoraggiare eventuali iniziative sia come principio di prova scritta nel caso in cui poi queste iniziative dovessero malauguratamente essere portate avanti.

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Vittime e persone offese da reati: più tutele col D. Lgs. 212/2015.

Maggiori tutele per le persone offese o vittime di reato.

Con il D.Lgs. 15 dicembre 2015 n. 212 – pubblicato sulla G.U. n. 3 del 5 gennaio 2016 – l’Italia risponde alle sollecitazioni europee dando attuazione alla direttiva 2012/29/UE, recante norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato.

L’entrata in vigore del suddetto provvedimento può, certamente, considerarsi un progresso nel sistema di tutele assicurato dall’ordinamento nazionale alla persona offesa dal reato, in quanto introduce a favore della stessa maggiori garanzie in relazione alle dinamiche processuali.

La definizione di «vittima».

Al fine di comprendere esattamente a chi si rivolge la riforma, appare doveroso delineare il significato europeo della parola “vittima”, recepito nell’ordinamento interno.

Il termine citato si riferisce alla persona che abbia direttamente subito un danno (sia esso fisico, mentale, emotivo o economico) dal compimento di un reato, ovvero – nel caso questa sia deceduta a causa dell’illecito – i suoi familiari. Si considera familiare il coniuge, la persona che convive con la vittima in una relazione intima, nello stesso nucleo familiare e in modo stabile e continuo; i parenti in linea retta, i fratelli e le sorelle; le persone a carico della vittima comprese le persone con essa conviventi in situazioni affettive stabili e continue.

La vittima può essere maggiorenne o minorenne. Di particolare interesse appare, sin d’ora, la disposizione che consente al giudice, nell’ipotesi in cui sorga dubbio sull’età della persona offesa, di disporre l’apposito accertamento, anche d’ufficio. Laddove il dubbio persista – ai fini dell’applicazione delle disposizioni processuali – si presume la minore età.

Le garanzie e le definizioni sopra menzionate hanno determinato la conseguente modifica, nello stesso senso, delle disposizioni del codice di rito.

Il D.Lgs. 15 dicembre 2015 n. 212, di attuazione della normativa europea, predispone specifiche garanzie a tutela della persona offesa cui è riconosciuto un particolare stato di vulnerabilità. Tale vittima, infatti, necessita di una maggiore protezione relativamente alle interferenze esterne ed ai contatti con l’autore del reato.

A salvaguardia della persona offesa particolarmente vulnerabile vengono, dunque, apportate modifiche alle modalità di documentazione, alla disciplina della prova testimoniale, all’assunzione di sommarie informazioni da parte della polizia giudiziaria, all’assunzione di informazioni da parte del pubblico ministero, all’incidente probatorio e all’esame.

Il legislatore ha elaborato determinati indici-criteri da cui potere desumere la condizione di particolare vulnerabilità. Quest’ultima si ricava, ai sensi dell’art. 90-quater c.p.p., dall’età della persona offesa, dallo stato di infermità o di deficienza psichica, dal tipo di reato, dalle modalità e dalle circostanze del fatto per cui si procede. In relazione alla condotta criminosa perpetrata, si tiene conto, altresì, dell’uso della violenza alla persona, del movente dell’odio razziale, della riconducibilità del fatto ad ambiti di criminalità organizzata o di terrorismo o di tratta degli esseri umani, della finalità discriminatoria, della dipendenza della persona offesa (sia essa affettiva, psicologica o economica) dall’autore del reato.

L’accertamento dello status di vittima particolarmente vulnerabile verte, pertanto, sull’analisi delle caratteristiche della persona e del caso concreto, assicurando un adeguato standard di tutela strettamente correlato alle peculiari esigenze di protezione.

Le specifiche misure di tutela.

In ordine all’informazione e alla partecipazione della vittima al processo, il decreto attuativo 15 dicembre 2015 n. 212, interviene direttamente su istituti già esistenti, ampliandone l’operatività.

In primo luogo viene sancito l’obbligo di fornire alla persona offesa –  sin dal primo contatto con l’autorità procedente ed in una lingua a lei comprensibile – una serie di informazioni inerenti ai servizi assistenziali offerti, alle facoltà e ai diritti di cui può avvalersi, al decorso del procedimento (compresa la possibilità che quest’ultimo sia definito con remissione di querela o attraverso la mediazione, ove possibile).

In secondo luogo, nei processi relativi a delitti perpetrati con violenza alla persona, la vittima può richiedere la comunicazione dei provvedimenti di scarcerazione e di cessazione della misura di sicurezza detentiva, e viene resa edotta dell’evasione dell’imputato in stato di custodia cautelare o del condannato, nonché della volontaria sottrazione dell’internato all’esecuzione della misura di sicurezza detentiva. Eccezionalmente le comunicazioni anzidette potranno essere omesse nel caso in cui sussista il pericolo concreto di un danno per l’autore del reato.

Infine, il provvedimento inserisce nel codice di rito disposizioni relative all’assistenza linguistica, in base alle quali alla persona offesa devono essere garantiti servizi gratuiti di interpretariato e di traduzione degli atti essenziali all’esercizio delle proprie facoltà. L’assistenza dell’interprete può avvenire anche mediante l’utilizzo delle tecnologie di comunicazione a distanza, ma soltanto nell’ipotesi in cui ciò non comprometta il corretto esercizio dei diritti della vittima.

La persona offesa potrà, pertanto, giovarsi delle molteplici nuove tutele apprestate dal legislatore.