Oggi ti parlo di come firmare un deposito telematico con firma digitale remota Namirial e slpct.
Questa modalità è molto comoda quando si è ad esempio fuori da studio e si deve effettuare un deposito telematico. Inoltre funziona come backup in caso di malfunzionamento della chiavetta, per problemi hardware o software o perché magari i certificati sono scaduti e non ci se ne era accorti.
Questo breve tutorial si concentra sulla procedura di firma e, pertanto, presuppone che si conosca già un minimo il funzionamento di slpct e si abbia confidenza con il programma. Se per te non è ancora così, prima di leggere questo tutorial vai a leggere gli altri post che ho pubblicato su slpct e prova a prendere confidenza con il programma prima di tornare qui.
La procedura di firma parte dal bottone «firma e crea busta» che appare una volta impostato l’atto principale del deposito e gli eventuali allegati.
Cliccando questo bottone, si apre il pannello per la firma.
Prima di cliccare «firma tutto» a sinistra, devi selezionare a destra con l’apposita tendina la modalità di firma.
Di default, è impostata la firma in locale con la chiavetta.
Questa collocazione a destra, dopo il bottone «firma tutto», è un po’ controintuitiva, ma pazienza.
Seleziona dunque dapprima «firma remota» e poi clicca su «firma tutto»
Dopo aver cliccato su «firma tutto», se avrai correttamente selezionato firma remota, si aprirà il pannello relativo all’inserimento delle credenziali per la firma remota:
Nel campo «dispositivo assegnato» occorre inserire appunto il numero di dispositivo assegnato da Namirial al momento della sottoscrizione del servizio. Suggerisco di cliccare su «salva dispositivo» per evitare di doverlo inserire di nuovo in futuro.
Nel campo del PIN si inserisce invece il proprio PIN, il codice identificativo che funge da conferma della propria identità, proprio come avviene con le chiavette hardware, con la sola differenza che, in questo caso, il PIN non è la conferma finale dell’identità, ma bisognerà anche inserire un codice OTP.
Naturalmente, tutte queste informazioni, tutte queste credenziali, le devi tenere in un gestore di credenziali, come ti spiego meglio in questo precedente post, che ti invito a leggere con attenzione.
Dopo aver inserito i dati e dato la conferma appare il seguente ulteriore pannello per specificare il dispositivo OTP da utilizzare, quello da cui viene generato il codice OTP che conferma ancora la propria identità.
Devi cliccare sulla tendina e selezionare il dispositivo che avevi precedentemente generale nel pannello del sito web di Namirial. Nel mio caso, ho scelto di utilizzare l’app per cellulari di Namirial, Namirial OTP, che genera un nuovo codice OPT ogni 30 secondi.
Dopo aver selezionato il dispositivo con la tendina, appare questo ulteriore pannello dove devi inserire il codice OTP a conferma della tua identità per concludere la firma.
Personalemnte, appunto, ho attivato l’app di Namirial sul cellulare, per cui non devo far altro che aprire l’app e inserire uno dei codici che vengono continuamente prodotti, curando che non stia scadendo temporalmente, perché in quel caso potrei non fare in tempo ad inserirlo.
Una volta inserito il codice OTP e cliccato su conferma, vedrai apparire nell’elenco dei file di slpct le versioni firmate e si alzerà la finestra di dialogo di conferma (nel mio caso è stato necessario fare clic sull’elenco dei file per visualizzarla).
In basso c’è un pulsante con cui si possono visualizzare i files firmati.
Se vuoi puoi selezionare il singolo file che ti interessa e vedere come compare dopo l’apposizione della firma.
A questo punto, si può procedere come al solito con la creazione della busta e l’invio all’organo giudiziario.
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Un breve tutorial su come fare correttamente l’istanza di visibilità temporanea del fascicolo con slpct, con anche un modello relativo.
Presuppone che slpct sia già stato installato e che ci sia già una conoscenza o almeno una confidenza minima con il programma.
Come tipo di atto, selezionare «atto generico / Istanza generica».
Il nome della busta deve, come sempre, essere compilato automaticamente. Noi a studio, a riguardo, seguiamo questa convenzione: mettiamo i nomi delle parti e, di seguito, separato da un doppio trattino, l’oggetto della busta.
Ad esempio
Pinco – Pallino — istanza di visibilità
A volte può capitare di effettuare uno stesso deposito più volte per fallimento di quello precedente, in questo caso aggiungiamo un numero alla fine
Pinco – Pallino — istanza di visibilità 2
In modo da non confonderci tra le varie buste che rimangono memorizzate in split
Come atto principale, devi mettere la tua istanza di visibilità ovviamente.
Ti metto di seguito un modello in formato word, naturalmente poi una volta compilato devi convertirlo in PDF «leggibile», cioè direttamente dal computer (non stampando e scandendo, insomma).
Una volta impostato l’atto principale, deve essere allegata la procura.
L’allegato deve essere marcato appunto come «procura alle liti» utilizzando l’apposita tendina; non va fatta alcuna dichiarazione di conformità anche perché la procura diventerà subito dopo un originale con l’apposizione della firma digitale. Naturalmente, la procura deve essere firmata sia dal cliente che dall’avvocato; da quest’ultimo viene firmata sia sull’originale cartaceo che, digitalmente, nell’esemplare informatico.
Una volta inseriti i due documenti – istanza di visibilità (atto principale) e procura alle liti – si può procedere alla firma e alla creazione della busta, facendo clic sull’apposito bottone.
Prima di cliccare questo bottone, se hai, come me, la versione di slpct che consente la firma remota, devi selezionare la modalità di firma che intendi utilizzare: se quella locale, con chiavetta, o quella remota con Namirial. Guarda l’immagine qua sotto, prima di cliccare «firma tutto» a sinistra devi selezionare a destra con l’apposita tendina la modalità di firma. Di default, è impostata la firma in locale con la chiavetta. Questa collocazione a destra, dopo il bottone «firma tutto», è un po’ controintuitiva, ma pazienza.
Clic su «firma tutto», seleziona «solo in necessario» (è indifferente, slpct firmerà comunque entrambi i files, ovviamente), quindi si aprirà la finestra di dialogo obbligatoria per la visualizzazione del confronto
Basta fare clic su «visualizza confronto», si aprirà la nostra istanza. A quel punto si deve chiuderla e fare clic su «chiudi», dopo aver messo il segno di spunta a sinistra di «conformità verificata e dati strutturati». È solo una formalità, insomma.
A questo punto si può procedere con la firma. Non mi dilungo sulla procedura di firma, anche perché esula dallo scopo di questo breve tutorial, ti anticipo solo che a breve pubblicherò un altro post con le procedure specifiche di firma remota, una opportunità interessante fornita da slpct, che può servire sia per comodità che come backup in caso di malfunzionamento di una singola chiavetta.
Una volta firmato, si deve procedere alla creazione e all’invio della busta, cliccando sull’apposito pulsante in basso a destra:
Apparirà una finestra di dialogo di conferma dell’avvenuta creazione corretta della busta. A questo punto, si deve fare clic sul pulsante in basso a destra «invia deposito»
Fai attenzione a questo punto a selezionare come account mittente della mail con cui invii il deposito quello di posta certificata – un errore comune è quello di inviare i depositi da un account diverso, cosa che genera inevitabilmente un errore.
Spero che il post ti sia utile.
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Come probabilmente sai, per il processo civile telematico utilizzo da anni ormai slpct, un software gratuito che funziona su piattaforma Java che offre alcuni vantaggi per effettuare i depositi telematici rispetto alle piattaforme online, tra cui ad esempio:
la possibilità di caricare più documenti contemporaneamente;
la possibilità di condividere la cartella dei depositi con altri collaboratori dello studio e tramite dropbox (cosa utile anche per scopi di backup).
Con questo post, voglio darti alcune istruzioni circa l’installazione e il funzionamento sull’ultima versione di macOS, Big Sur, anche perché potresti incontrare un problema a causa di alcune istruzioni diffuse in rete che portano ad installare una versione di java in realtà incompatibile con slpct.
Slpct, infatti, gira su piattaforma java. Java non è più incluso da diversi anni su macOS, per cui bisogna installarlo a parte.
Cercando con google, uno dei primi risultati di ricerca per installare java su Big Sur è questo: questa pagina sembra ben compilata e azzeccata, purtroppo se si seguono queste indicazioni poi slpct non funziona.
Il link corretto da cui installare Java è invece questo.
Tramite il programma scaricabile da quest’ultimo link si possono rimuovere anche versioni precedenti di java installate sul Mac, cosa che ritengo consigliabile e pratico regolarmente.
Dopo l’installazione, si può verificare la riuscita dell’operazione aprendo una finestra di terminale e digitando al prompt
java -version
Si dovrebbe ottenere un risultato come quello nell’immagine che segue.
A questo punto si può procedere all’installazione di slpct, scaricando l’ultima versione direttamente dal sito.
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Oggi sul blog propongo un modello, a beneficio dei colleghi avvocati, per la pratica giudiziaria.
Personalmente, non ho mai capito fino in fondo la mania di molti colleghi di cercare, a tutti i costi, un modello per quello che c’è volta in volta da fare, anche per le cose più semplici.
Probabilmente è dovuta ad una certa insicurezza di base e comunque allo stress di cui soffre la pressoché totalità degli operatori del diritto, che hanno a che fare con un sistema burocratico, da una parte, e con assistiti, dall’altra, con cui è sempre più difficile comunicare.
Fatto sta che i post più cliccati sul blog da parte degli avvocati sono quelli, come ad esempio questo, in cui propongo dei modelli, per cui naturalmente quando posso cerco di condividere tutto quello che metto a punto per la mia stessa pratica.
Il modello di oggi riguarda le note per la trattazione scritta delle udienze, di cui ho parlato anche in questo precedente post e consente appunto, adeguatamente compilato, di formulare note per questo particolare tipo di «udienze», che poi udienze non sono, note che vanno poi naturalmente trasformate in PDF e depositate telematicamente.
Puoi scaricare il modello, in formato Word – successivamente zippato, cliccando qui. Per decomprimerlo, dovrebbe essere sufficiente cliccarlo, una o due volte, da un computer da scrivania, probabilmente funziona anche da cellulare, ma con minor facilità.
Deposito.
Per il deposito, come noto personalmente utilizzo slpct. Di solito, marco le note di trattazione scritta come istanza generica.
Conclusioni
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Chi si trova coinvolto in una causa civile di solito si trova a dover aver a che fare con questi termini e le relative memorie.
Spess(issim)o mi tocca spiegare di che cosa si tratta, così ho pensato di fare il solito post contenente l’illustrazione dei principali aspetti della cosa, da mandare tramite link a tutti i miei assistiti. Post che, come spesso accade, può essere utile anche ad altri, così lo pubblico anche qui sul blog.
Una «memoria» nel gergo tecnico giudiziario non è altro che un documento scritto, in cui un avvocato sostiene delle richieste e/o porta delle prove a favore. Sì, è un documento come quelli che compone qualunque persona comune con Word, o Google Documenti, ed in effetti anche noi avvocati usiamo spesso quei wordprocessor per scrivere le nostre «memorie», quando non – in casi più avanzati – il markdown.
Processo orale?
Il processo civile, secondo il codice, dovrebbe essere orale.
Un po’ come a forum… Le parti arrivano, con i loro avvocati, si parla a turno, poi il giudice decide.
Nella realtà, nonostante il codice lo preveda espressamente, non funziona affatto così.
Funziona all’esatto contrario.
Il processo civile italiano, salvo rare e circoscritte eccezioni, è per lo più scritto. Anche in Cassazione il rito di default ormai è quello della camera di consiglio, dove le parti non vanno più ma si limitano, anche qui, a depositare delle memorie, come spiego in quest’altro post.
Non ti so dire se questo sia un bene o sia un male, probabilmente, essendo un aspetto di metodo o «supporto», ci sono casi in cui è un bene e casi in cui è un male, a seconda della situazione.
Certamente, quando la lunghezza media di una causa è di sei, sette, otto anni, per il solo primo grado, ognuno capisce che la trattazione non può certo essere orale. Chi si ricorda dopo qualche mese cosa era stato detto dalle parti di una causa? Non se lo ricorderebbero le parti stesse, figuriamoci il giudice che ha centinaia di cause da decidere. Dopo otto anni è evidente che senza documenti da leggere per un giudice sarebbe impossibile ricordarsi alcunché.
Dunque, di fatto il processo civile è scritto.
Per questo, come dico da decenni, nel processo civile sono fondamentali i documenti e cioè le prove scritte.
Per vincere una causa, sono essenziali le prove scritte.
Da ciò consegue che la prima abilità di un avvocato deve essere la gestione documentale. E che il cliente farà bene a prestare la massima collaborazione su questo aspetto, come ho spiegato meglio in questo mio precedente post sugli «obblighi» del cliente di un avvocato.
Cosa sono i termini e le memorie ex art. 183?
Fatta questa doverosa premessa, vediamo cosa sono questi benedetti termini ex art. 183.
Ma, prima ancora, che cos’è l’articolo 183.
Questa disposizione è quella che, nel codice di procedura civile, disciplina la prima udienza del processo e, coerentemente, si intitola «Prima comparizione delle parti e trattazione della causa».
Leggiamone un estratto velocemente insieme, nel testo attuale:
«Se richiesto, il giudice concede alle parti i seguenti termini perentori:1) un termine di ulteriori trenta giorni per il deposito di memorie limitate alle sole precisazioni o modificazioni delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già proposte;2) un termine di ulteriori trenta giorni per replicare alle domande ed eccezioni nuove, o modificate dall’altra parte, per proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime e per l’indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali;3) un termine di ulteriori venti giorni per le sole indicazioni di prova contraria.»
Non è subito chiaro per chi non ha studiato diritto, quello che devi sapere è che, nel 95% dei casi, la prima udienza del processo civile, di ogni processo civile, si svolge con la richiesta da parte degli avvocati di questi tre celebri termini e la loro concessione da parte del giudice.
Poi l’udienza viene chiusa e ognuno va via.
L’articolo che stiamo esaminando si chiama «comparizione delle parti», ma quando il codice parla di «parti» qui intende gli avvocati, non le parti vere e proprie del processo, destinatarie degli effetti della sentenza. Quando il codice, o un giudice, vuole che le parti effettive, i clienti, compaiano in udienza, parla di «comparizione delle parti personalmente».
Insomma, la prima udienza del 183 è un momento meramente burocratico in cui di solito non si discute quasi di nulla, ma ci si limita a prevedere questi tre famosi termini per lo svolgimento delle successive difese nel processo.
Ovviamente, il cliente può partecipare all’udienza ex art. 183, dal momento che si tratta della sua causa e lui può assistervi, ma quando lo fa rimane regolarmente deluso perché, salvo eccezioni, non vede succedere assolutamente niente.
Viene compilato un verbale con questa richiesta di termini e la loro concessione, poi tutti vanno a casa.
Perché fare un’udienza del genere, che è abbastanza inutile dal momento che una cosa così potrebbe ad esempio essere decisa via posta elettronica, senza bisogno di far girare sia gli avvocati che il giudice?
In realtà, potrebbero esserci altre cose da vedere preliminarmente. Ma a parte questi limitati casi, la realtà è che il processo civile italiano non è affatto organizzato razionalmente. Ci sono mille considerazioni che si potrebbero fare al riguardo, ma al momento comunque la situazione deve essere presa per quella che è, anche perché non ci sono alternative, così come per qualsiasi altra legge dello Stato.
Come vengono concessi i termini.
Vediamo adesso cosa comportano più in particolare questi tre termini.
Innanzitutto, i termini possono essere concessi nella misura prevista dal codice di procedura civile a partire dal giorno dell’udienza stessa, come prevederebbe il codice stesso, oppure anche a partire da un giorno successivo.
Questa seconda ipotesi è quella in cui gli avvocati o, molto più spesso, il giudice vogliono modulare il loro carico di lavoro spostando in avanti gli incombenti di cui ai termini. In tale caso, si prevede che i 30+30+20 giorni previsti da questo terzetto di termini inizino a decorrere da un giorno successivo, individuato nello stesso provvedimento, e dal quale dovranno poi essere calcolati.
Ovviamente il giudice potrà concedere i termini direttamente in udienza oppure potrebbe anche, nel caso vi fosse magari qualche altra questione preliminare, riservarsi la decisione, come ho spiegato in questo altro post di ormai dieci anni ma, ma ancora valido. Nel caso in cui si riservi, la concessione dei termini eventualmente avverrà con un provvedimento che verrà comunicato in seguito.
La trattazione del processo dopo i termini.
Una volta concessi i termini, dunque, che cosa succede?
Succede che gli avvocati delle parti dovranno depositare, oggigiorno telematicamente, tramite il PCT, entro il termine previsto le «memorie» relative.
A) La prima memoria del 183 è sostanzialmente un documento in cui si continua il discorso già iniziato negli atti introduttivi, cioè si svolgono considerazioni «di merito» sulle proprie ragioni. Si spiega che cosa si chiede e perché il giudice dovrebbe concederlo. Anche se nulla vieta di anticipare qui contenuti che sarebbero proprio della seconda memoria: anticipare si può sempre, mentre posticipare mai. Personalmente, spesso ad esempio faccio già nella prima memoria delle richieste di prova, quelle che ho già disponibili le inserisco, non aspetto la seconda. A volte questo mi consente di risparmiare il deposito della seconda memoria.
B) Con la seconda memoria, detta istruttoria, si indicano le prove che si chiede che il giudice, poi, voglia ammettere. Nel processo civile italiano, non si possono portare tutte le prove che si vuole, a parte le prove scritte o documentali. Per tutte le altre, bisogna dire al giudice che si vorrebbero portare determinate prove, poi sarà il giudice a valutare se ammetterle o meno. Se si dispone di un testimone, o si ritiene che sia interessante fare una CTU, bisogna spiegare al giudice perché queste prove sono rilevanti e formularle nel modo previsto dal codice, dopodiché sarà il giudice a decidere se ammetterle o meno.
C) Con la terza memoria ogni avvocato svolge delle riflessioni sulle prove richieste dall’altro e può opporsi alle stesse, dicendo ad esempio che sono irrilevanti, inutili, eccessive, ecc. ecc.
Quindi, in conclusione, dopo la concessione dei tre termini, il giudice chiude il fascicolo, gli avvocati tornano a casa e si mettono a scrivere questi tre documenti, cominciando ovviamente dal primo e proseguendo con gli altri, anche perché per scrivere i successivi dovranno prima leggere quello che hanno scritto gli avvocati degli altri.
Da ciò si vede molto chiaramente che la trattazione del processo civile italiano, almeno nella sua forma ordinaria, è quasi interamente scritta, con molte formalità rispetto alla formazione dei documenti e al loro deposito.
Come gestisco io i tre termini del 183.
Personalmente, dopo l’udienza o il provvedimento di concessione dei tre termini del 183, calcolo i termini sulla base delle norme del codice di procedura civile e poi segno la relativa scadenza in google calendar, con un evento «tutto il giorno» e, soprattutto, una notifica via mail almeno 20 giorni prima della scadenza, mettendo, quando posso, come invitato all’evento, il cliente stesso.
Se sei mio cliente e nella causa che sto seguendo per te hanno concesso i tre termini del 183, ti arriveranno mail da google calendar indicanti un “evento” del calendario; se anche tu usi google calendar, potrai aggiungere questo evento anche al tuo calendario. Altrimenti puoi tenere semplicemente la mail come promemoria, ma non preoccuparti: penseremo noi a gestire in tutto la scadenza e a ricordarti quando ci sarà bisogno di qualcosa da parte tua, come ti spiego meglio tra poco. Tutto come nell’esempio di cui all’immagine seguente:
Queste tre scadenze inserite in google calendar hanno una duplice valenza e richiedono un duplice tipo di lavoro, uno da fare prima e uno da fare dopo il loro verificarsi:
da fare prima: sotto un primo profilo, riguardante il periodo anteriore al giorno in questione, sono scadenze che richiedono appunto un mio intervento prima del loro verificarsi, per tale motivo c’è una notifica che mi arriva via mail 15/20 giorni prima del giorno in questione, in modo che in questo spazio di tempo possa scrivere la memoria e depositarla;
da fare subito dopo: sotto un secondo profilo, vengono invece in rilievo come termini che valgono anche per la mia controparte e che mi impognono un intervento non solo prima, ma anche dopo la loro scadenza. Dopo la loro scadenza, infatti, devo connettermi la processo civile telematico per vedere che cosa ha depositato il mio «avversario».
Ovviamente, il lavoro più impegnativo è quello da fare prima del loro verificarsi. Anche dopo c’è del lavoro da fare, ma trattandosi solo di esaminare quanto scritto dalle altre parti del processo, salvo colpi di scena che sono rarissimi, si tratta di lavoro minore, che peraltro solitamente rientra nel lavoro di preparazione della mia memoria successiva: ad esempio, quando esamino la memoria 183 n. 1 del mio avversario devo tener presente tali contenuti, e replicarvi, nella mia memoria 183 n. 2.
Per la stesura, solitamente preferisco organizzare un apposito appuntamento, quasi sempre di due ore, con il cliente stesso, in modo da ragionare insieme sui contenuti della causa, sulle possibili prove, e scrivere «in diretta» la memoria. Ti ricordo che scrivo tutti gli atti processuali insieme al cliente, anche a distanza via Skype. In generale, mi attengo ai criteri che ho delineato in questo altro post.
Quando riesco, inserisco appunto nella prima memoria anche le richieste istruttorie, cioè le richieste di prove da assumere, in modo da risparmiare a me, e anche al mio cliente, di dover rifare un nuovo appuntamento e un nuovo deposito il mese successivo. In questi casi, può essere più interessante fare la terza memoria, con le deduzioni sulle prove richieste dal mio «avversario».
Una volta terminata la stesura, provvedo al deposito telematico, se possibile due o tre giorni prima della scadenza per evitare possibili errori di trasmissione o comunque avere abbastanza tempo per porvi rimedio.
Il primo requisito di queste memoria è la sintesi, come ho già spiegato in altri post del blog alla cui lettura rimando.
Ovviamente, al cliente trasmetto sia copia delle memoria da me redatte, sia copia delle memorie avversarie, in modo che ne prenda conoscenza e possa farmi le sue eventuali osservazioni nel corso dell’appuntamento in cui redigere le nostre o in altra occasione.
Che cosa ti devi aspettare alla fine?
Per la gestione di queste tre memorie:
riceverai innanzitutto tre mail con altrettante scadenze google calendar, che potrai inserire se credi nel tuo calendario, anche se saremo sempre noi a occuparcene;
verrai contattato dalla mia assistente per fissare un appuntamento di due ore in cui redigere innanzitutto la prima memoria e poi eventualmente, man mano, le successive – questa telefonata, se i termini decorrono dal giorno dell’udienza (a volte il giudice può stabilire che decorrano da un giorno successivo), la riceverai il giorno stesso o i giorni successivi all’udienza;
riceverai sempre via mail le memorie depositate dalla o dalle controparti, insieme con alcune mie brevi note e/o richieste di chiarimenti eventualmente utili per le difese successive;
Molto probabilmente, per la redazione delle memoria dovrai fornirmi dei documenti. Se vuoi, segui le indicazioni raccolte in questo post.
Oggi un post più che altro per avvocati, come ogni tanto ci capita di fare anche sul nostro blog, dedicato solitamente per lo più agli aspetti divulgativi.
Sapevate che è possibile conoscere il numero di ruolo di un procedimento di cui abbiamo appena fatto il deposito andando ad analizzare la famosa quarta pec?
Questo può essere molto utile, innanzitutto per tenere bene in ordine i fascicoli dei propri procedimenti a studio, sia nel caso in cui sia necessario effettuare un deposito successivo, in cui il numero di RG è molto importante.
Per conoscere il numero di RG, ci sono due metodi, uno più rozzo e uno più pulito e semplificato.
Col primo metodo, si va ad esaminare il file esitoatto.xml, che è contenuto nella celebre quarta pec e che, in uno dei suoi campi, reca appunto l’indicazione del numero di ruolo.
L’altro metodo implica l’utilizzazione come client di posta elettronica di Thunderbird con un componente aggiuntivo molto valido per la gestione della pec che si chiama Thunderpec.
Adottare Thunderbird per la pec, magari in affiancamento al proprio client di posta preferito (io ad esempio di default uso Apple Mail), vale la pena anche perché sempre tramite Thunderbird si può facilmente eseguire l’archiviazione della casella di posta quando diventa troppo piena, come spiego meglio in questo precedente post.
Ebbene, con l’accoppiata Thunderbird più Thunderpec sarà sufficiente selezionare la «quarta pec» e fare clic sul pulsante, presente nella barra degli strumenti, chiamato «Esito Atto»: verrà mostrato in modo chiaro il numero di ruolo.
Chi volesse effettuare questo accertamento dal proprio terminale mobile, potrebbe utilizzare l’applicazione PocketPec degli stessi sviluppatori di Thunderpec, che personalmente non ho ancora testato, ma che sicuramente proverò appena ne avrò occasione.