Oggi passiamo in rassegna, sempre all’interno della nostra «serie» sulla mediazione familiare, l’ultimo modello tra quelli considerati: quello transizionale – simbolico.
Questo modello, che origina dall’esperienza del Centro Studi e Ricerche sulla famiglia dell’Università Cattolica di Milano, concepisce la mediazione come un’esperienza di passaggio focalizzata sulla crisi della coppia, in cui la famiglia subisce una trasformazione, da compatta che era a frantumata in due contesti differenti.
Anche in questo approccio non si pongono limiti di sorta all’oggetto della negoziazione, a differenza di quanto avveniva nel primo modello, quello integrato, per cui i mediatori si occupano di tutti gli aspetti della crisi familiare, dai figli alla gestione degli aspetti economico patrimoniali.
Tendenzialmente, la mediazione viene concepita come snodantesi in diverse fasi, che tuttavia non stanno in una sequenza rigida tra loro, di talchè è più opportuno, sicuramente, parlare di momenti della mediazione, che possono avere una concatenazione diversa e potenzialmente anche parallela tra loro.
In questo contesto, il mediatore dovrà: attuare il divorzio psichico ed emotivo elaborando il fallimento coniugale, impegnarsi in una gestione cooperativa del conflitto coniugale, ridefinire i confini coniugali e familiari equilibrando nuovamente le distanze, ristabilire una forma di collaborazione tra i coniugi soprattutto con lo scopo di consentire ad entrambi di essere davvero genitori, con un occhio di riguardo anche agli ascendenti, che sono importanti per i nipoti, anche in ossequio al nuovo art. 317 bis del codice civile.
Ogni coppia raggiungerà queste fasi con i propri tempi, proprio per questo la concatenazione di questi momenti, o micro obiettivi, può essere la più svariata.
In questo approccio, si considera che la famiglia continua, sia pure in forme diverse, come complesso di relazioni che interessano persone che vivono in contesti differenti, ma che continuano ad accudire i propri figli, con i quali mantengono legami significativi.
Per questo, in questo metodo, il mediatore viene considerato spesso un «traghettatore», un’immagine che felicemente descrive chi accompagna le parti da un assetto familiare ad un altro. Gli strumenti al riguardo sono quelli soliti, tra cui segnamente lo sviluppo della capacità di ascolto e vera «lettura» e comprensione dell’altro che abbiamo trovato anche in altri metodi passati in rassegna.
Abbiamo così terminato la rassegna dei principali modelli di mediazione familiare. Nel prossimo post della serie alcune conclusioni sulla mediazione familiare in generale.