Proseguiamo, all’interno della nostra «serie» sulla mediazione familiare, con l’analisi dei vari modelli, occupandoci oggi di quello strutturato.
Tra i vari metodi ed approcci passati in rassegna sino ad ora, quello strutturato è quello più «burocraticizzato»: le virgolette sono d’obbligo, in quanto non si tratta di regole imposte per esigenze eterodeterminate, ma volte tutto al contrario a garantire un miglior risultato del processo di mediazione. Resta comunque il fatto che è sicuramente l’approccio dove il ruolo del mediatore è meno liberamente dispiegabile, quindi più che un approccio è sicuramente un metodo, in cui il mediatore deve rispettare alcuni precetti nell’accostarsi alla materia.
Un aspetto positivo di questo metodo è, paradossalmente, la minor ambizione rispetto ad esempio a quello sistemico passato in rassegna nel capo immediatamente precedente e quindi il fatto di essere molto più circoscritto ad uno o più obiettivi specifici. È un dato di esperienza comunque quello per cui quando il risultato o lo scopo cui tende un’iniziativa è ritagliato in modo più definito e circoscritto, tale scopo è solitamente raggiungibile più facilmente. Non si tratta solamente di semplificazione o del fatto che accontentandosi di un risultato percepibile come minore lo si rende più facile da raggiungere, dal momento che in mediazione non esistono risultati facili o difficili, dipendendo sempre dalla situazione e dall’atteggiamento delle parti, che dipende – quest’ultimo – spesso dal loro vissuto. Ha a che fare con il «posizionamento» dello scopo della mediazione nella mente dei suoi protagonisti, prendendo a prestito per descrivere questo fenomeno una categoria studiata dagli operatori del marketing, che non a caso è la scienza della vendita.
Se si «taglia» un obiettivo in modo molto circoscritto, esso penetra e si «posiziona» molto meglio nella mente dei protagonisti della mediazione. Un conto, ad esempio, è invitare le parti in conflitto ad una seduta con lo scopo di «cercare un metodo per riuscire ad andare un minimo d’accordo», tutto un altro conto è invitarli stabilendo come ordine del giorno una cosa molto più limitata, concreta e precisa come «stabilire chi tiene la casa familiare».
La differenza riguarda il modo di funzionare della nostra mente e probabilmente anche del nostro inconscio che, nel primo caso, si metterebbero presto in stand by, non sapendo bene cosa pensare a riguardo, proprio per la difficoltà di poter inquadrare e classificare un obiettivo così vago e generico, per quanto importante e, in linea di principio, condivisibile. Nel secondo caso, invece, le menti dei due protagonisti si metterebbero subito al lavoro alla ricerca di possibili, potenziali soluzioni al problema, presentandosi poi all’incontro ben focalizzate sul tema e in grado di discuterne a dovere, senza alcun imbarazzo specifico ulteriore rispetto a quello determinato dalla situazione.
Sappiamo, peraltro, che uno degli aspetti fondamentali della mediazione è quello di determinare le parti spesso recalcitranti a sedersi per la prima volta ad iniziare il percorso. Come si dice nella pratica dello yoga, l’esercizio più difficile di tutti è quello di aprire il lettino e mettersi a praticare. Così è anche per la mediazione, come abbiamo accennato anche precedentemente c’è l’esigenza di rompere il ghiaccio con l’idea di andare davanti ad uno «sconosciuto», il mediatore, a parlare di dettagli emotivi spesso anche molto intimi, cosa cui le persone si determinano solo se pensano che la cosa possa avere una qualche efficacia nella risoluzione dei loro problemi: contrariamente a quanto si pensa comunemente, è difficile che le parti si presentino davanti ad un mediatore semplicemente per potersi sfogare, anche perché nel momento in cui il conflitto raggiunge la gravità che presenta nei casi in cui di solito viene portato in mediazione difficilmente le parti hanno ancora voglia semplicemente di sfogarsi.
È sicuramente, da questo punto di vista, più allettante un obiettivo ben tagliato, circoscritto e posizionato, perché le parti si accostano alla seduta di mediazione investendo il loro tempo, denaro e carico emotivo ma sapendo che potrebbero uscire da quella seduta con intanto almeno un piccolo tassello della loro crisi messo a posto.
Lo svantaggio di questo approccio è che, come abbiamo accennato anche in precedenza, tutte le questioni che compongono la sfaccettata e poliedrica crisi familiare sono intimamente e fortemente legate l’una all’altra, per cui dal punto di vista tecnico sarebbe un grave errore per il mediatore affrontarle «a compartimenti stagni», dato che in caso di fallimento sul terzo o quarto tassello affrontato in ordine di tempo con molta probabilità verrebbero rimessi in discussione anche quelli affrontati precedentemente.
Non si intende dunque sostenere un metodo del genere, che sarebbe probabilmente poco produttivo, ma solo l’opportunità della definizione di un obiettivo ridotto e circoscritto in una prima fase iniziale della mediazione, quando è necessario rompere il ghiaccio e determinare le parti ad iniziare questo percorso di cui probabilmente hanno bisogno come del pane, per poi, una volta raggiunto un minimo di collaborazione e magari un embrione di decisione sul primo tassello proposto, passare subito ad affrontare la situazione più in generale o comunque i suoi nodi centrali.
In sostanza, sempre mutuando per comodità di esposizione dalla terminologia del mondo del marketing, il mediatore in questi casi deve fare upselling: le parti ad esempio sono venute in mediazione per decidere limitatamente a chi tiene la casa familiare, il mediatore deve proporre loro di affrontare, visto che il primo «nodo» è già stato gestito, anche le altre questioni sul tappeto. Considerato che le parti hanno trovato modo di decidere sulla casa, perché non parlare ora anche della calendarizzazione dei figli?
È proprio partendo da un obbiettivo circoscritto che poi si riesce ad affrontare il tutto mentre quasi sempre se si propone direttamente di affrontare tutta la situazione non si riesce nemmeno ad iniziare il percorso.
Ad ogni modo, e chiudendo la digressione a riguardo, per riprendere il tema in generale, in questo modello di discussione lo spazio lasciato agli aspetti emotivi, a differenza di ciò che avviene in quello sistemico, torna ad essere limitato, mentre si cerca più genericamente di ristabilire un equilibrio nella coppia che consenta la comunicazione e magari anche la collaborazione, focalizzandosi abbastanza sulla responsabilizzazione dei protagonisti del conflitto.
In questo approccio, si tendono a non fare incontri individuali, perdendo dunque quella dimensione di emotività che si aveva nell’approccio sistemico, che così viene grandemente compromessa, sacrificandola sull’altare del valore dell’equidistanza del mediatore, che, se incontrasse separatamente le parti, potrebbe essere visto con sospetto e non solo non essere ma soprattutto non sembrare più così equidistante.
Lo strumento adottato dal mediatore con la collaborazione delle parti è quello della definizione di regole.
Un esempio di regola potrebbe essere che tutte le comunicazioni tra le parti debbano avvenire per mezzo di telefono o di persona, abbandonando le comunicazioni per iscritto che tanto oggi vanno di moda ma che ancor di più di prestano a fraintendimenti, specialmente in situazioni di conflitto dove causano quasi sempre e regolarmente incomprensioni, ulteriori pregiudizi e così via. Manca, nella comunicazione per iscritto, la percezione del «tono della voce» e dell’atteggiamento dell’interlocutore, cosicchè la unica «chiave di lettura» delle comunicazione scritte di una parte sono i pregiudizi negativi ben radicati nell’altra, con i disastrosi risultati che tutti possono immaginare.
Una regola come questa può sembrare, vista da fuori, banale, stupida e persino demenziale, specialmente oggigiorno che siamo in piena rivoluzione digitale. Tutto al contrario, essa è invece sacrosanta e benedetta e può far recuperare una molto miglior comunicazione a molte parti in conflitto.
Sottoporsi all’applicazione di regole peraltro così banali e semplici può essere percepito come umiliante da una o da entrambe le parti, ma bisogna realizzare che in questi casi non ci si trova in una situazione normale, ma all’interno di un conflitto, che rende tutto più complicato; per quanto i protagonisti del conflitto stesso possano essere persone degne, istruite, colte, in gamba, di buon senso, non rispettando regole che paiono stupide riporteranno, sia essi stessi che presso la loro controparte, conseguenze negative che potrebbero anche compromettere l’intero risultato della mediazione.
Una parte del tempo dunque dovrà essere spesa dal mediatore per illustrare l’opportunità di rispettare le regole che vengono man mano definite, ma soprattutto di credere fino in fondo nella loro opportunità, capendo il senso di ognuna ma soprattutto dell’opportunità di procedere in questo modo, altrimenti le parti tenderanno sempre a pretermetterle. Quest’ultimo aspetto è tanto più vero nel nostro Paese, in cui la cifra comportamentale più diffusa è l’egoismo e la scarsa aderenza a regole dettate da altri, sulla scorta della presunzione per cui «non importa» e «basta un po’ di buon senso». Ovviamente, il mediatore non potrà affatto ottenere il rispetto delle regole con autoritarismo e nemmeno con autorevolezza – anche se quest’ultima sicuramente avrà forza persuasiva e dunque agevolerà il processo – ma semplicemente con una adeguata opera di convinzione, cercando di penetrare davvero nei cuori delle parti per convincerli che avere delle regole, anche quando possono sembrare stupide o banali, è una cosa opportuna e fondamentale per il loro interesse e per quello dei loro figli.
Altri tipi di regole di cui fino a poco fa non si sarebbe sentito il bisogno della formulazione o del concepimento riguardano ad esempio la pubblicazione delle foto dei figli, magari insieme ai nuovi compagni o addirittura ad opera degli stessi, sulle reti sociali (social network), episodi che riaccendono violentemente la gelosia del genitore per i figli e compromettono spesso gravemente il percorso di mediazione. Anche in questo caso si tratta di circostanze che sicuramente in astratto potrebbero essere rimesse al famoso «buon senso» delle parti ma va registrato che purtroppo così facendo non si impedisce affatto che accadano cose del genere, per cui è sicuramente – lo si dice proprio sulla scorta dell’osservazione della realtà – meglio prevedere una regola esplicita al riguardo.
Ovviamente oltre alle regole di condotta per le parti della mediazione, regolette semplici e molto circoscritte come quelle che abbiano appena accennato, che, come tali, possono più difficilmente essere messe in discussione o dare adito a problemi interpretativi, per cui sono di più facile applicabilità, non essendoci facili scuse per la parte che intendesse trasgredirle, ci sono tante altre regole possibili e opportune, che potremmo definire regole di procedura che riguardano gli incontri di mediazione e che, al di là della loro banalità, nascondono e tutelano importanti aspetti, come ad esempio presentarsi puntuali, frequentare costantemente le sedute, mantenersi in tema rispetto all’argomento che si sta trattando, non profferire offese nei confronti dell’altra parte né ricordare circostanze spiacevoli che non siano necessarie per l’argomento in questione e così via. Anche queste regole sono banalissime, ma chi ha mai partecipato ad un incontro di mediazione sa perfettamente quanto siano importanti e quanto sia a volte difficile non solo ottenerne il rispetto ma definirle e ottenere il consenso su di esse da parte di entrambe le parti.
Le regole possono essere auspicabilmente definite, in un primo nucleo, all’inizio delle mediazione, dalle parti con l’aiuto del mediatore. A costui spetterà il compito di proporre quelle più utili in generale ma anche in relazione al caso concreto, cosa che il mediatore valuterà dopo aver ascoltato le parti sia nel contenuto di quello che dicono sia soprattutto nel loro atteggiamento. Anche durante il percorso di mediazione si potranno ovviamente definire regole, starà al mediatore proporle, non come un legislatore che si pronuncia dall’alto ma più come un gioco, volta per volta in relazione ai problemi emersi, cercando di formularle sempre in maniera semplice e minimale, lasciando poco spazio per la loro elusione.