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Mia suocera sempre in mezzo alle palle: che faccio?

È possibile richiedere l’annullamento del matrimonio quando in realtà capisci di esserti sposata anche con la madre e il padre del marito?? Mi spiego meglio in casa ho mia suocera dalla mattina fino alla sera dopo cena, non ho una mia vita privata con i miei figli con mio marito questa cosa mi sta facendo cadere in depressione. Ne ho parlato con mio marito ma nulla non mi da ascolto sono due anni di litigi, adesso questa situazione mi sta distruggendo psicologicamente!!

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Quota di casa in eredità: influisce sul reddito?

mia suocera e’ deceduta lasciando una casa di sua proprieta’ esclusiva di cui diverranno eredi mio suocero e I suoi 4 figli ,I miei suiceri vivevano in divisione dei beni ,la casa di famiglia dove vive mio suocero e ‘ di sua esclusiva propieta’ .detto moo questo volevo sapere se la quota della propieta’ indivisa di cui mio marito diverra’ propietario con la successione incidera’ sul nostro reddito familiare

Innanzitutto, bisognerebbe capire a quale fine lo chiedi, se, ad esempio, ai fini delle imposte sui redditi o, sempre ad esempio, ai fini ISEE, per la concessione di benefici e la determinazione di tariffe e così via, perché la risposta può variare.

Ad ogni modo, peraltro, si tratta di aspetti che non rientrano nelle materie di cui sono esperti gli avvocati. Nel caso delle imposte sui redditi, bisognerebbe chiedere ad un commercialista.

Quello che, come civilista, ti posso dire è che con ogni probabilità sulla casa familiare ci sarà il diritto di abitazione del coniuge superstite, cioè tuo suocero, ai sensi dell’art. 540 del codice civile, quindi la quota di comproprietà della casa in capo a tuo marito è in realtà una nuda proprietà, che non gli consente di godere dell’immobile in alcun modo, né direttamente abitandolo (sia pur compatibilmente con gli altri comproprietari), né percependo un canone di locazione, sia pure solo in parte.

Si tratta, insomma, di una proprietà al momento solo «potenziale» e non fattuale.

Se e come questo possa riflettersi sugli aspetti che a te interessano relativi al cumulo del reddito non lo so e non lo posso sapere, anche perché la domanda non è stata formulata in modo completo.

Se vuoi approfondire, valuta di acquistare una consulenza, anche se non credo proprio che ne possa valere la pena, probabilmente può essere più interessante parlare con il professionista che vi segue per le denunce dei redditi. Ti raccomando, con l’occasione, di iscriverti alla newsletter del blog, o, se non ti piace la mail, al gruppo Telegram, in modo da non perderti importanti e utili aggiornamenti quotidiani.

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Divorzio e trasferimento da USA a Italia: si può fare?

Mia figlia risiede in Florida, Stati Uniti, divorziata legalmente, con doppia cittadinanza, ha una bambina di 5 anni, purtroppo ha nostalgia della famiglia, essendo sola, vorrebbe tornare in Italia vicino ai propri genitori, chiedo: può il marito, essendo stato lui a volere il divorzio perché accompagnatosi con altra persona, impedire che madre e figlia possano venire stabilmente in Italia, preciso che nulla osta che lui possa venire a trovarla o la piccola se accompagnata andare dal padre come avviene attualmente.

Il presupposto implicito del problema è che il marito di tua figlia è statunitense e, se lei si trasferisse in Italia, le visite e le frequentazioni della figlia con il padre sarebbero notevolmente compromesse.

Prima ancora di fare considerazioni di merito su una situazione di questo genere, bisogna dire che la problematica non è di facile trattazione, perché probabilmente in materia si ha innanzitutto comunque la giurisdizione dei giudici degli Stati Uniti, prima ancora che quella dei giudici italiani, che va verificata attentamente.

In generale, gli Stati Uniti interpretano peraltro molto largamente le disposizioni a favore dell’esistenza della loro giurisdizione e spesso emettono provvedimenti in anche in situazioni al limite, o dove ci sono già provvedimenti italiani – mi è capitato svariate volte di assistere a cose del genere.

La prima cosa da fare, dunque, sarebbe un adeguato approfondimento per vedere se sussiste la giurisdizione italiana sul punto, cioè il diritto dei giudici italiani di regolamentare la situazione, cosa che per tua figlia rappresenterebbe molto probabilmente un vantaggio.

Ma chiudiamo questa parentesi molto avvocatesca, ma necessaria e completamente «reale», e parliamo un po’ del merito della vicenda.

Chi abbia chiesto il divorzio e per quali motivi non ha alcuna influenza su dove debba o possa stare la bambina, dal momento che è un aspetto relativo ai rapporti della stessa con i genitori.

Se il padre nega il consenso al trasferimento all’estero della madre, l’unico sistema è ottenere l’autorizzazione da parte del giudice.

Prima di arrivare a questo, con tutti i conseguenti problemi di giurisdizione e costo della giustizia (specialmente negli Stati Uniti), è il caso di fare tutti i tentativi possibili di realizzare questa cosa in via consensuale, magari tramite alcune sedute di mediazione familiare.

In effetti, non è poi un caso così raro: seguo un’altra famiglia disgregata con figli che stanno per la pressoché totalità dell’anno in Italia e per le vacanze estive interamente con l’altro genitore a Miami. Pertanto, una soluzione in qualche modo è sempre possibile trovarla.

Un assetto consensuale avrebbe peraltro molti altri vantaggi cioè molta più collaborazione in seguito tra i genitori nonostante la situazione difficile.

Se, tuttavia, nonostante ogni sforzo prodigato in questo senso, non si riuscisse a raggiungere un accordo, non resterà che valutare il ricorso alla magistratura.

Da questo punto di vista, a mio giudizio il «primo passo» da individuare a riguardo, la prima cosa che è opportuna da fare, è un adeguato approfondimento per vedere se possibile adire, in luogo della magistratura statunitense, quella italiana.

Se vuoi un preventivo per questo lavoro, puoi chiedercelo compilando il modulo nel menu principale del blog. Ti raccomando, con l’occasione, di iscriverti alla newsletter del blog, o, se non ti piace la mail, al gruppo Telegram, in modo da non perderti importanti e utili aggiornamenti quotidiani.

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Moglie si inventa violenza e ottiene la casa: che fare?

mia moglie è andata via di casa con mio figlio 13enne,si è inventata tramite un centro antiviolenza, violenza psicologica, in prima istanza ma ancora senza notifica il giudice ha deciso che dovrei lasciargli la casa con mutuo cointestato entro fine settembre, e 350 euro al mese.Come è possibile che una che si inventa una cosa del genere non rischi nulla anzi viene premiata con l’assegnazione della casa, tra l’altro guadagna più di me e si può permettere un affitto,e il marito debba solo subire, e lottare per il figlio completamente manipolato da lei

Se ho capito bene, hai «subito» una separazione giudiziale, c’è già stata l’udienza presidenziale e il presidente ha assegnato la casa familiare a tua moglie, prevedendo il pagamento di un mantenimento di 350€ al mese, non si capisce se a favore di tua moglie o per tuo figlio.

Non capisco, a riguardo, cosa c’entri la notifica. La notifica dei provvedimenti presidenziali viene fatta solo quando uno è contumace, se conosci il contenuto dei provvedimenti mi sembra improbabile che tu sia rimasto contumace.

Ad ogni modo, una soluzione di questo genere è quello che avviene di solito in casi di questo tipo, anche senza un contesto di eventuale violenza. Per la tutela del figlio minore, la casa familiare viene assegnata alla madre, che così viene a godere indirettamente di un vantaggio, ma non in quanto tale bensì quale genitore che comunemente viene ritenuto come più adatto alla cura del figlio.

Ovviamente tutto questo è oggetto di contestazione da molti anni e attualmente c’è un disegno di legge volto a cambiare questa situazione, che però non mi convince del tutto perché eventuali nuove disposizioni sono comunque destinate a fare i conti con la realtà delle famiglie disgregate che è diversa da caso a caso.

Il tuo caso, peraltro, sarebbe da approfondire perché in queste poche righe si intuisce che ci sono tematiche molto complesse, ma in questa sede non si può dire più di tanto.

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Figlio che vuole trasferirsi dal padre: come fare?

il figlio più grande di mio marito (15 anni) ha chiesto ad entrambe i genitori, in un incontro congiunto da lui richiesto, di potersi trasferire da noi (da 5 anni lui e suo fratello di 11 anni vivono con la mamma a seguito di separazione e successivo divorzio), mantenendo comunque i rapporti con la mamma come erano quelli con il padre (1 we si ed uno no e 1 giorno a settimana). Viviamo in due paesi distanti 18 km e lui ha chiesto, ovviamente, anche di cambiare scuola. Mio marito ed io ci siamo subito detti favorevoli, mentre la madre si oppone chiedendo un perizia psicologica per il ragazzo (che è stabilissimo psicologicamente) volendo però stare lontana da avvocati e tribunale perché non “ha soldi per pagare». Mio marito ha trovato una psicologa specializzata in problematiche adolescenziali e ha chiesto a lei di comunicare la sua volontà al ragazzo: lei si rifiuta di farlo. Come ci si può comportare per evitare traumi al ragazzo che è stressatissimo?

Mi sembra evidente che ci si trovi di fronte ad una mamma che, per mille motivi magari che al momento non possiamo indagare, ma tra i quali potrebbe annoverarsi anche il timore di perdere un mantenimento, non vuole proprio sentirci.

Ad ogni modo, le strategie non sono molte, o meglio la strategia può essere solo una, molto semplicemente.

In prima battuta, dovete provare a invitare la madre davanti ad un mediatore familiare, per vedere se possibile instaurare un percorso di una o più sedute in cui discutere di persona il problema e trovare una soluzione concordata.

Nel caso in cui ciò avvenisse e si raggiungesse un accordo, bisognerebbe poi formalizzarlo tramite un accordo in house, per maggiori dettagli sul quale rimando alla scheda relativa.

Se la madre non venisse alla mediazione familiare, oppure, pur partecipando, non si raggiungesse nessun accordo, l’unica soluzione per determinare il cambio delle condizioni sarebbe un ricorso appunto per modifica condizioni, in cui chiedere, in prima battuta, l’audizione del figlio di 15 anni che vuole trasferirsi dal padre.

Ovviamente se la cosa si potesse definire tramite un accordo davanti al mediatore sarebbe preferibile per svariati motivi, dunque vale la pena investire un po’ di tempo, attenzione e denaro in questo tentativo.

Solo se la mediazione dovesse fallire, si potrebbe considerare il passaggio alla fase successiva.

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Il criterio del «tenore di vita» è davvero finito?

Interessante resistenza dei tribunali di Matera e Mantova rispetto all’imminente e per alcuni già iniziata modifica dell’orientamento della Cassazione in materia di diritto alla corresponsione dell’ assegno divorzile.

Tribunale di Matera 7 marzo 2018 Tribunale di Mantova, 24 aprile 2018

A) Nella causa per la modifica o revoca dell’assegno divorzile instaurata da un uomo nei confronti dell’ex moglie, nanti il Tribunale di Mantova, viene citata fra gli elementi a supporto della richiesta la considerazione che l’importo dell’assegno, pari all’epoca (2004) ad € 350,00.= ad oggi rivalutato in € 411,47 era stato determinato sul parametro del “tenore di vita” tenuto dalla stessa in costanza di matrimonio.

Dato l’allontanamento o presunto tale da detto parametro dopo la pronuncia del maggio del 2017, l’uomo riteneva di essere probabilmente nel sicuro alveo della modifica o esclusione del riconoscimento economico alla sua ex signora. Le richieste dell’uomo erano supportate anche dal fatto che la ex aveva anche ottenuto una quota del tfr, e che ad oggi godesse di pensione propria, pertanto non avesse più diritto a percepire anche assegno divorzile quantomeno in tal misura.

I giudici di merito respingono però con forza le richieste dello stesso, specificando che il requisito dell’assegno divorzile determinato per tenore di vita non debba per forza ritenersi superato per il nuovo orientamento detenuto dalla sentenza della Suprema Corte nel maggio del 2017 ma che anzi non può qualificarsi come giustificato motivo ai sensi dell’art. 9 della legge sul divorzio il mero mutamento di giurisprudenza in ordine ai criteri con cui deve attualmente essere commisurato l’assegno di divorzio.

L’esclusione della rilevanza del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio non significa che vengano quindi modificati i parametri che sono a fondamento dell’an della misura. (cfr. sul tema Cass. n. 11504/2017). “atteso che, in caso contrario, si verrebbe ad estendere a rapporti esauriti, perché coperti dal giudicato,una diversa interpretazione della regola giuridica a suo tempo applicata ma con efficacia retroattiva ciò che non è consentito nemmeno alla legge (perlomeno in via generale: v. art.11 disp prel cc) e che produrrebbe un risultato valutato come irragionevole dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. sul tema Cass. n. 15144/2011);- ritenuto inoltre che non può neppure essere invocato il principio del c.d. “prospective overruling” atteso che il mutamento di giurisprudenza ha riguardato una norma di carattere sostanziale e non processuale (cfr. Cass. n. 6862/2014).”Iil ricorso pertanto non viene considerato meritevole di accoglimento.

B) Pronuncia ancora più solida nell’incardinamento alle norme è il provvedimento del Tribunale di Matera, sent. del 7 marzo 2018. Facendo esclusivamente riferimento alla norma sul divorzio, 898 del 1970 ed ai suoi articoli che disciplinano la regolamentazione della fine del rapporto matrimoniale.

La sentenza analizza sistematicamente che la previsione dell’assegno divorzile va intesa come un’eccezione alla drastica chiusura dei rapporti fra marito e moglie alla cessazione del rapporto di coniugio. Come tale, è un’elemento tassativo che non può e non deve essere soggetto alla valutazione di questo o quel parametro giurisprudenziale, come quello del tenore di vita mantenuto in costanza di matrimonio. Il requisito per beneficiare di assegno divorzile deve fondarsi sulla oggettiva mancanza di mezzi di sussistenza o sull’impossibilità di procurarseli da parte di chi lo richiede.

Ci si chiede allora, se questo rigido criterio di valutazione, assolutamente legittimo perchè legato indissolubilmente al dato normativo, possa riuscire a risolvere i conflitti o a ridurli almeno, oppure non porti gli scontri al punto di dover ridefinire il concetto di cosa sia per il singolo individuo un “mezzo di sussistenza”, un elemento cioè che per un soggettto è di essenziale importanza. Come tre pasti al giorno per qualcuno o il cellulare di ultimo modello per qualcun altro.

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Le radici dei conflitti sono sempre emotive.

Ho acquistato casa all’asta prima del matrimonio per un importo di € 170,000. Io e mia moglie siamo in regime di comunione dei beni e non abbiamo figli . La casa è intestata solo a me ( a causa di un errore dell’avvocato che ci ha seguito durante l’asta ) , però la mia fidanzata e ora attuale moglie, ha contributo all’epoca col 25% ( avevamo in totale io e lei un importo cash disponibile di € 120,000 e quindi mia moglie ha ” messo ” circa €30,000 ) . Poi sia prima e dopo il matrimonio abbiamo estinto il mutuo pagandolo insieme attraverso conto corrente bancario cointestato. Domanda: fin dal primo momento ho rilasciato nelle mani di mia moglie una mia dichiarazione scritta di pugno su cui dichiaravo che la casa era stata acquistata anche col contributo economico di mia moglie , ma a lei ora non basta più …Lei dice ” non si sa mai nella vita … ” , e di poter aver una carta scritta ufficiale su cui si evince il suo diritto sulla proprietà (anche per poter cautelare, in futuro, qualche suo famigliare in difficoltà economica). Cosa conviene fare ? Mi aiuti perchè sono molto deluso da questa mancanza di fiducia. Non negherei mai, anche in un caso lontanamente ipotetico di separazione/divorzio, quanto da lei dovuto economicamente

Direi che nella tua situazione, come spesso accade in quelle che riguardano la famiglia, ci siano due aspetti che concorrono: quello patrimoniale, relativo alla tutela economica di tutti i protagonisti della vicenda, e quello personale, relativo alla fiducia e all’investimento nella coppia.

Per cose di questo tipo, a mio modo di vedere le soluzioni non possono essere trovate in prima battuta in strumenti giuridici, come fare un documento ancora più «ufficiale» o addirittura un rogito o donazione di passaggio di una quota di comproprietà – che comporterebbe anche delle spese per tasse, notaio, geometra, ecc..

Lo strumento da utilizzare a mio giudizio è la mediazione familiare, che consente ai coniugi di potere avere un chiarimento delle rispettive posizioni, o meglio potremmo dire emozioni a riguardo, che è la prima cosa di cui hanno bisogno.

Da un lato, infatti, tu sei molto deluso da quella che percepisci come una mancanza di fiducia di tua moglie nei tuoi confronti.

Tua moglie, dal suo lato, ha comunque qualcosa che non la soddisfa a livello emotivo e che – attenzione! – non è affatto detto che venga poi soddisfatta anche facendo le cose che sembra richiedere come un altro documento ufficiale o un rogito.

Una cosa che va detta, e che è molto importante, è che può benissimo darsi che queste emozioni, questo vostro punto di vista sulla situazione, siano, se guardati da un punto di vista razionale, anche «sbagliati» e cioè privi di motivi per sussistere in realtà.

Da un certo punto di vista, è normale che un coniuge si fidi di noi ma non fino in fondo, specie in questioni patrimoniali, quindi sembrerebbe sbagliato adontarsene, però …

Però non bisogna cadere nell’errore di pensare che davvero le nostre emozioni siano «sbagliate» e finire con il giudicarci. Delle nostre emozioni dobbiamo solo prendere atto, anche quando sono paradossali o quando, se usassimo la mente razionale, potremmo valutarle come inadeguate o «ingiuste».

Prendendo atto che ci sono questi disagi reciproci, la cosa migliore è, senza appunto giudicare né noi stessi né il nostro coniuge, andare a parlarne, a partire proprio dalle emozioni (un giorno sul blog farò un post in cui spiegherò la comunicazione emotiva), davanti ad un mediatore familiare.

Da questi colloqui scaturirà un chiarimento, che sarà poi utile per capire anche cosa eventualmente fare a livello giuridico legale, sempre che, una volta chiariti, i coniugi desiderino ancora fare qualcosa, che, a quel punto, verrà fatto con molta maggiore serenità e consapevolezza, come un ennesimo investimento sulla coppia.

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Donazione alla moglie: si può revocare?

Vorrei sapere se si potrebbe REVOCARE DONAZIONE IMMOBILIARE a favore della moglie convivente da sempre con relativa rinuncio all’usufrutto e anche rinuncia da parte dei figli fatta con atto notarile, fatta chiaramente per togliere disponibilità finanziaria da un truffatore. Fare questo dimostrando che il DONATORE e’ collegato sia alla moglie che a suo tempo ha firmato in Banca come GARANTE per fargli ottenere un prestito, e sia come AUTORIZZATO DAL FIGLIO AD AGIRE SUL SUO C/C in sua vece. Si può fare domanda di revoca anche se sono passati 5 anni, oppure si puòrivalersi su moglie intestataria dell’appartamento DONATO o sul figlio per la correlazione del C/C?

È una cosa che si deve studiare ed approfondire molto di più, anche perché non si capisce nemmeno bene cosa significhi «per togliere disponibilità finanziaria ad un truffatore»: occorre capire esattamente come sono andate le cose.

Può darsi che ci siano i presupposti, in un caso del genere sembra che qualche elemento che possa costituire un’adeguata base legale per un’azione di invalidità, annullamento, revocatoria, revoca possa esserci, ma va approfondito appunto molto di più.

Questo lavoro di approfondimento deve essere condotto esaminando innanzitutto la donazione ma tutte le altre circostanze del caso che potrebbero essere rilevanti, tra cui l’esistenza di questa garanzia prestata dalla donataria a favore di questa persona – che poi andrebbe in qualche modo tuttavia ricollegata al contesto.

Se vuoi approfondire, puoi acquistare una consulenza da noi o da un altro avvocato di tua fiducia. Ovviamente, dovrai fornirgli tutta la documentazione del caso.