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Fai attenzione a come ascolti: in ogni momento.

«Fate bene attenzione, dunque, a come ascoltate: perché chi ha molto riceverà ancor di più; ma a chi ha poco sarà portato via anche quel poco che pensa di avere» (Gesù di Nazareth, Luca 8:18)

In queste poche parole di Cristo, riportate nel vangelo di Luca, c’è la chiave fondamentale per affrontare la vita. C’è il lavoro che dobbiamo fare in continuazione, tutti i momenti, su noi stessi, dal momento in cui prendiamo coscienza fino a quello in cui lo perdiamo.

Perché Dio dice che sarà dato a chi ha già e tolto a chi non ha? Non è, questo, ingiusto? Non è, inoltre, contrario a quello che comunemente si pensa essere cristiano, che consiste per lo più nell’aiutare dando a chi ha bisogno, a chi ha meno degli altri, non certo a chi ha «molto»?

Eppure queste parole di Cristo sono sacrosante.

Gesù ci dice di fare attenzione a come ascoltiamo. Significa che dobbiamo prestare attenzione a come sentiamo, quindi valutiamo e giudichiamo il mondo esterno e in particolare quello che ci accade.

Dentro di noi c’è un’anima che osserva, ascolta, quello che ci succede. E poi ne dà una sua lettura. C’è modo e modo di ascoltare, non è affatto un momento passivo, non è una mera misurazione del mondo e di quello che ci accade, perché dipende da come noi percepiamo quello che ascoltiamo, dal significato che diamo a quanto ci capita, ai fatti della nostra vita.

Chi è allora che ha molto, e chi è che ha poco? Dipende da noi stessi avere molto o poco, dal modo in cui «ascoltiamo» quello che ci accade.

Quelli che hanno molto, per spiegarlo con una nota metafora, sono ad esempio coloro che vedono sempre il bicchiere mezzo pieno, ne sono felici, ne gioiscono e non si lamentano. Costoro sono quelli che riceveranno man mano sempre di più.

Quelli che hanno poco, invece, sono coloro che vedono sempre il bicchiere mezzo vuoto, quelli che guardano sempre a quello che non hanno, piuttosto che a quello che hanno: quello che hanno – per lo più – lo danno per scontato, acquisito, noioso, insulso, inutile. Gesù qui è molto chiaro: costoro perderanno anche quel «poco» (attenzione: non è un poco oggettivo, sono loro stessi che lo considerano poco) che hanno.

Sembrava ingiusto, invece è giustissimo.

É difficile da capire in una società di immaturi, di eterni bambini abituati a lamentarsi, perché lamentarsi é il metodo migliore per ottenere l’aiuto di altri – tipicamente genitori, ma anche amici e colleghi – considerato indispensabile per poter risolvere i propri problemi o anche solo migliorare la propria vita, ma é così.

Dio invece non ama particolarmente, e non aiuta, chi si lamenta!

Dio ci ama in realtà, ma a chi si lamenta offre solo il suo silenzio, cosi come un bravo padre non accondiscende mai ai capricci di un figlio. Questo silenzio, percepito come un’assenza, un’ingiustizia, é invece sacrosanto, perché Dio non può aiutarci finché non la smettiamo di lamentarci, finché non comprendiamo il valore di ciò – poco o tanto – che abbiamo e ne siamo grati (o almeno non ce ne lamentiamo). È una conseguenza del libero arbitrio: se scegliamo le cose buone avremo il suo aiuto e faremo passi da gigante; finchè non lo scegliamo, resteremo a terra, sprofondando anzi sempre di più.

Attenzione. Vedere sempre il bicchiere mezzo vuoto significa esattamente dare per scontati un coniuge, un figlio, un amico, un collega di lavoro, un lavoro stesso. Significa pensare che siano «poco» per noi, perché si meriterebbe di più, si pensa sempre di meritare di più.

Ma chi pensa che un coniuge sia troppo poco per lui, che meriterebbe di più e di meglio, finisce per perderlo. Perchè lo dà per scontato, e se lo dà per scontato cosa fa? Lo trascura. Non lo sente suo, quindi non lo cura. Senza cura l’amore sfiorisce. L’ho visto accadere centinaia di volte. É matematico, é una sicurezza, ed é tutta colpa sua, anche se spesso non se ne rende nemmeno conto.

Ecco perché chi pensa di avere poco finirà per perdere tutto quello che ha, perché ciò che si considera «poco» non si ama, non si coltiva, non si cura. Chi ha poco ha in realtà tanto, ma é così presuntuoso da non capirlo.

Viceversa, chi considera tanto quello che ha (poco o tanto che sia) avrà sempre di più. Perché vivrà la vita con felicità, fede, ottimismo e sarà così pronto a cogliere le occasioni che gli si presenteranno, a differenza degli altri, impegnati per lo più a recriminare. Avrà un terreno buono, pulito e in ordine per tutti i semi che vi porterà il vento…

Sembrava ingiusto, invece é giustissimo.

Evviva noi.

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pillole

La positività e l’ottimismo non devono mai …

La positività e l’ottimismo non devono mai essere un obbligo, sono solo una opportunità, un punto di vista alternativo con cui guardare le cose che ti accadono. in tutto questo, devi sempre conservare la libertà di essere triste e di non sentirti sbagliato se lo sei.

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counseling

Bisogna studiare per essere felici.

Contrariamente a quel che si pensa comunemente, amare é una cosa che si deve imparare a fare; ugualmente essere felici é una cosa per la quale bisogna «studiare», sì proprio studiare, applicarsi, non si può lasciare all’improvvisazione.

É il famoso insegnamento delle qualità dell’essere di cui parlo spesso per lamentare il fatto che nessuno, oggigiorno, insegna queste cose fondamentali agli essere umani.

Felicità

Si fanno corsi di tutti i tipi, la scuola insegna di ogni, ma non si parla mai di quello che serve davvero all’anima.

Impare ad amare, impara ad essere felice: investi in un percorso di crescita personale.

Un abbraccio.

«Essere felici è un’arte che disimpariamo ogni giorno, quando mettiamo il piede in una pozzanghera e invece di ridere ci preoccupiamo delle scarpe, quando non guardiamo un arcobaleno perché dobbiamo guidare e non possiamo fermarci, quando una falena diventa un fastidio e non più qualcosa di cui meravigliarsi, quando lasciamo che il mondo diventi una preoccupazione e non qualcosa da guardare con curiosità e gioia.
La felicità arriva così, ogni giorno e se non la si riconosce diventa rimpianto. Rimpianto per tutte quelle volte in cui avremmo potuto essere felici ma non lo abbiamo fatto.
A essere felici ci vuole allenamento

(Simona Barè Neighbors)

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diritto roba per giuristi

Avvocati: perché, nonostante tutto, è preferibile che siano felici.

Tutte le volte che faccio girare questo post, in cui dico quanto sia per certi versi ancora bello fare l’avvocato, salta puntualmente fuori gente che dice cose del tipo «Sì però a mio cuggino dieci anni fa gli avvocati e i giudici e gli assistenti sociali hanno dato un’inculata! Aveva ragione da vendere, decine di testimoni e camion di documenti, però ha perso la causa in tutti e tre i gradi e ha dovuto pagare più di 20.000 euro di spese legali! Tutti gli avvocati e i giudici di … sono corrotti! È un sistema! L’ordine degli avvocati non fa niente, cane non morde cane! Fate girare. Svegliaaaaaaa!».

Se non ci credete, guardate anche solo i commenti lasciati in calce al post stesso, alcuni dei quali davvero fuori di testa e assurdi.

Ad uno di questi ho chiesto cosa c’entrasse questa inculata che lui o suo cuggino si sarebbero presi con la piacevolezza con cui io ed altri facciamo il nostro lavoro e mi ha risposto che si voleva solo sfogare, come se si potessero commentare a cazzo i contenuti solo per «sfogarsi».

Allora io metto su facebook la foto di una torta che mi sono appena cucinato o mangiato e uno sotto, solo perché sono un avvocato, scrive «A me 20 anni anni fa i giudici e gli avvocati e gli assistenti sociali mi hanno truffato per questo e quello è terribile è inammissibile è anticostituzionale…».

Con questi atteggiamenti, tocchiamo il cuore del carattere italiano: l’italiano medio non sopporta la felicità altrui.

Siccome lui è stato inculato una volta, magari anche con giusta ragione, e magari non da un avvocato ma da un giudice, o altro, non importa: tutti gli avvocati devono almeno vivere infelici. Se si azzardano e dire che loro, tutto sommato, sono sereni e contenti di fare questo mestiere, allora ecco che per loro si riaprono vecchie ferite…

Io credo che l’unico modo corretto di rispondere a questo sia proprio chiedere: «Ma che cazzo volete?».

Se una persona fa il suo dovere e lo fa con cuore lieto, liberi voi di lamentarvi, vedere tutto nero e rovinarvi la vita per le tragedie che sono accadute, decenni fa, nella vostra famiglia.

Io però scelgo di costruire, di non fare di tutta l’erba un fascio, di cercare di aiutare davvero le persone, cosa per la quale l’ottimismo e la felicità mi servono, come il cibo che ingerisco tutti i giorni, come i computer che uso, come le cose che leggo, le famose sentenze, i libri, gli articoli.

Ma soprattutto ricordatevi anche che quando vi troverete di nuovo nella merda – cosa che peraltro non vi auguro affatto – l’unico che potrà provare a tirarvi fuori sarà un bravo avvocato che fa ancora con piacere, e magari addirittura con passione, questo mestiere sempre più difficile.

Tutto il resto sono solo lamentele con le quali vi trascinate solo sempre più in basso. Da soli, quasi come perfetti idioti. Pensate di aver capito tutto dalla vita, ma la tristissima realtà è che l’esperienza negativa che avete avuto non vi è servita nemmeno a questo. Tutto questo è un vostro diritto, sicuramente, stai tuttavia a voi decidere se e come esercitarlo.

Resta il mio diritto di svolgere serenamente e con piacere questa professione, nell’interesse mio ma soprattutto di tutti coloro che mi pagano per farlo, che si traduce in quello di ignorarvi e andare per la mia strada.