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Mio marito pretende l’uguaglianza: ha ragione?

Sono sposata in regime di separazione dei beni, abbiamo 3 figli. Io lavoro come impiegata in un’azienda e guadagno 1200 euro al mese. Mio marito invece ha un’azienda sua e guadagna cinque volte più di me, ma mette in casa, per le spese della famiglia, solo 1200€ al mese, corrispondenti a quello che porto a casa io, perché dice che ognuno deve contribuire uguale all’altro. Solo che così facendo viviamo, e facciamo vivere i nostri figli, con un tenore molto più basso di quello che, in realtà, ci potremmo permettere. È giusta una cosa del genere?

L’art. 143, comma 3°, cod. civ., posto in apertura di una parte del codice intitolata «Dei diritti e dei doveri che nascono dal matrimonio», prevede che «entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia».

Si tratta di una disposizione di riguardo, la cui lettura è obbligatoria anche in Chiesa, durante la celebrazione del matrimonio concordatario, insieme ai successivi articoli 144 e 147, proprio perché ritenuta particolarmente importante sul tema delle conseguenze derivanti dal matrimonio.

L’articolo in esame è molto chiaro: il contributo che deve essere prestato da ciascun coniuge non è mai parametrato a quello che fa o può fare l’altro, non vige un principio, analogo ad esempio a quello valevole per i conferimenti delle società commerciali, per cui la «quota» da versarsi ad opera di ciascun coniuge, o socio, è identica.

Vale, in realtà, il principio opposto: ogni coniuge deve dare il massimo, in base alle proprie sostanze, e quindi al suo patrimonio, e alla sua capacità lavorativa, per le esigenze della famiglia.

Come avvocato, mi sono imbattuto di applicazioni di questa disposizione soprattutto in caso di famiglie oramai, purtroppo, disgregate e quindi in occasione di separazione e divorzio.

Così ad esempio nel caso in cui i figli stiano uguale tempo con un genitore e con l’altro non è detto che non sia prevedibile un assegno dall’uno all’altro genitore. Quando, infatti, lo squilibrio tra i redditi reciproci è forte, nonostante la parità di tempi di permanenza, i giudici prevedono ugualmente un assegno, che consente ai figli di godere, anche quando stanno con il genitore economicamente più debole, di un tenore di vita non così diverso e deteriore.

Anche il concetto di «capacità lavorativa» è applicato molto spesso e largamente dai giudici. A volte si presentano genitori che, sostenendo di non lavorare oppure di lavorare in un’attività che «malauguratamente» è in rosso da anni, credono di scamparsela, mentre invece i giudici li condannano comunque a versare un mantenimento per i figli, considerando non la situazione attuale, ma la loro capacità lavorativa potenziale.

La legge vigente, insomma, non è a favore di tuo marito.

Su un piano più generale, va ricordato che la famiglia, come cennato prima, non è una società commerciale, che è un contratto, e non si basa mai su un rapporto di tipo sinallagmatico, cioè su un equilibrio tra prestazione e controprestazione, cosa che è invece tipica dei contratti.

Se io, ad esempio, ti vendo un computer dietro pagamento di un prezzo, quando tu poi questo prezzo non me lo paghi, io sono legittimato a non consegnarti il computer, c’è anche un antico brocardo latino che esprime questo inadimplenti non est adimplendum. Perché è un rapporto sinallagmatico in cui devono esserci entrambe le prestazioni, se una viene meno può essere sospesa anche l’altra.

La famiglia non funziona così, la famiglia è un contesto in cui tu consegni il computer anche quando chi lo prende non ne paga il prezzo. Non so ad esempio quante volte ti è capitato di comprarne uno per i tuoi figli… Ma vale anche nei rapporti tra i coniugi.

Insomma, in famiglia la regola non può assolutamente mai essere quella per cui le «prestazioni» dei due coniugi devono stare in corrispondenza tra loro, ma quella per cui ognuno deve fare il massimo che può per l’altro coniuge e per i figli.

Questo prima di tutto a livello concettuale, ma poi anche a livello pratico.

Come si calcolerebbe con precisione il contributo di ciascun coniuge, infatti? Se la moglie sta a casa, accudisce i figli, gestisce la casa stessa, prepara i pasti, cura le pulizie e così via, secondo lo schema classico e tradizionale di molte famiglie, e il marito può così, solo grazie al lavoro casalingo della moglie, lavorare «fuori» e guadagnare molto, quei molti guadagni che nominalmente sono solo del marito, non sono anche in realtà metà della moglie, grazie alla quale si sono potuti maturare e senza il cui lavoro non si sarebbero mai potuti avere?

Questa era ed è la logica alla base dell’istituto della comunione dei beni come regime patrimoniale tra i coniugi, logica che permane anche nelle coppie come la tua dove hai la separazione dei beni perché è una realtà fattuale anche prima che giuridica.

Per me, tuo marito su questo sbaglia. Per lavorare su questo «nodo», consiglio, considerato che siete ancora sposati, alcune sedute di mediazione familiare da un bravo professionista.

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Parità di tempi di permanenza dei figli presso i genitori: ma de che?

ci terrei ad avere una tua opinione sul disegno di legge in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia della bigenitorialità presentato a Pillon e se secondo te verra’ approvato.

Non parlo molto volentieri di progetti di legge. Una delle tante cose sbagliate che fanno i media e i blog che si occupano di informazione giuridica, come ho sottolineato in questo post, è di parlare di progetti di legge, specialmente se di iniziativa governativa, presentandoli come «novità normative», con la conseguenza che molta gente, poi, si presenta a studio per far valere norme giuridiche in realtà mai, poi, approvate. Si alimentano speranza, illusioni, si generano falsi affidamenti… una cosa per me molto brutta.

La qualità dell’informazione giuridica in Italia è infima e io non ho nessuna intenzione di accodarmi con questo blog a questo livello, ma cerco sempre, anche se a volte mi scappa qualche parolaccia, di tenerlo in modo che sia utile, preciso, serio, affidabile e originale.

Sulla premessa, dunque, che, almeno al momento, stiamo letteralmente parlando del nulla, perché non c’è nessuna novità legislativa, ma solo una iniziativa di cui si sta discutendo, si possono fare le seguenti osservazioni.

Intanto, non sono purtroppo in grado di sapere se un progetto di legge verrà approvato. E credo che non lo possa sapere davvero nessuno, dal momento che dipende tra l’altro dalla continuazione di un governo che, come sempre in Italia, può cadere da un giorno all’altro in occasione di particolari snodi politici.

Detto questo, c’è da dire che questo progetto si colloca nel solco delle linee programmatiche indicate nel celebre «contratto di governo», dal momento che anche in quel documento di parla di parità di tempi di permanenza presso ciascuno dei genitori e mantenimento diretto. Ciò dovrebbe rendere più probabile l’approvazione del progetto, anche se non si sa mai, ci sono mille cose che possono intervenire.

Concludo aggiungendo che la parità di tempi di permanenza è sicuramente un bel concetto, e anche giusto, ma poi la sua realizzazione concreta si scontra con la situazione lavorativa ed occupazionale dei genitori.

Se la mamma non lavora, ad esempio, mentre il padre sì, che senso avrebbe far stare i figli 3 o 4 giorni alla settimana con la baby sitter del padre, mentre costui è al lavoro, quando potrebbero stare con la madre che è invece a casa? O anche viceversa, se vuoi. Ma è difficile trovare famiglie di separati in cui i genitori sono lavorativamente impegnati sempre per lo stesso numero di ore.

In conclusione, a me sembra che sia anche un po’ l’ennesima operazione di «marketing politico»: si buttano dei bei concetti in pasto al popolo, si raggranellano consensi e voti, poi saranno cazzi, come al solito, degli operatori, ad applicare le norme così giulivamente approvate.

E vedrai che purtroppo non mi sbaglio neanche stavolta.

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Parità di tempi: linee guida da Brindisi.

Note introduttive.

Il tribunale di Brindisi, da marzo del 2017, ha diffuso alcune linee guida operative che vanno nel senso di garantire la parità di tempi di permanenza dei figli di genitori separati presso ciascun genitore, con conseguente mantenimento diretto.

Mi sembra opportuno ripubblicarle di seguito, mettendole a disposizione di tutti i lettori del blog.

Questo orientamento è in linea con quanto previsto da altri tribunali della Repubblica e con il contratto di governo sottoscritto da Lega e M5S che, in tema di famiglia, è proprio imperniato sulla previsione di riforme anche legislative dirette a realizzare la parità dei tempi e il mantenimento diretto.

Personalmente, prima di lasciarti alla lettura delle linee guida di Brindisi, che, in attesa di riforme legislative, adesso sono un punto di riferimento importante, mi sento di fare le seguenti osservazioni:

  • la realizzazione effettiva della parità di tempi di permanenza dei figli presso ciascun genitore dipende sempre, in ultima analisi, dalla situazione della famiglia e dei suoi singoli membri; se un genitore lavora tutto il giorno, mentre l’altro non lavora o lavora part time credo sia difficilmente ipotizzabile una parità «secca», a meno di non pensare ad onorare così tanto il principio della parità da far stare i figli con una baby sitter pagata dal genitore cui spetterebbero piuttosto che con l’altro che li potrebbe accudire direttamente
  • nella famiglia organica, che si è avuta per secoli prima che la modernità la rendesse una specie rara, a partire dagli anni 70 per lo più, l’organizzazione era fondata proprio sulla divisione dei ruoli, dove il padre svolgeva per lo più lavoro fuori casa, mentre la madre provvedeva alla cura della casa e dei figli
  • il superamento della famiglia organica in nome di una uguaglianza tra i sessi che è, in natura, inesistente, si pone, a mio giudizio, in insanabile e netto contrasto con la biologia dell’uomo e l’antropologia. Fatto questo gigantesco pasticcio, che è stato voluto solo per far entrare la donna nel mondo del lavoro nell’industria, in modo da metterla in concorrenza con l’uomo ed ottenere prestazioni a prezzo sempre minore (come sta avvenendo in questi giorni con la nuova tratta degli schiavi dall’Africa, ben camuffata sotto il politicamente corretto termine delle «migrazioni» e dell’«accoglienza»), le «soluzioni» non possono che essere traballanti pasticci, perché costruite comunque su di un terreno insano
  • la parità dei tempi, oggi così di gran moda, così come l’ascolto del minore, spacciati per grandi conquiste sociali e giuridiche, sono temi che non riescono ad appassionarmi nè a commuovermi in alcun modo: quanto all’ascolto del minore, l’unica cosa che i minori direbbero – se solo trovassero qualcuno disposto ad ascoltarli e, soprattutto aiutarli, davvero – sarebbe che vorrebbero il papà e la mamma dentro ad una stessa casa e innamorati l’uno dell’altro, mentre tutto il resto sono cose di pressochè nessuna importanza («voglio stare più dal papà perché ha la playstation / dalla mamma perché mi porta a fare shopping»)
  • le uniche riforme legislative che mi potrebbero entusiasmare, o comunque quelle di cui ci sarebbe bisogno, sarebbero quelle che partissero dalla constatazione che l’uguaglianza uomo e donna è stato solo un grande inganno, che la famiglia deve essere organica per funzionare bene, con conseguenti ruoli diversi. Mi rendo conto che nel panorama politico, costituzionale e sociale attuale dire queste cose è peggio che bestemmiare la Madonna, ma è la verità e qualcuno deve pur testimoniarla.  Al netto di questo, le vere riforme da fare sarebbero di sostegno alle famiglie, quindi non costruire sistemi sempre più perfetti per organizzare quei fallimenti che sono le separazioni, ma sistemi efficienti e capillari sul territorio per cercare di evitare quanto più possibile le separazione e far sì che le coppie, specialmente quando ci sono dei figli, trovino o ritrovino le motivazioni per continuare a vivere insieme, cosa che ha un profondo valore individuale e sociale, dal momento che le crisi familiari sono un cancro della società.

Sarò fissato, ma l’unica via di uscita per le crisi familiari, sia a livello individuale che sociale, è quello di tornare a lavorare sui cuori. Le novità giuridiche possono essere positive, come in questo caso, ma si lavora qui solo per contenere dei danni. La separazione e il divorzio non sono un «diritto», ma solo un tragico fallimento, così come l’aborto; non sono conquiste ma vergogne: provate a guardare tutto dal punto di vista di chi ne è vittima, cioè i bambini, e tutto sarà completamente chiaro.

Vi lascio adesso alle linee guida di Brindisi. Il testo è quello ufficiale diramato da quel tribunale.

Linee guida per la sezione famiglia del Tribunale di Brindisi

La crisi della giustizia in Italia affonda le sue radici, in generale, essenzialmente nella lentezza dei processi, che spiega la maggior parte delle condanno subite a livello internazionale. Per quanto riguarda il diritto di famiglia il malessere e? aggravato da un insieme di ragioni, principalmente riconducibili a:

  1. a)  la divaricazione tra legge e prassi, per effetto della quale le aspettative create dalla riforma del 2006 (affidamento condiviso) vengono spesso disattese dal provvedimento, per cui chi se ne sente penalizzato tende o a reclamarlo – tornando dal giudice – o a non rispettarlo, ugualmente provocando per iniziativa dell’altra parte un nuovo ricorso alla giustizia;
  2. b)  lo scarsa utilizzazione delle forme alternative di risoluzione delle controversie, a dispetto del loro moltiplicarsi

Per quanto riguarda il punto a), in effetti esistono motivi non secondari per orientare il Tribunale di Brindisi verso una lettura delle norme sull’affidamento che appaia piu? in linea non solo con buona parte della dottrina, ma anche con le indicazioni che giungono dall’Unione Europea, dalle Convenzioni alla quali l’Italia ha aderito, dalle risultanze di accreditati studi scientifici come pure, in t~mpi piu? recenti, dalle ;valutazioni di enti par<;lllelial sistema giudiziario, nonche? interni ad esso. A titolo di esempio, si puo? ricordare che:

Con la risoluzione n. 2079/2015 (firmata anche dall’Italia) il Consiglio d’Europa ha invitato gli Stati membri a: assicurare l’effettiva uguaglianza tra genitori nei confronti dei propri figli (5.3); eliminare dalla loro legislazione qualsiasi differenza tra i genitori che hanno riconosciuto il loro bambino basandosi sul loro stato coniugale (5.4); promuovere la shared residence, definita nella relazione introduttiva n. 13870 “come quella forma di affidamento in cui i figli dopo la separazione della coppia genitoriale trascorrono tempi piu? o meno uguali presso il padre e la madre” (5.5).

La bonta? e superiorita? del modello realmente (e non solo nominalmente) bigenitoriale ai fini della tutela del superiore interesse del minore trova fondamento in oltre settanta ricerche, di conclusioni concordi, effettuate con metodo longitudinale analizzando centinaia di migliaia di casi (si vedano, tra i piu? recenti review quelli di Linda Nielsen (Wake For~st university, 2014) e quello di Hildegund Suenderhauf (Universita? luterana di Norimberga, 2013). Sono ivi mostrati anche i danni che i minori subiscano per effetto della frequentazione di uno dei genitori per un tempo inferiore a un terzo del tempo totale (come avviene quando un genitore ha contatti con i figli solo a w-e alternati e per un pomeriggio settimanale). Ancora piu? attuale e? poi lo studio di Emma Fransson et al. (Svezia, gennaio 2017) che attesta che i figli allevati in regime paritetico non accusano disagi maggiori dei figli di genitori non separati, a differenza di quanti crescono in affidamento esclusivo. Non a caso l’adozione di modelli paritetici di affidamento e? in netta e costante ascesa nei paesi occidentali e i genitori di livello culturale piu? elevato – e quindi meglio orientati e informati su cio? che giova ai figli – si orientano in misura nettamente maggiore verso le formule di affidamento concretamente bigenitoriali rispetto alle coppie di modesta cultura.

La dottrina (ex multis M. Finocchiaro, Arceri, Costanzo, De Filippis, Maglietta, Russo… ecc.) ha ripetutamente fatto osservare la scarsa fedelta? della giurisprudenza alle norme introdotte dalla legge 54/2006.

– La stessa cosa e? stata fatta notare anche da ufficiali organi di stato o enti da esso accreditati. Si veda, ad es., il giudizio espresso dal MIUR nella circolare 5336 (2 settembre 2015): “va constatato che, nei fatti, ad otto anni dall’approvazione della legge sull’affido condiviso, questa non ha mai trovato una totale e concreta applicazione”.

– Ancora piu? drastica e allo stesso tempo inoppugnabile, basandosi su dati oggettivi, e? la conclusione alla quale giunge l’Istituto Nazionale di Statistica (Report novembre 2016, pag. 13), sulla base di una complessa analisi dei questionari compilati dalle coppie in separazione nel lunghissimo arco di tempo dal 2000 al 2015 – ovvero passando attraverso la riforma del 2006 : “al di la? del! ‘assegnazione formale dell’affido condiviso, che il giudice e? tenuto a effettuare in via prioritaria rispetto al! ‘affidamento esclusivo, per tutti gli altri aspetti considerati in cui si lascia discrezionalita? ai giudici la legge non ha trovato effettiva applicazione” .

  • –  D’altra parte neppure e? possibile sperare che nuovi interventi normativi possano porre argine a tali prassi distorte, visto che, viceversa, finora hanno provveduto piuttosto a confermarle e consolidarle. Ne e? esempio il D.lgs 154/2013 che, modificando le norme sull’affidamento dei figli in assenza di delega (in qualche parte, anzi, in senso opposto alla delega ricevuta) ha, ad es.: introdotto l’obbligo di concordare la “futura” residenza “abituale” dei figli; intaccato il loro diritto ad essere sentiti subordinandolo alla valutazione del magistrato dell’utilita? di farlo; posto l’interesse dei figli di genitori separati in subordine rispetto a quello del coniuge debole nell’assegnazione della casa familiare; e cosi? via.
  • –  Infine, a queste oggettive e convincenti risultanze si affianca la constatazione che anche presso la Suprema Corte non manca chi ammette che la legge prevede altro (ad es., si veda Cass. · 23411/2009, est. Dogliotti: “l’assegno per ilfiglio” puo? essere disposto “in subordine, essendo preminente il principio del mantenimento diretto da parte di ciascun genitore”).

    D’altra parte, per quanto riguarda il punto b), ovvero i metodi ADR che appaiono piu? efficaci e maggiormente consigliabili, non appare ragionevole che, nel momento in cui si pensano e si attivano lodevolmente una quantita? di procedure tutte rivolte al contenimento del contenzioso familiare e/o a una sua soluzione extragiudiziale – dalla negoziazione assistita al rito partecipativo, dal diritto collaborativo alla coordinazione genitoriale – non si pensi di disciplinare e incentivare la mediazione familiare, notoriamente il piu? efficace e sperimentato in ogni parte del mondo di tali strumenti, oltre tutto oggetto da tempo di una precisa sollecitazione sovranazionale. Difatti, gia? dal 1998 la Raccomandazione R (98) 1 del Comitato dei Ministri del Con$iglio di Europa ha fatto notare agli stati membri la necessita? di promuovere con ogni mezzo la Mediazione familiare, sulla base del danno psicologico che i conflitti familiari inducono nella prole, del deterioramento economico che provocano allo stato e del danno sociale che consegue ali’ abnorme dilatarsi del contenzioso.

    Concludendo, questo Tribunale ritiene, in aggiunta agli evidenti criteri di ragionevolezza e logica giuridica evidenziati d quanto precede – che non si possa non tenere conto del fatto che da parte di un numero crescente di magistrati e tribunali e? in atto una costante evoluzione verso una piu? rigorosa e fedele adesione ai principi della riforma del 2006 (tra i vari, Perugia, Catania, Salerno, ecc ), circostanza che “obbliga” questo tribunale a fare una scelta – che non puo? essere che l’adeguamento a cio? che appare meglio argomentato – non potendosi privare i cittadini della certezza dei diritti in merito ad aspetti cosi? delicati come quelli che appartengono alle relazioni familiari.

Per avviare questo processo, che si augura fruttuoso, intende anzitutto sottoporre alle categorie interessate le conclusioni alle quali si e? giunti per superare le principali criticita?

Aspetti operativi principali

Si allega un modulo con le “Istruzioni per l’uso” – redatto in collaborazione con l’avv. Mariella Fanuli e il Prof. Marino Maglietta (ass. Naz. Crescere Insieme) – dei cui contenuti potranno giovarsi qualitativamente le coppie che intendono definire consensualmente un affidamento condiviso dei figli, sia chiedendo al giudice l’omologazione dei loro accordi, sia redigendo il relativo documento all’interno dellaNegoziazione assistita.

I punti essenziali e qualificanti che si raccomanda di rispettare sono:

La residenza dei figli ha valenza puramente anagrafica, mancando qualsiasi differenza giuridicamente rilevante tra il genitore co-residente e l’altro

– Nella stessa filosofia e per le stesse ragioni, i figli saranno domiciliati presso entrambi i genitori

– ‘La scelta della “residenza abituale”, sventuramente collocata attualmente in sede inappropriata, sara? definita con riferimento alla regione o allo stato in cui i figli sono abituati a vivere, al solo scopo di definire il giudice competente in caso di allontanamento unilaterale di uno dei genitori assieme ai figli.

– La frequentazione dei genitori avverra? ispirandosi al principio che ciascun genitore dovra? partecipare alla quotidianita? dei figli, superando l’obsoleta distinzione tra genitore accudente e genitore ludico, che gia? porto?, fino dal 1987 all’introduzione dell’affidamento congiunto (si veda reklazione in Senato del Sen. Lipari). Conseguentemente, ai figli dovranno essere concretamente concesse pari opportunita? di frequentare l’uno e l’altro genitore, in funzione delle loro esigenze, all’interno di un modello di frequentazione mediamente paritetico. Cio? non significa, a parere di questo tribunale, che i figli in ogni caso debbano trascorrere necessariamente tempi identici presso ciascuno di essi. Potra? anche accadere che alla fine di un anno si constati che la presenza di un genitore e? stata (in misura ragionevole) piu? ampia di quella dell’altro, ma cio? deve essere accaduto in conseguenza delle casuali esigenze dei figli in

quell’anno, non per una imposizione legale stabilita a priori. In altre parole, se le cose sono andate cosi?, poteva anche accadere il contrario, con l’unica eccezione di oggettive e dimostrate condizioni di impossibilita? materiale, quale puo? essere, ad es., l’allattamento o una distanza tra le abitazioni tale da non consentire di spostarsi dall’una all’altra in tempi ragionevoli. Questo tribunale e? consapevole del fatto che potra? accadere che un padre fortemente impegnato nel lavoro nei giorni in cui i figli sono rimessi alla sua custodia si appoggi alla famiglia di origine ma, a parte il fatto che la frequentazione degli ascendenti ha una sua tutela anche giuridica essendo considerata costruttiva della personalita?, occorre pensare che non meno “censurabile” sotto questo profilo sarebbe il caso di una madre collocataria che, proprio perche? schiacciata dalla cura esclusiva dei figli, richiede l’aiuto di una baby-sitter: situazioni nei confronti delle quali nessuno ha mai protestato. Quanto meno la presenza equilibrata dei due genitori divide il sacrificio e riduce il rischio di interventi esterni.

Naturalmente gli spostamenti potranno avvenire secondo le richieste dei figli e l’accordo tra i genitori solo se e quando i genitori avranno raggiunto una sufficiente maturita? e messa una sufficiente? distanza dalle ragioni della rottura. Inizialmente – ma anche nel seguito, comunque, per sapere come regolarsi in caso di contenporanei impegni dei genitori – ci sara? un calendario con tempi equilibrati. Il modulo ne da? un paio di esempi.

Assegnazione della casa familiare. La soppressione della figura del “genitore collocatario”, non previsto dalla legge, semplifica anche il problema dell’assegnazione della casa familiare, fonte delle piu? aspre e durature contese, per il frequente coinvolgimento degli interi gruppi familiari. Adesso se la frequentazione e?, secondo legge, equilibrata e continuativa con entrambi i genitori la casa resta al proprietario senza possibilita? di contestazioni. Se appartiene ad entrambi si valutera? quale sia il costo della locazione di un appartamento di caratteristiche simili e al genitore che ne esce verra? scontato il 50% di tale cifra nel calcolo del mantenimento.

Quanto al mantenimento, dal comma I dell’art. 337 ter e.e., che anticipa e si salda con il successivo comma IV, discende che ciascun genitore deve assumere una parte dei compiti di cura dei figli, restando obbligato a sacrificare parte del proprio tempo per provvedere direttamente ai loro bisogni, comprensivi della parte economica. Cio? vuol dire che la forma privilegiata dal legislatore, alla quale questo tribunale si uniforma, e? quella diretta, non potendosi ritenere assolti i doveri di un genitore dalla fornitura di denaro all’altro (forma indiretta) mediante un assegno che deve restare residuale, con valenza perequativa, e limitato ai casi in ‘cui per l’abissale distanza delle risorse economiche (ad es., famiglia monoreddito) non sia possibile compensare le differenze di contributo attribuendo al genitore piu? abbiente i capitoli di spesa piu? onerosi.

Quanto alle “Spese straordinarie”, data l’estrema opinabilita? della loro classificazione (esiste una miriade di protocolli per definirle, tutti piu? o meno diversi tra loro), questo tribunale ritiene che sia piu? corretto e convincente adottare il criterio suggerito dalla Suprema Corte con decisione 16664/2012, che divide le spese non in ordinarie e straordinarie, ma in prevedibili e imprevedibili, evitando l’attuale confusione tra le spese effettivamente imprevedibili e quelle non quotidiane (tipo spese scolastiche), ma prevedibilissime. Pertanto appare corretto e funzionale assegnare in partenza le spese prevedibili all’uno o all’altro genitore per intero in funzione del reddito e stabilire che le imprevedibili verranno divise a momento in proporzione delle risorse. –

L’ascolto del minore. Per effetto delle modifiche introdotte all’art. 337-octies e.e. dal D.lgs 154/2013 in eccesso di delega, questo subordina oggi l’ascolto del minore almeno dodicenne ad una valutazione del giudice che cio? non sia “manifestamente superfluo”. Al di la? delle perplessita? che suscita una valutazione che dovrebbe avvenire prima di averlo sentito, cioe? senza sapere cosa potrebbe voler dire, l’art. 315 bis attribuisce al minore il diritto all’ascolto senza condizionamenti. Pertanto, dovendosi necessariamente scegliere tra due prescrizioni incompatibili, essendo la fonte della seconda norma il Parlamento stesso (Legge 219/2012) non si puo? optare che per la versione di cui all’art. 315 bis e.e. In pratica quanto meno l’ascolto, se richiesto, non puo? essere negato.

Infine, per incentivare il ricorso alla mediazione familiare si inviteranno le coppie a inserire il ricorso a tale strumento nell’ipotesi di contrasti insorti successivamente.

Concludendo, le presenti linee guida si collocano certamente in un contesto sociale che conserva vecchi retaggi e tradizionali attribuzioni di ruolo. Pertanto si e? ben consapevoli che gli obiettivi che si prefiggono non saranno raggiunti immediatamente, ma richiederanno un certo tempo. D’altra parte, iniziare appare indispensabile, se si pensa che dall’introduzione dell’affidamento congiunto sono trascorsi 30 anni e la giurisprudenza e? variata solo nominalisticamente. Ma soprattutto se si pensa che le norme, invece, sono cambiate, per cui la scelta per il giurista non puo? essere che a loro favore.