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È nella sofferenza che Dio ci fa visita.

Il Signore mi mette continuamente in contatto con persone dal cuore indurito, piene di ferite, sopravvissute ai loro errori, ai loro peccati, in ultimo a loro stesse.

Cerco di capire il perché di questi incontri, dal momento che non ho soluzioni, non ne ho proprio…

Averne, addirittura, mi sembrerebbe irrispettoso di chi quelle ferite se le porta da tanti anni e ci convive come con altrettanti vecchi amici: per cui mi chiedo cosa potrei mai dire io a riguardo, la mia sarebbe solo presunzione, magari verrebbe persino scambiata per giudizio.

È da sfacciati tentare di risolvere problemi che le persone hanno faticato a gestire per anni, decenni; sarebbe persino, in qualche strana maniera, offensivo, perché molti problemi ormai fanno parte dell’identità dei loro portatori.

Non si può entrare che in punta di piedi, con delicatezza, nel dolore degli altri.

Quello che faccio è ascoltare.

Ecco il mio unico valore, quando mi parlano della loro sofferenza: non girarmi dall’altra parte, come probabilmente hanno fatto tutti gli altri (oggi la sofferenza è sconveniente e decisamente fuori moda), ma restare lì e metterci la mano dentro.

Ed ecco la mia scuola, il corso sul campo che mi ha fatto capire cosa c’è nel vero cuore dell’uomo, cosa desidera, cosa lo spaventa, cosa lo rende felice, cosa lo commuove e lo spinge a fare, a volte,
l’impossibile.

Che, di solito, è l’esatto contrario di quello di cui si è convinto con la mente.

È anche così che si diventa, si ritorna, si cresce ancor di più cristiani, perché è nella sofferenza, con la sofferenza, che Dio ci fa più spesso visita, che lo sentiamo ancora più vicino.

Allora forse tutti questi incontri, tutte queste storie nere che mi vengono versate nelle mani, nelle mie mani ferme ed immobili, intente solo ad ascoltare, sono l’esaudirsi della mia preghiera, di avere sempre di più Lui nel cuore, perché tutte le preghiere non sono altro che un desiderio e una richiesta di connessione, di stare più vicino. Anche da Dio, infatti, non vogliamo soluzioni, vogliamo più che altro sentircelo accanto.

E tutto questo, peraltro, deve esser vero, perché quanta compassione nasce, poi, per tutta questa umanità che sgomita per essere felice, che ci prova in tutti i modi, ma non ci riesce, quando forse basterebbe rinunciare al fare, per tornare semplicemente all’essere, e mettere via tutti i giudizi e le mentalizzazioni per accettarsi vulnerabili, limitati, imperfetti, persino dappoco, ma capaci, nonostante tutta questa imperfezione, di amare bene e davvero.

Le mie domande per te oggi sono queste:

  1. si vive meglio guardando il mondo e gli altri dalle mente, giudicandolo, o dal cuore, con compassione?
  2. si ama per essere amati indietro o solo perché è bello farlo, per poter vedere, o anche solo immaginare, un sorriso?
  3. quali sono le persone più importanti della tua vita, quelle più vicine a te?
  4. ti accorgi quando queste persone sono angustiate da qualcosa? Quando te ne accorgi, ti fermi ad ascoltarle?
  5. sei diventato un adulto o sei ancora, in tutto o in parte, un bambino?

Un abbraccio.

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«Dovete uccidere il vostro egoismo. Se non lo farete voi stessi, allora il Signore, martellata dopo martellata, vi spedirà tante disgrazie da far sì che questa pietra venga schiacciata.»

(Teofane il recluso)