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Fiducia, ascolto, fuori le cazzate: così si vince.

È bellissimo ammettere di non capirci un cazzo.

Sei coinvolto in un procedimento o in una vertenza legale e vuoi avere un grosso vantaggio competitivo sull’altra parte della lite che stai per affrontare?

C’è un primo passo molto importante da fare, che è difficile più a livello psicologico che altro, che però ti conferirà un vantaggio netto su tutti gli altri soggetti coinvolti nella vertenza.

Questo passo è: ammettere di non capirci un cazzo e fidarti del tuo avvocato.

Ne ho già parlato nel post sull’utilizzo della posta elettronica nel mondo del lavoro contemporaneo e la tematica ha molto colpito, torno quindi sul tema con un post a parte.

Il primo problema: ripulire la testa.

Un grosso problema che presentano i clienti degli avvocati nel mondo di oggi è quello di arrivare a studio regolarmente con la testa infarcita di cazzate.

Queste cazzate sono state accuratamente raccolte, di solito, con qualche ricerca su google, parlando con un cancelliere del giudice di pace di Canicattì in pensione, con un cugino che ha affrontato una causa civile che non finiva più – pensa! – 30 anni fa, con uno che una volta ha visto un avvocato entrare in tribunale e, persino, da un figlio o altro parente laureato in giurisprudenza.

L’illusione della laurea in giurisprudenza.

Tra tutte queste «fonti di cazzate» – chiamiamole così – che, peraltro, sono solo alcuni esempi, dal momento che qualsiasi elemento può essere prezioso agli occhi di una persona che comunque non si fida degli avvocati e vuole disperatamente capirci qualcosa da solo, la peggiore di tutte, perché più insidiosa, è sicuramente quella del parente laureato in giurisprudenza.

La laurea in giurisprudenza non conferisce affatto la facoltà di capire come deve essere trattato un problema legale.

Per acquisire in modo completo questa competenza bisogna:

a) aver svolto la pratica legale per almeno dieci anni;
b) non avere la testa piena di segatura (testa con la quale invece una laurea in giurisprudenza si può prendere benissimo).

Per questo la laurea in giurisprudenza del parente è la fonte di cazzate più insidiosa, perché può apparire autorevole ma non lo è affatto.

Chi si laurea in giurisprudenza in Italia non capisce, quando esce, ancora nemmeno il diritto, cosa per la quale è necessario studiare per diversi anni di più. Se si considera che il diritto raramente serve per definire la corretta strategia di trattazione di un problema legale, si può ben capire che un laureato in giurisprudenza ha davvero poche carte in più da spendere di una persona comune. È un soggetto che si è letteralmente fermato a metà e, da quella posizione, tutto quello che può pensare o dire può solo fare enormi danni.

Chiudiamo comunque la parentesi e torniamo al tema principale.

Il tempo che si perde per la pulizia.

A volerlo ridurre ai minimi termini, il punto è che, se si inizia a trattare un problema legale con un appuntamento di un’ora, la prima mezzora di tempo – peraltro tempo di un avvocato, quindi pagato non a poco prezzo – viene buttata per svuotare la testa del cliente da tutte le cazzate che lui stesso ci ha messo dentro e che non solo non servono a niente ma possono essere infinitamente dannose per la trattazione della vertenza.

Partiamo, come sempre, dalla realtà.

La realtà l’abbiamo già accennata ed è che una persona che non ha preso una laurea in giurisprudenza, un titolo di abilitazione, non ha svolto la professione, risolvendo problemi ed affrontando casi, per almeno 10 anni non è assolutamente in grado di capire come debba o possa essere trattato un problema legale.

Non è in grado nemmeno di averne un’idea.

Ci sono troppi profili di diritto, sia sostanziale che processuale, per cui è inutile.

Non si può neanche spiegare più di tanto – questa è la cruda e per molti poco accettabile verità.

La favoletta per cui l’avvocato deve illustrare al cliente la propria strategia, il cliente la deve condividere e poi si parte funziona fino ad un certo punto perché il cliente non la può capire mai davvero e l’avvocato, per spiegare cosa conviene fare nel suo caso, non può dargli in mezzora spiegazioni equivalenti ad un corso di laurea quinquennale in legge e all’esperienza accumulata in dieci anni.

Si può parlare, evidentemente, solo per sommissimi capi.

La profonda tenerezza di quelle persone che «Ho già capito come funziona, ho parlato con un geometra che fa le CTU in tribunale che mi ha detto questo e quello…».

Che bello, mi fa ridere ogni volta ancora oggi dopo ventidue anni che la sento.

Il vero motivo di tutte queste cazzate.

Bene. Detto questo, andiamo a vedere perché la gente si punisce così, si priva della possibilità di poter condurre efficacemente la vertenza che le sta a cuore.

Magari ci sono varie spiegazioni, ma il fattore principale è uno solo – anche qui dobbiamo regalarci una verità: la gente non si fida degli avvocati.

Questo è sicuramente legittimo e, in alcuni casi, molto più circoscritti di quel che si crede comunemente, anche conveniente.

Ma un rapporto basato sulla non fiducia, dove c’è un soggetto che deve continuamente controllare l’altro in una materia in cui non ha alcuna speranza di capire un cazzo, può mai funzionare?

Facciamo un esempio.

Sei un imprenditore. Devi assumere una persona per fare un certo lavoro. Sai che non è in grado di farlo, ma pensi che facendola controllare da un’altra persona possa svolgerlo. La assumi lo stesso? Non ti conviene forse assumere un’altra persona che sembra in grado di svolgere da sola questo compito?

La realtà è che tutti i rapporti umani che si basano sulla convinzione di una delle due parti che sia opportuno cambiare l’altra sono destinati a naufragare.

Funzionano i rapporti con le persone che ti vanno già bene così come sono e devi solo pregare che non cambino più di tanto e ringraziare Dio di averli così.

Quindi la «brutta notizia» è che la fiducia del cliente nel proprio avvocato è radicalmente irrinunciabile.

No fiducia, no party!

Questo è il messaggio da portare a casa.

Non pensi di poter avere fiducia nel tuo avvocato? Cerca di capire bene questo punto, valutando al netto delle cazzate di cui è magari piena la tua testa e di cui prima abbiamo fatto degli esempi.

Ma se ritieni che non sia degno di fiducia cambialo, tutto il resto è inutile. Non lo puoi controllare, aiutare, stimolare, incoraggiare, fargli fare un lavoro che non sei in grado di capire.

Ascoltare gli avvocati: il vero segreto.

Quando hai trovato un avvocato in cui hai fiducia – meglio ovviamente all’inizio del rapporto, piuttosto che cambiarlo in corso di vertenza – allora semplicemente fai quello che volta per volta ti consiglia lui.

Ascoltalo.

Questo è molto importante. Oggigiorno, la gente paga gli avvocati in media 100 euro all’ora per andare a sentire cosa ne pensano del loro caso e poi non li ascolta.

Parla per sfogarsi, poi quando è ora di aprire le orecchie per sentire e capire – non da google, non dal cugggggino, non dal carabiniere in pensione, non dal nipote laureato in giurisprudenza, non dalla televisione, ma da uno che è veramente in grado di dire cosa bisogna fare e che hanno pagato apposta – non lo fa, non ascolta!

Qui c’è il compito più interessante dell’avvocato, quello di fare da cerniera tra il mondo della pratica legale e gli utenti finali, adeguando anche lo stesso linguaggio a quello dell’utente del caso che c’è da affrontare volta per volta, per fargli capire davvero quelle linee strategiche essenziali che riguardano la sua vertenza.

Ma anche qui il cliente a volte non fa la sua parte. Rifiuta di abbandonare le cazzate cui ormai si è affezionato, non si dispone ad ascoltare, continua a suonare una lamentela.

Come se questo potesse servire a qualcosa!

Qui l’avvocato deve tirare fuori tutta la sua pazienza per disseppellire il cuore e il cervello del cliente e riuscire a parlare davvero con lui.

Ma che davero?

In tutto questo, a volte arriva qualcuno che chiede «Ma io devo pagare 100 euro solo per parlare del mio problema?»

Il mio messaggio per costoro è un semplice: andate affanculo.

Lo dico a questo genere di utenti, per fortuna pochi, che ogni tanto si affaccia.

Non sapete parlare, non sapete ascoltare, non avete idea di cosa comporta il problema che avete, ve lo siete probabilmente procurati da soli con la vostra stessa dabbenaggine e io, che sono l’unico che può davvero aiutarvi, anche se facendo il quadruplo della fatica vista la partenza, dovrei dedicarvi gratuitamente il mio tempo e la mia attenzione, sottraendolo ad altri come voi, più assennati di voi, che li hanno regolarmente acquistati e a cui li devo?

Andate affanculo, that simple.

Ecco, un primo grande aiuto. Uno che vi manda affanculo. Una funzione formativa di livello apicale. Purtroppo, non tutti gli avvocati lo fanno e così probabilmente continuerete a cuocere nel vostro brodo.

Il messaggio da portare a casa.

Ma chiudiamo anche quest’altra parentesi.

Qual è il messaggio da portare a casa per chi ha un problema legale, capisce che l’unico che può aiutare a risolverlo è un bravo avvocato e vuole avere un rapporto sano e costruttivo con il proprio avvocato?

  1. Dimenticare tutto. Fare tabula rasa. Prendersi una giornata libera dal lavoro, chiedere un favore ad un amico e farsi dare ripetutamente un mattone – usate quelli pieni, non i forattoni – in testa finché non si sarà raggiunta l’amnesia completa. Bisogna scordarsi persino che esiste google, i carabinieri, i cugini, le lauree in giurisprudenza.
  2. Scegliere un avvocato che sia una brava persona, davvero intenzionato ad aiutare i propri clienti, con un minimo di intelligenza tattica e strategica, al di là della conoscenza del diritto. Attenzione, altra grande verità: per scegliere una brava persona, per capire se un avvocato è una brava persona, una persona autentica, non serve sapere assolutamente niente di diritto.
  3. Rassegnarsi ad avere fiducia pressoché completa in quell’avvocato e seguire i consigli e le indicazioni che, con la sua saggezza derivante dall’esperienza, fornisce.
  4. Rassegnarsi al fatto che le vertenze si vincono, si perdono, si pareggiano. L’importante è cercare di curarle nel modo migliore e l’unico modo per farlo è seguire i tre punti precedenti.

Ma non ringraziatemi.