Per tutti i consumatori, compresi quelli informatici, è di fondamentale importanza la “concorrenza”. Quando ci sono più fornitori di un bene o di un servizio, è ovvio che ciascuno di essi si industria per offrire il proprio prodotto al minor prezzo e con i maggiori vantaggi. Viceversa, quando il mercato è dominato da pochi soggetti, o addirittura da uno solo, è facile che il consumatore, di fronte alla classica alternativa “prendere o lasciare”, abbia la peggio. Il gioco della concorrenza è, insomma, una cosa fondamentale.
Lo dimostrano anche le difficoltà in cui incorre, quasi periodicamente, il “gigante” Microsoft. La celeberrima società è stata in passato accusata, ad esempio, di abusare della propria posizione, soffocando la concorrenza, in occasione del lancio di The Microsoft Network, incorporato all’interno del nuovo sistema operativo windows95. Più recentemente, è finita di nuovo nell’occhio del ciclone per aver tentato di imporre l’installazione del proprio browser per internet, Explorer, diretto concorrente nel noto Netscape navigator. C’è da dire che in questi casi i pericoli di restrizione della concorrenza sono reali: in un settore come quello informatico dove necessariamente vigono standards tecnici, imposti dalla consuetudine o dal mercato, è facile che si possa indebitamente tentare di sfruttare una situazione di fatto.
La legge prevede comunque diverse regole a tutela della concorrenza in generale.
Bisogna però distinguerne due categorie: un primo gruppo di disposizioni limitano la concorrenza ma non a vantaggio dei consumatori, bensì degli stessi colleghi imprenditori; un secondo gruppo di regole invece tutela più propriamente il consumatore. Le prime sono tradizionalmente contenute nella legislazione italiana, le seconde per lo più sono di origine comunitaria, anche se successivamente sono state recepite anche da noi.
La tutela degli imprenditori dagli atti di concorrenza sleale dei loro colleghi è tratteggiata, nelle sue linee fondamentali, dall’art. 2598 cod. civ., il quale individua e vieta tre categorie di atti vietati. Innanzitutto è punito chi usa nomi o segni distintivi (ad esempio marchi) di un’altra impresa o imita altri prodotti oppure in qualsiasi modo ingenera confusione tra i propri prodotti e quelli legittimamente fabbricati da un altro; quindi è sanzionato chi diffonde discredito sui prodotti di un’altra impresa oppure, all’opposto, si appropria dei pregi del prodotto di un’altra impresa (dicendo, ad esempio, che il suo prodotto è buono come quello di …). Infine, la legge punisce chi comunque compie una qualsiasi altra azione non conforme ai principi della correttezza professionale ed idonea a danneggiare l’altrui azienda. E’ ovvio che tutti questi casi possono danneggiare anche il consumatore, ma resta pur vero che i soggetti principalmente tutelati sono gli stessi imprenditori.
La conclusione è diversa, invece, per le norme contenute nei trattati istitutivi dell’Unione Europea e nella legislazione comunitaria. E’ precisamente l’art. 86 del Trattato che punisce lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante. Questa è, appunto, l’accusa più frequentemente rivolta a Microsoft: di abusare della sua posizione dominante sul mercato per conseguire vantaggi ingiusti, non derivanti dalla sua capacità imprenditoriale bensì da una situazione di monopolio o, comunque, di forza. L’art. 85 rafforza la tutela dichiarando incompatibili con il mercato comune tutti gli accordi tra imprese, le decisioni di associazioni di imprese e comunque tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra gli Stati membri in modo da falsare il giodo della concorrenza all’interno del mercato comune.
Questi principi, valevoli originariamente solo nei rapporti intracomunitari, sono stati, in seguito, recepiti nella legislazione interna italiana, con la creazione di una apposita autorità Antitrust (http://www.antitrust.it) che ha il compito di reprimere tutti quegli atti e comportamenti che possono appunto restringere o compromettere la concorrenza e alla quale ci si può rivolgere per tutti quei casi interni al nostro Paese, che non coinvolgono altri Stati comunitari.
2 risposte su “la concorrenza”
Ciao Tiziano, attualmente sono impiegata addetta al back Office vendite in una società che vende software, ho ricevuto un’ottima offerta di lavoro da un’altra società che nella proposta di contratto include una clausola di non concorrenza (per cui mi pagheranno 200 euro lordi ogni mese) con cui mi impegno a non lavorare per 2 anni dalla cessazione del rapporto di lavoro nel “campo dell’informatica”..la nuova mansione é per una figura commerciale tipo agente che nulla ha a che vedere con ciò che ho sempre fatto..questa espressione é così generica che presa alla lettera mi taglierebbe fuori da qualsiasi successivo lavoro impiegatizio attinente al mio background, in pratica secondo te significa che potrò andare a trattare solo nel campo alimenti abbigliamento etc o la clausola tende solo ad evitare che io ricopra lo stesso identico ruolo in un’altra azienda simile ? Grazie mille
È sicuramente un po’ troppo vasta, prova a chiedere di circoscriverla magari.