Mi è capitato di avere un problema con un programmatore. Ho scaricato da una rivista un programma shareware. Si chiama fantacalcio. Poi ho voluto registrarmi inviando 35000 lire per avere la versione completa. Ho inviato alla società di programmazione di Fano nelle Marche un vaglia telegrafico e ho aspettato 10 giorni. Nessuna risposta. Allora ho telefonato. Mi hanno rassicurato che sarebbe arrivata un’e-mail di conferma e – a seguire – un floppy. Ora sono passati altri tre giorni e nessuna risposta. Visto che circolano parecchi programmi shareware con quale fiducia si può acquistare a distanza? La cifra che ho speso (per nulla) è certamente bassa però se rilevata da diverse persone diventa lucrativo per il programmatore. Come il cittadino/navigatore è tutelato da queste cose?
Chi distribuisce un programma con la formula dello shareware sostanzialmente dà luogo ad una offerta al pubblico. L’offerta al pubblico non è altro che una proposta di contratto che tutti coloro che vogliono possono accettare. Più in particolare, sempre nel caso dello shareware, l’accettazione, per essere tale, non abbisogna di essere inviata per iscritto ma può realizzarsi tramite esecuzione, cioè tramite l’invio della somma richiesta dalla software house per concedere la licenza d’uso del software senza le limitazioni della versione shareware.
Tutto ciò per dire che, nel caso segnalato dal lettore, vi è un vero e proprio contratto, legalmente vincolante per entrambe le parti.
Il compratore, pagando il prezzo richiesto, ha già adempiuto ai suoi obblighi, mentre il venditore deve ancora adempiere al suo, fondamentale, di consegna della cosa.
Si ha quindi un inadempimento del venditore, di fronte al quale il consumatore ha, almeno in linea di principio, a disposizione tutti i mezzi offerti dalla legge. Ma questo, appunto, spesso solo in linea di principio o teorica, perché può essere spiacevole, anche per chi è pienamente dalla parte della ragione, dover impiegare tempo e danaro per operazioni che, dal punto di vista strettamente economico, hanno valore irrisorio come quella in questione.
Il fatto è che, in questi casi, il consumatore si sente leso nella sua dignità e questa offesa è sicuramente peggiore di quella monetaria, che rimane trascurabile. Anzi, spesso è proprio sull’esiguità del valore delle transazioni, singolarmente considerate, che operatori senza scrupoli speculano, ragionevolmente certi che tra gli “ingannati” quasi nessuno avrà determinazione sufficiente per … andare sino in fondo.
I rimedi utilizzabili in queste situazioni, comunque, sono diversi.
Chi vuole fare le cose al meglio, ed è disposto a sborsare danaro, deve ovviamente rivolgersi ad un legale libero professionista di fiducia che saprà tutelarlo al meglio predisponendo nel miglior modo i mezzi previsti.
Chi, invece, è indignato ma non abbastanza da essere disposto a spender più di tanto in danaro può provare a rivolgersi in proprio al Giudice di Pace competente, dal momento che per le cause di valore inferiore ad un milione la legge prevede che il cittadino possa accedere direttamente, cioè senza l’ausilio di un avvocato, a questo tipo di giudice. Ovviamente in questo caso però occorre mettere in preventivo diverse perdite di tempo per recasi alle udienze, fare le copie degli atti, richiedere le notifiche e compiere tutte le altre cose che, in altre situazioni, farebbe un avvocato. Infine, in alternativa, è possibile rivolgersi alle associazioni dei consumatori e degli utenti le quali sapranno comunque azionare iniziative opportune. Non sempre, invece, è consigliabile lanciare “campagne” contro questa o quella azienda su Internet, perché si rischia di essere denunciati per diffamazione.