Però, ovviamente, in questo modo non viene tutelato il lavoro, spesso davvero immane, di chi si prende la briga di selezionare il materiale e di renderlo disponibile in determinate, e più agevolate, forme. Pensiamo alle banche dati contenenti tutte le leggi e i testi normativi italiani: per realizzare opere di questo tipo occorrono cospicui investimenti in capitali e risorse umane. La possibilità di trovare giusta ricompensa di tali investimenti viene quindi vanificata se lo stesso materiale viene copiato da uno degli utilizzatori finali della banca dati e liberamente redistribuito. E’ un po’ come la famosa immagine del nano sulle spalle del gigante: qualsiasi persona, traendo profitto dal lavoro organizzativo altrui, potrebbe arrivare a distribuire, con pochissima fatica e spesa, a pagamento materiali che da sola non sarebbe mai riuscita a collezionare.
Tornando alle due società Alfa e Beta, ad un certo punto Beta, la proprietaria della banca dati, ha visto l’attività di Alfa ed ha iniziato a sospettare che le “rubasse” i dati. Quindi ha inserito appositamente degli errori al loro interno. Quando questi sono stati ritrovati, nella stessa sequenza e nello stesso modo in cui erano stati immessi, nel materiale di Alfa, si è raggiunta la dimostrazione del plagio. Il sito internet della società Alfa è stato sottoposto a sequestro e i suoi gestori sono stati incriminati per “frode informatica”, un reato previsto dall’art. 640ter del Codice Penale, che punisce chi, “alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico o telematico o intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico o ad esso pertinenti, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno”.
In questo caso, Beta, realizzatrice della banca dati, è stata in qualche modo protetta. Ma si è utilizzato uno strumento generico, la figura della frode informatica, non specifico. La Procura che si è occupata del caso ha utilizzato la frode informatica cercando di sopperire a quello che, allora, era una lacuna della nostra legislazione. E’ appunto per sopperire a ciò che è stata varata la legge sulla tutela delle banche dati. In tal modo, opere di questo tipo godranno di una protezione specifica, sia civile che penale, senza bisogno di ricorrere a figure generiche, il cui utilizzo è più contestabile.
Ecco perché non bastavano le leggi già esistenti sul diritto d’autore: i contenuti di una banca dati possono anche essere esenti da copyright, e pertanto liberamente ricopiabili. Quello, però, che si vuol tutelare è il lavoro di ricerca, selezione, messa a disposizione dei dati stessi svolto dal creatore della banca dati che lavora sì su dati di “pubblico dominio” ma ne agevola in modo spesso determinante l’accessibilità e la fruibilità.
Per questi motivi, la nuova legge definisce le banche dati come quelle che “per la scelta o la disposizione del materiale costituiscono una creazione intellettuale dell’autore … intese come raccolte di opere, dati o altri elementi indipendenti sistematicamente o metodicamente disposti ed invidualmente accessibili mediante mezzi elettronici o in altro modo”. Le banche dati per eccellenza sono quelle informatiche o telematiche, ma si noti che la legge tutela anche quelle cartacee o di qualsiasi altro tipo.
Oggetto di tutela non sono tanto i dati, che possono essere o non essere coperti da copyright, ma la strutturazione e organizzazione degli stessi, generata dal lavoro di ricerca e confezionamento del costruttore della banca dati.
Probabilmente si può dire che in un certo senso nasce, con la nuova legge, un nuovo genere di bene intellettuale, costituito da un’opera dell’ingegno che potrebbe dirsi “di secondo livello”, consistente nella strutturazione di opere intellettuali definibili invece come “di primo livello”. E’ importante notare che questo nuovo bene, per diventare oggetto di copyright, non deve, a differenza degli altri, avere il carattere della creatività o originalità, essendo sufficiente che sia il frutto di “investimenti rilevanti per la costituzione di una banca di dati o per la sua verifica o la sua presentazione” nonché dell’impegno di “mezzi finanziari, tempo o lavoro”.
Il diritto di chi fa una banca dati, chiamato dalla legge “costitutore”, nasce con la realizzazione della stessa e dura 15 anni (quindi molto meno del diritto di autore ordinario), decorrenti però dal completamento della banca dati ovvero dal suo aggiornamento; considerando, quindi, che queste opere nella quasi totalità dei casi vengono aggiornate continuamente, il diritto d’autore del “costitutore” è destinato a non esaurirsi … mai.
Per effetto delle disposizioni della nuova legge, quindi, l'”utente legittimo della banca di dati messa a disposizione del pubblico non può arrecare pregiudizio al titolare del diritto d’autore”. Vuol dire, in soldoni, che chi ha acquistato il diritto di utilizzare una banca dati, ad esempio, di testi normativi può farne uso solo per la propria attività personale o professionale, non può usarla per mettere in piedi una attività economica, del tipo distribuire a pagamento testi normativi, estraendoli dalla stessa. Sarebbe, insomma, troppo comodo profittare così del duro lavoro altrui…