Una notizia recentemente apparsa sui principali quotidiani ha fatto correre un vero e proprio brivido lungo la schiena a molti utenti Internet. Pare che l’ Inghilterra spenderà 75 miliardi di lire per costruire un centro di intercettazione e-mail. Lo avrebbe ammesso un portavoce del ministero precisando che le intercettazioni telematiche, come già quelle telefoniche, dovranno essere comunque autorizzate nell’ambito di specifiche indagini. L’MI5, il servizio segreto britannico, con questo nuovo centro avrà la capacità di monitorare tutti i messaggi e-mail mandati e ricevuti in Gran Bretagna. Il governo chiederà anche ai provider di attivare un collegamento con l’MI5, in modo che tutti i messaggi possano essere tracciati. Il centro decodiferà anche messaggi elettronici criptati, visto che, secondo una nuova norma che il governo britannico intende varare entro l’estate, la polizia potrà chiedere ad individui e società di consegnare le ‘chiavi’ dei computer, cioè i codici speciali per leggere messaggi criptati.
I “navigatori” anche di paesi diversi dal Regno Unito fanno bene ad essere allarmati perché non è difficile indovinare che centri come questo, magari anche con meno clamore, siano presto costruiti anche presso altri Stati, dove la rete rappresenta oramai un quotidiano strumento di comunicazione. Chiaramente gli scopi dichiarati di queste strutture sono non solo nobili ma doverosi: combattere la criminalità. Ma anche il comune cittadino ha diritto di essere tutelato dalle possibilità di illecita intrusione nella sua sfera privata.
La riservatezza della posta, anche elettronica, è tutelata dalla legge italiana, che punisce come reati i comportamenti di coloro che la violano, con le disposizioni del Codice Penale in materia di delitti contro la inviolabilità dei segreti (616 ss. Cod. Pen.). Però la stessa legge consente che, in determinati casi e per fini di prevenzione o repressione della criminalità, le Autorità, cioè la Polizia, i Carabinieri, la Guardia di Finanza, con o senza incarico della competente Procura della Repubblica, possano procedere ad ispezione postale ed anche a sequestro della corrispondenza.
Lo prevede l’art. 253 del Codice di Procedura Penale.
Se si tratta di plichi sigillati, le forze di polizia dovrebbero trasmetterli intatti alla Procura, salvo che la Procura stessa non decida di autorizzarne direttamente l’apertura. Il difensore del destinatario della corrispondenza ha diritto di assistere alla perquisizione, ma non di esserne avvisato, pertanto se nessuno avverte il destinatario tutto viene compiuto direttamente dalle Autorità e i soggetti coinvolti lo apprendono solo successivamente.
Per tutta la corrispondenza diversa dai plichi sigillati, la polizia può solo ordinare all’Ufficio Postale di sospenderne l’inoltro al destinatario, per un massimo di 48 ore entro le quali la Procura può decidere per il sequestro.
Il problema però è che, mentre con la posta tradizionale materialmente occorre un accesso fisico degli organi di polizia presso gli uffici postali per aprire la corrispondenza, con la conseguenza che una ispezione postale può al massimo essere illegittima ma non potrebbe mai comunque venire tenuta nascosta, con la posta elettronica c’è il rischio che questi centri di ispezione, nati per far bene, vengano utilizzati male, magari anche da settori deviati dello Stato stesso, dal momento che le ispezioni elettroniche potrebbero svolgersi in modo che l’utente finale ne rimanga del tutto ignaro e quindi, senza nemmeno il potere di tutelarsi di fronte a quelle eventualmente illegittime. Nessuno è in grado di accorgersi, materialmente, se un determinato messaggio di posta elettronica, che non è fornito di una busta fisica di carta, è stato da altri aperto o meno. E’ questo dunque il cuore del problema.
Bisogna ricordare che la segretezza della corrispondenza, in Italia, è un bene al quale i padri fondatori del nostro Stato hanno voluto dare massimo rilievo, prescrivendone l’assolutezza ed inserendolo direttamente nel testo della Costituzione, all’art. 15, secondo cui “La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge.” Da ciò consegue che una eventuale legge istitutiva di un centro per le intercettazioni della corrispondenza elettronica dovrebbe essere tale da prevedere idonee garanzie, anche dal punto di vista logistico e materiale, per il cittadino italiano a che il centro stesso non possa essere usato per fini non istituzionali o da soggetti deviati in seno all’apparato dello Stato. In caso contrario se ne potrebbe, forse, sostenere l’incostituzionalità perché una legge che non tutela fattivamente il cittadino in un suo diritto di rilevanza costituzionale non può ritenersi accettabile. L’art. 617 bis del Codice Penale, intitolato “Installazione di apparecchiature atte ad intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche.” prevede come reato anche il fatto di chi “fuori dei casi consentiti dalla legge, installa apparati, strumenti, parti di apparati o di strumenti al fine di intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche tra altre persone” punendolo “con la
reclusione da uno a quattro anni.”. Ciò significa che lo Stato italiano considera negativamente la esistenza e la diffusione di apparecchiature in grado di intercettare le comunicazioni elettroniche tra le persone ed è questa una circostanza che in futuro, quando anche da noi si arriverà a costruire una struttura come quella inglese dell’M15, si dovrà tener presente.