le procedure per la riassegnazione dei nomi di dominio contestati

Dal 28 luglio del 2000 sono in vigore, presso la Registration Autority italiana, ente preposto alla gestione dei nomi di dominio Internet del gruppo “.it”, nuove ed interessanti regole, volte alla soluzione dei conflitti che possono insorgere relativamente appunto alla titolarità di un nome di sito internet. Si tratta delle procedure per la riassegnazione dei nomi di dominio, conosciute anche con l’acronimo di MAP, dal nome statunitense delle procedure analoghe (Mandatory Administrative Procedure). Queste procedure, infatti, sono state adottate nel nostro Paese sulla scorta di quanto realizzato, negli Stati Uniti, dall’ICANN, ente gestore dei nomi americani, con buoni risultati. Le MAP possono essere utilizzate da chiunque ritenga che un altro si sia accaparrato ingiustamente un nome di dominio, dal vero e proprio domain grabbing ai casi più semplici di conflitti tra nomi. Esse hanno per scopo la verifica del titolo all’uso o alla disponibilità giuridica del nome a dominio e che lo stesso non sia stato registrato o mantenuto in mala fede. Il ricorso alle procedure di riassegnazione non preclude la possibilità, anche successiva, di ricorrere alla Magistratura ordinaria o di promuovere il giudizio arbitrale. Questo significa che anche chi “perde” la procedura può ancora ricorrere al giudice ordinario o all’arbitro, impedendo almeno per il momento che il dominio venga trasferito ed è questo probabilmente il limite principale delle MAP. Però bisogna dire che se la decisione della MAP è ben documentata e motivata, è prevedibile che i giudici ordinari o i collegi arbitrali spesso non faranno che confermare la decisione presa in sede MAP, magari anche con qualche forzatura al sistema del diritto in tema di marchi che potrà, peraltro, in questo modo evolversi in modo più attento alle peculiarità del mondo “internet”; come si vedrà, infatti, le regole dettate per le MAP non sono del tutto corrispondenti a quelle previste dalle leggi italiane attuali sul marchio, l’uso del nome e la proprietà intellettuale in generale.

PRESUPPOSTI PER RICORRERE ALLE MAP. Le regole di naming, visionabili integralmente presso il sito della Naming Autority (www.nic.it), disciplinano le procedure di riassegnazione dei nomi e stabiliscono che alle stesse si può ricorrere quando vi sono, congiuntamente, i seguenti tre requisiti:
a) il nome a dominio contestato è identico o tale da indurre confusione rispetto ad un marchio su cui un altro soggetto vanta diritti, o al nome e cognome di un altro soggetto;
b) l’attuale assegnatario (che viene chiamato “resistente” nel procedimento) non ha alcun diritto o titolo in relazione al nome a dominio contestato;
c) il nome a dominio è stato registrato e viene usato in mala fede.

IL DIRITTO DEL RESISTENTE A CONTINUARE AD USARE IL NOME. Dunque, chi intende promuovere una MAP contro un altro sostenendo che un certo nome di dominio deve essere a lui riassegnato deve sostenere che vi sono, nel caso in questione, tutti e tre i requisiti suesposti. In particolare, circa il diritto o titolo che il resistente può avere sul nome di dominio, le regole specificano che lo stesso sarà riconosciuto legittimo titolare del nome di dominio, e quindi la richiesta di riassegnazione sarà rigettata, quando egli dia la prova, alternativamente, che: 1) prima di avere avuto notizia della contestazione ha usato o si è preparato oggettivamente ad usare il nome a dominio o un nome ad esso corrispondente per offerta al pubblico di beni e servizi oppure 2) che è conosciuto, personalmente, come associazione o ente commerciale, con il nome corrispondente al nome a dominio registrato, anche se non ha registrato il relativo marchio oppure 3) che del nome a dominio sta facendo un legittimo uso non commerciale, oppure commerciale senza l’intento di sviare la clientela del ricorrente o di violarne il marchio registrato.
Bisogna a questo punto evidenziare come le regole sulle MAP siano imperniate sul concetto, non sempre condiviso nelle prime applicazioni giurisprudenziali, per cui il nome di dominio non è una mera proiezione del marchio nel mondo internet, ma un fenomeno sui generis, tant’è vero che chi ricorre ad una MAP per ottenere la assegnazione a suo favore di un nome di dominio corrispondente ad un marchio da lui registrato, può vedersi denegata tale assegnazione se il resistente dà una delle tre prove sopra elencate, cioè anche solo, ad esempio, di avere in buona fede iniziato una attività commerciale tramite il sito avente denominazione corrispondente a quella del marchio altrui. Bisogna dare atto ai compilatori delle regole in materia di MAP di avere fatto una scelta coraggiosa e innovativa a livello concettuale, riconoscendo compiutamente le peculiarità del nome di dominio e contrastando il fenomeno detto “reverse domain name hijacking” cioè quello in base al quale mediante una estensione automatica delle regole sul marchio al nome di dominio, il marchio stesso viene ad avere, nel mondo Internet, una efficacia sproporzionata, addirittura superiore a quello che ha nel mondo “tradizionale”. Però è anche prevedibile che da tale impostazione deriverà una maggior “debolezza” delle MAP perché, con ogni probabilità, in questi casi il potenziale ricorrente titolare di marchio registrato preferirà non ricorrere alle MAP ma direttamente alla Magistratura ordinaria, che non è vincolata dalle regole di naming ma solo dalle Leggi dello Stato, che non sono così affinate come le regole in esame.

LA MALA FEDE DEL RESISTENTE. Come si è visto, inoltre, il ricorrente deve provare anche che il dominio è stato registrato o viene mantenuto in mala fede. Anche questa è una peculiarità delle regole in materia di MAP, che fanno assurgere a livello di requisito per l’accoglimento della procedura un requisito soggettivo – psicologico, imputando per di più l’onere di provarne la sussitenza in capo al ricorrente. La buona fede, dunque, del resistente si presume fino a che il ricorrente non dà prova contraria. L’art. 16.7 fornisce alcune esemplificazioni di casi in cui deve ritenersi raggiunta la prova della mala fede, specificando esplicitamente che le stesse non sono esaustive ma il ricorrente è libero di provare la mala fede del resistente in altri modi. Come ogni elemento psicologico, la mala fede del resistente viene provata attraverso la considerazione di circostanze oggettive, cioè di fatti, dai quali si desume il probabile stato d’animo della persona che li ha posti in essere, valutandoli alla stregua di quello che si ha ordinariamente nella maggior parte dei casi simili. Secondo tale disposizione, si può ritenere il resistente in mala fede quando risultano circostanze che inducano a ritenere che:
a) il nome a dominio è stato registrato con lo scopo primario di vendere, cedere in uso o in altro modo trasferire il nome a dominio al ricorrente (che sia titolare dei diritti sul marchio o sul nome) o a un suo concorrente, per un corrispettivo, monetario o meno, che sia superiore ai costi ragionevolmente sostenuti dal resistente per la registrazione ed il mantenimento del nome a dominio (è il classico caso del domain grabbing);
b) il dominio sia stato registrato dal resistente per impedire al titolare di identico marchio di registrare in proprio tale nome a dominio, ed esso sia utilizzato per attività in concorrenza con quella del ricorrente;
c) il nome a dominio sia stato registrato dal resistente con lo scopo primario di danneggiare gli affari di un concorrente o usurpare nome e cognome del ricorrente;
d) nell’uso del nome a dominio, esso sia stato intenzionalmente utilizzato per attrarre, a scopo di trarne profitto, utenti di Internet creando motivi di confusione con il marchio del ricorrente.

CHI DECIDE LE MAP. Presso la Naming Autority sono costituiti degli enti “conduttori”. Il primo ad essere costituito, per il nostro Paese, è ad esempio stato E-solv (www.e-solv.it), presso il cui sito web si trovano peraltro ulteriori ed interessanti informazioni sulle MAP. Questi enti sono dotati di un proprio comitato di “saggi” cioè generalmente giuristi esperti della materia dei nomi di dominio. Chi intende promuovere una MAP si deve rivolgere ad un ente conduttore, scegliendolo direttamente, il quale nominerà poi, secondo le proprie regole interne, un saggio o un collegio di tre saggi, che avrà il compito di decidere la questione. Il procedimento è regolato in tutto e per tutto dal regolamento interno dell’ente conduttore, che deve essere comunicato alla Naming Autoriy nel momento in cui l’ente intende diventare appunto conduttore, comprese le modalità di comunicazione e scambio degli atti del procedimento, i tempi e i costi dello stesso. Se la procedura si conclude con l’accoglimento della domanda del resistente, la Naming Autority deve materialmente trasferire il dominio entro 15 giorni dalla decisione, sempre salvo che la parte “sconfitta” non promuova un giudizio ordinario o arbitrale. L’intero costo della procedura è a carico del ricorrente, sia in caso di vittoria che di sconfitta, e non può mai essere inferiore a 400 euro.

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Di Tiziano Solignani

L'uomo che sussurrava ai cavilli... Cassazionista, iscritto all'ordine di Modena dal 1997. Mediatore familiare. Counselor. Autore, tra l'altro, di «Guida alla separazione e al divorzio», «Come dirsi addio», «9 storie mai raccontate», «Io non avrò mai paura di te». Se volete migliorare le vostre vite, seguitelo su facebook, twitter e nei suoi gruppi. Se volete acquistare un'ora (o più) della sua attenzione sui vostri problemi, potete farlo da qui.

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