il decreto legge sulla information society

Con il decreto legislativo 9 aprile 2003, in vigore dal 14 maggio scorso, è stata data attuazione nel nostro Paese alla direttiva dell’Unione 2003/31/CE, relativa alla cosiddetta information society. Ciò, ulteriormente, rappresenta una delle prime implementazioni della decisione 98/253/CE del Consiglio UE, con cui è stato varato un piano poliennale volto ad incentivare la realizzazione di una società in grado di sfruttare consapevolmente le possibilità messe a disposizione dalle nuove tecnologie.
La legge stessa definisce il suo ambito di applicazione, mediante la definizione di “servizio della società dell’informazione”, e pone, poi, una serie di regole per chi eroga tali servizi, tra le quali sono particolarmente interessanti quelle in materia di informazioni da inviare ai consumatori, di comunicazioni commerciali non sollecitate o spam e di sanzioni per le aziende che non si conformano alla legge.
Servizio della società dell’informazione è qualsiasi servizio prestato, normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica, mediante apparecchiature elettroniche di elaborazione e di memorizzazione dei dati, a richiesta individuale di un destinatario di servizi. Si tratta, in primo luogo, dell’offerta di beni o servizi in rete come le vendite di hardware, software, assicurazioni, consulenze e così via. Ma sono compresi anche i servizi che non sono pagati da chi li utilizza, nella misura in cui costituiscono un’attività economica. Il riferimento è a quelle iniziative che non si finanziano richiedendo un corrispettivo agli utenti, ma tramite la raccolta pubblicitaria. Esistono infatti siti che forniscono informazioni di qualità ed a livello professionale ed il cui accesso rimane completamente gratuito per l’utente. Non rientrano invece nella definizione di servizio della società dell’informazione tutte le comunicazioni che avvengono tra soggetti che operano al di fuori della loro attività imprenditoriale o professionale – il cosiddetto C2C, consumer to consumer. Una transazione tra utenti di e-bay, ad esempio, per la vendita di un computer o un telefonino non è soggetta alla nuova legge.
E’ ovvio, poi, che le nuove regole non si applicano solo in Italia, ma in tutti i paesi facenti parte della Unione Europea, quindi il consumatore potrà in qualche misura fare affidamento sulle stesse, anche se il modo in cui la direttiva è stata attuata potrà variare da paese a paese. Una cosa importante è che in materia di giudice competente in caso di problemi la nuova legge non ha cambiato nulla: come in precedenza, il consumatore italiano, ad esempio, che ha una vertenza con un sito di e-commerce tedesco può sempre rivolgersi al giudice del suo luogo di residenza. La direttiva 2003/31, comunque, conferisce da questo punto di vista una tutela maggiore al cittadino che acquista beni o servizi da altri paesi della Comunità, mentre non è ugualmente tutelato chi acquista, ad esempio, da un sito statunitense o di altro paese non facente parte dell’Unione. Questo sistema, se da un lato tutela il consumatore “in casa sua”, dall’altro rischia di creare protezionismo tra gli USA e la UE: è di questi giorni infatti la notizia che i principali siti di e-commerce statunitensi hanno iniziato ad applicare imposte agli ordini che provengono dall’Europa, in applicazione della direttiva sull’IVA approvata dall’Unione. Ciò ovviamente va a tutto svantaggio del consumatore europeo, che dovrebbe essere libero di acquistare ovunque e che invece, in questo modo, viene indotto a restare in ambito comunitario, anche se i prezzi di partenza altrove sarebbero più bassi.
In materia di informazioni obbligatorie l’articolo 8 prevede che le comunicazioni commerciali relative ad un servizio della società dell’informazione devono contenere, sin dal primo invio, ed in modo chiaro ed inequivocabile, le seguenti indicazioni: a) che si tratta di comunicazione commerciale; b) la persona fisica o giuridica per conto della quale è effettuata la comunicazione commerciale; c) che si tratta di un’offerta promozionale come sconti, premi, o omaggi e le relative condizioni di accesso; d) che si tratta di concorsi o giochi promozionali, se consentiti, e le relative condizioni di partecipazione. Questa disposizione, per la verità, non è molto innovativa dal momento che c’era già un obbligo analogo, previsto dall’art. 3, comma 3°, del Decreto Legislativo 185/1999 in materia di contrattazione a distanza. Ma ne rappresenta comunque una puntualizzazione ed un rafforzamento, anche in relazione alle sanzioni previste.
In tema di spam, cioè di invio di “comunicazione commerciale non sollecitata”, l’art. 9 prevede che le comunicazioni commerciali debbano essere identificate come tali sin dal primo invio e contenere la specificazione che il destinatario può opporsi al ricevimento in futuro di tali comunicazioni. Di fronte a questa regola, ci si chiede se non si sia fatto un passo indietro, piuttosto che avanti, nella lotta allo spam. Anche perché è stato completamente ignorato l’articolo 7 della Direttiva, secondo cui gli Stati avrebbero dovuto adottare “i provvedimenti necessari per far sì che i prestatori che inviano per posta elettronica comunicazioni commerciali non sollecitate consultino regolarmente e rispettino i registri negativi in cui possono iscriversi” coloro che non vogliono ricevere tali comunicazioni. In sostanza, al Direttiva prevedeva l’istituzione di una black list alla quale chiunque avrebbe potuto iscriversi e verso i cui indirizzi nessuno avrebbe potuto mandare comunicazioni non sollecitate. Nella nuova legge, però, questo non è stato previsto. Anzi, l’art. 9 sembra quasi tornare indietro, passando dal sistema, sino ad ora implementato, dell’opt-in, dove è necessario il consenso del destinatario per inviargli posta, a quello dell’opt-out, dove al destinatario si lascia solo la libertà di richiedere la cessazione dell’invio. Si tratta di una novità poco felice della legge attuativa e si spera che il testo unico sulla privacy che dovrebbe essere emanato tra poco vi ponga rimedio.
Alle aziende che non rispettano le prescrizioni in materia di informazioni al consumatore possono applicarsi le sanzioni previste dall’art. 21 della legge, in misura variabile da 103 a 10.000 euro. Il consumatore che rimane vittima di spam, dunque, può presentare un esposto alle Autorità, cioè Carabinieri, Polizia e Guardia di Finanza, allegando la documentazione da cui risultano le violazioni. Una volta accertate le stesse, le sanzioni saranno applicate dal Ministero per le attività produttive. E’ ancora presto per sapere se questo strumento sarà veramente efficace e veloce, ma sicuramente è un’arma in più per gli utenti.

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Di Tiziano Solignani

L'uomo che sussurrava ai cavilli... Cassazionista, iscritto all'ordine di Modena dal 1997. Mediatore familiare. Counselor. Autore, tra l'altro, di «Guida alla separazione e al divorzio», «Come dirsi addio», «9 storie mai raccontate», «Io non avrò mai paura di te». Se volete migliorare le vostre vite, seguitelo su facebook, twitter e nei suoi gruppi. Se volete acquistare un'ora (o più) della sua attenzione sui vostri problemi, potete farlo da qui.

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