Verso la metà di dicembre mio marito ha portato due stampe antiche in un negozio di cornici perchè fossero incorniciate. Ha scelto la cornice ma ha detto all’aiutante dell’artigiano che sarei passata nel pomeriggio per confermare. Sono andata in negozio quella sera e ho confermato la stessa cornice, ma di colore diverso. Non ho chiesto il prezzo in quanto pensavo che mio marito avesse preso già accordi con il titolare. Dopo una settimana mio marito è andato a ritirare i quadri, ma la cornice non era quella che avevo scelto io e neppure quella scelta da lui: era un prodotto completamente differente e, tra l’altro, brutto. Io non ero presente e quando è tornato a casa con i quadri gli ho detto di riportarli subito indietro in quanto non corrispondenti a quanto richiesto. L’aiutante dell’artigiano ha fatto un sacco di storie, dandomi anche della bugiarda e affermando che quella era la cornice che io avevo personalmente scelto, ed ha acconsentito a cambiarla solo per “farci un favore”; mio marito gli ha indicato nuovamente la cornice scelta da noi ma gli ha detto di aspettare perchè potessi vederla anche io e confermare che volevo proprio quella. Il ragazzo, allora, senza comunicargli prima quale sarebbe stato il costo finale, ha dato a mio marito una fattura con il prezzo del lavoro e delle nuove cornici (quelle che avrebbe sostituito): lui non ha pagato niente. La somma risultava veramente molto alta e ci è venuto il sospetto che volessero farci pagare due volte, per un errore che non era dipeso da noi. Siamo tornati in negozio qualche giorno pù tardi e abbiamo parlato con il titolare, raccontando cosa era successo e chiedendo anche spiegazioni in merito al conto che ci sembrava veramente esoso. Il ragazzo, che era presente, continuava a dire che quella (sbagliata) era la cornice che io avevo scelto, cosa assolutamente non vera e si rivolgeva a noi in toni maleducati; il titolare, facendo una ricerca nel suo PC, scopriva invece che il conto da pagare per la nuova cornice, che, “facendoci un favore”, avrebbe usato al posto dell’altra, era addirittura ancora più alto di quello riportato nella fattura. Si scopriva così che il conto della fattura era relativo alla cornice già adoperata e che non era quella giusta. Offesa per l’atteggiamento tenuto nei miei confronti da entrambi gli individui chiedevo di riavere le mie stampe e annullare l’ordine. Il titolare mi rispondeva, però, che essendo stata emessa la fattura noi avremmo dovuto pagare il 20% del totale più altri 40 euro per il montaggio e lo smontaggio dei quadri. Noi abbiamo allora deciso di prendere tempo per informarci su quali siano i nostri diritti. Vorrei avere un consiglio da voi: è vero ciò che dice il negoziante? Non c’è nessun contratto scritto e nella fattura non sono stati specificati i nostri dati personali. Come possiamo riavere i nostri quadri senza rimetterci? E’ lecito che non siano esposti in bottega i prezzi dei prodotti, ma siano contenuti solo nel PC del proprietario? E’ lecito emettere una ricevuta su una merce che non corrisponde a quanto richiesto, se il cliente fa notare subito questa cosa? Possiamo chiedere aiuto alla polizia municipale? Grazie, Nadia (mail).
Voi avete sicuramente diritto alla restituzione delle stampe che avete consegnato; l’art. 1460 c.c., infatti, consente, in via straordinaria, di opporre una eccezione, detta “di inadempimento”, esperibile, appunto, nel caso in cui, in un contratto a prestazioni corrispettive, una delle due parti contraenti non adempia la propria prestazione, e, pertanto, è legittima la restituzione di quanto già corrisposto o la restituzione di quanto conseguito. Se, infatti, il corniciaio vi consegnasse le stampe incorniciate in maniera diversa rispetto a come voi le avete ordinate, sarebbe come eseguire una prestazione in luogo dell’adempimento, cosa che, ai sensi dell’art. 1197 c.c., non è possibile se non con il consenso del creditore.
Il fatto, poi, che il negoziante non vi abbia rilasciato una ricevuta in copia, con l’indicazione precisa della merce che voi avevate ordinato, finisce a questo punto per andare a suo svantaggio, dal momento che, ai sensi dell’art. 57 del Codice del Consumo,”è vietata la fornitura di beni o servizi al consumatore in mancanza di una sua previa ordinazione nel caso in cui la fornitura comporti una richiesta di pagamento. Il consumatore non e’ tenuto ad alcuna prestazione corrispettiva in caso di fornitura non richiesta. In ogni caso la mancata risposta non significa consenso.” Quindi è assolutamente senza causa la richiesta del 20% del valore della fattura (corrispondente all’importo dell’IVA), dal momento che è senza causa, in primis, la prestazione eseguita.
Per quanto riguarda l’indicazione dei prezzi, questa osservazione è molto pertinente, infatti ci sono ancora molti esercizi che non rispettano tale prescrizione; il Codice del Consumo, a questo proposito, richiama espressamente quanto dettato dall’art. 14 del D. lgs. 31 marzo 1998, n. 114, il quale sancisce che “I prodotti esposti per la vendita al dettaglio nelle vetrine esterne o all’ingresso del locale e nelle immediate adiacenze dell’esercizio o su aree pubbliche o sui banchi di vendita, ovunque collocati, debbono indicare, in modo chiaro e ben leggibile, il prezzo di vendita al pubblico, mediante l’uso di un cartello o con altre modalita’ idonee allo scopo”. In caso di violazione di tale disposizione è previsto il pagamento di una sanzione amministrativa. Non viene specificat l’organo competente ad accertare le violazioni, ma direi che, in conformità con quanto previsto dal Codice del Consumo, tale incombenza spetti agli organi di Polizia Amministrativa.