Una sentenza statunitense condanna un’azienda italiana al pagamento di somme per danni ‘’punitivi’’ per un ammontare di gran lunga esorbitante rispetto al risarcimento del danno. La vicenda, nel suo percorso, pone in risalto la cd. delibazione della sentenza di condanna per punitive demages emessa negli U.S.A. nei confronti del soggetto giuridico italiano. Tale sentenza, nei fatti, risulta non riconoscibile nel nostro ordinamento per mero contrasto con i principi di ordine pubblico.
Ebbene, i danni punitivi, cc.dd. punitive demages, nascono nel sistema giudiziario di Common law, sistema in cui non è mai apparsa ‘’chiara’’ la distinzione tra diritto civile e diritto penale. La giurisprudenza statunitense individua nei punitive demages una doppia ragione giustificatrice: 1) impedirebbero la ripetizione del comportamento lesivo; 2) adempirebbero una funzione retributiva rispetto alla condotta antisociale attuata dall’offensore. Proprio per le sopra descritte peculiarità, i punitive demages non trovano posto nel nostro ordinamento. Gli orientamenti interni, fino ad oggi dominanti, sostengono che i danni punitivi risultano contrari all’ordine pubblico interno e particolarmente sconosciuti al ‘’sistema romanistico (Civil law)’’. Tali orientamenti trovano esemplare concretezza nella Legge n. 218 del 1995, ‘’Riforma del sistema italiano di dir. internazionale privato’’, la quale, per l’appunto, prevede come ultima condizione richiesta per il riconoscimento in Italia di una sentenza straniera che ‘’le disposizioni di quest’ultima non producano effetti contrari all’ordine pubblico’’ (v. Legge).
Anche dal sistema probatorio-sostanzialistico vigente nel nostro ordinamento si evince la peculiarità di un processo penale che, per l’affermazione della responsabilità, richiede ‘’la prova sopra ogni ragionevole dubbio’’ e la peculiarità di un giudizio civile che necessita della dimostrazione di ‘’un’evidenza proponderante’’, ossia la documentazione di ‘’una maggiore probabilità’’ che il comportamento del convenuto costituisca l’origine del danno. I danni punitivi, diversamente, e con evidente trasversalità, necessitano di una prova evidente, chiara e convincente: ‘’l’accusato dovrà risultare ‘’colpevole’’ di oppressione, frode e malevolenza’’.
Ebbene, il ‘’parallelismo’’ probatorio-sostanzialistico, appena descritto, pone in rilievo come nel nostro ordinamento l’idea della punizione e della sanzione siano di base ‘’estranee al risarcimento del danno’’, e dunque estranee all’ambito civile!, così come risulta nettamente indifferente la condotta del danneggiante.
Analizzando la giurisprudenza, una prima pronuncia sul punto viene emessa dalla Suprema Corte di Cassazione, Sez. III, nella sentenza del 19.01.2007, n.1183. In tale circostanza la Corte afferma che: ‘’i danni punitivi pongono in atto una mera risposta punitiva verso il responsabile di una lesione di un diritto’’ (v. provvedimento). Tale sentenza offre l’ulteriore spunto per una disamina in tema di delibazione in Italia delle sentenze straniere, con particolare riferimento alle sentenze di Tribunali degli Stati Uniti d’America, contenenti statuizioni sui cc.dd. punitive demages. E’ evidente che la Suprema Corte di Cassazione, in tale circostanza, intende affrontare la questione dell’ammissibilità, nell’ordinamento italiano, del danno punitivo. Quest’ultima ha, nell’occasione, evidentemente escluso la possibilità di delibare la sentenza in quanto contrastante con l’ordinamento interno, il quale esclude la risarcibilità del danno in misura ‘’maggiore’’ rispetto al pregiudizio subito.
In attesa di un’ulteriore pronuncia della Corte di Cassazione Civile, sul nuovo (tanto discusso!) comma III dell’art. 96 c.p.c., non manca un intervento della Sesta Sezione della Suprema Corte di Cassazione Penale, sentenza n. 5300 del 2011, che offre ‘’una prima lettura interpretativa’’, seppure per grandi linee, dell’istituto (in chiave sanzionatoria), richiamando con chiaro monito ‘’l’attenzione, comprensione e diligenza del giudice’’ (v. provvedimento).
A seguire, la costante giurisprudenza di merito giungerebbe a qualificare il nuovo danno punitivo, ex art. 96.3 c.p.c., in termini di ‘’sanzione di natura pubblicistica’’: perchè mirerebbe a punire il comportamento processuale della parte che viola il principio costituzionale della ‘’durata del processo’’ (incidendo non solo sulla durata del singolo processo ma anche su tutti gli altri procedimenti ‘’a catena’’).
Anche la Corte dei Diritti dell’Uomo respinge costantemente le varie richieste avanzate dai ricorrenti di ottenere condanne al pagamento dei punitive demages.
Concludendo, si ribadisce in primis che nel nostro ordinamento manca una definizione precisa di abuso del processo, considerato il quadro normativo tutt’altro che preciso: va ricordato che l’abuso del processo è stato spesso considerato come la semplice proiezione ‘’dell’abuso del diritto’’. Tenendo conto delle linee interpretative ‘’suggerite’’ dalla giurisprudenza si riesce, però, ad ‘’intravedere’’ nell’art. 96.3 c.p.c. non tanto una misura risarcitoria quanto una misura pubblicistica-sanzionatoria ‘’per mero abuso del processo’’.
Considerato che il corpus delle norme di diritto civile non concede molto spazio alle figure di creazione giurisprudenziale del diritto anglo-americano, la prassi recente sta riuscendo a delineare, in tema di punitive demages, un ricercato ‘’compromesso tecnico-giuridico’’, il quale pur aprendosi alla punitività del danno (ex art. 96.3 c.p.c.) si coniuga ad una sottostante, essenziale e concorrente funzione risarcitoria/ riparatoria. Tale compromesso risulterebbe essere l’unica ‘’valvola-tecnica’’ per superare il limite dell’ordine pubblico.
Nel nostro sistema potrebbe essere concretamente ‘’favorito’’ l’ingresso del cd. danno punitivo: la norma sulla responsabilità aggravata verrebbe ad assumere, in tal modo, una funzione per così dire ‘’nuova’’ nell’ambito del nostro apparato-normativo.
‘’Tentando di avanzare un’ulteriore riflessione, ci si chiede: ‘’ma se la norma in quaestio possiede, come si è detto, una funzione ‘’nuova’’, e nello specifico ‘’punitiva’’, potrebbe risultare ragionevole prevedere che la somma riscossa sia destinata alla cassa delle Ammende?’’ (articolo scritto con la collaborazione della dott.ssa Giovanna Cuccui)
articolo originariamente pubblicato su | LeggiOggi
4 risposte su “l’abuso del processo e il danno punitivo”
la lite temeraria non assomiglia al danno punitivo che si vuole assegnare quando si sa già in partenza di avere torto e quindi di abusare del processo?
Certo.
–?cordialmente,
tiziano solignani, da ? Mac http://ts.solignani.it (splash) http://goo.gl/p6Sb0 (libri)
Grazie Tiziano per aver pubblicato l'articolo in questione, ci consente di riflettere sulle diverse sfumature della applicazione del diritto nella sua incisività rispetto ai casi concreti. Una tipologia di punitive demage si rinviene anche nella sanzione ex art. 709 ter 2° co. cpc n.4. Benchè ci sia una diversità valutativa tra "abuso del diritto" e "abuso del processo", a mio avviso esiste un elemento di comune esigenza sostanziale che li rende sovrapponibili….Ci sto riflettendo……
Grazie Lucia per il tuo intervento, mi fa davvero molto piacere che tu sia approdata anche al blog, dopo facebook che però consente sempre degli scambi più sintetici, mentre qui si può approfondire per bene. Sono d'accordissimo con te sull'art. 709 ter, di cui del resto parlo anche molto nel mio libro. Se vogliamo anche il 614 bis può essere una norma «punitiva» molto importante, l'ho richiesta in un ricorso solo un paio di settimane fa, staremo a vedere. Ti lascio un invito per fare ingresso nella nostra comunità di giuristi Legalit, dove potremo discutere, tra legali, di queste ed altre tematiche http://a.solignani.it/invito-legalit. A presto.
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