Il Consiglio di Stato, sez. III, con la sentenza 26/10/2015 n. 4899, ha affermato l’intrascrivibilità dei matrimoni contratti all’estero tra persone dello stesso sesso, ed ha riconosciuto la legittimità del provvedimento prefettizio di annullamento delle relative trascrizioni.
Il Consiglio è giunto a tale decisione osservando quanto segue.
- Il matrimonio omosessuale, nel nostro ordinamento, deve ritenersi invalido o inesistente. La validità del matrimonio tra cittadini italiani celebrato all’estero è regolata dalla legge n. 218 del 1995, nonché dall’art. 115 c.c., i quali prevedono l’applicabilità della legge nazionale italiana. Secondo quanto stabilito dal codice civile, la diversità di sesso tra i nubendi rappresenta la prima condizione di validità e di efficacia del matrimonio. Di conseguenza l’atto in questione, privo di un elemento essenziale, risulta inidoneo a produrre effetti in Italia.
- Il matrimonio omosessuale non risulta neanche trascrivibile nei registri dello stato civile. Gli elementi richiesti ai fini della trascrivibilità dell’atto di matrimonio, infatti, sono catalogati tassativamente dall’art. 64 del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, il quale impone all’ufficiale dello stato civile di controllarne la presenza prima di procedere alla trascrizione. Uno di questi elementi indefettibili è la presenza, nel documento, della dichiarazione degli sposi di volersi prendere rispettivamente in marito e in moglie, condizione assente nel matrimonio celebrato tra due persone dello stesso sesso. Si è, inoltre, rilevato che il Prefetto è dotato del potere di annullare gli atti dello stato civile di cui il Sindaco ha ordinato contra legem la trascrizione, in virtù del vincolo di subordinazione che lega il Sindaco al Ministero dell’Interno e, per esso, allo stesso Prefetto. Questa relazione interorganica assicura l’uniformità di indirizzo della tenuta dei registri dello stato civile su tutto il territorio nazionale.
- Non esiste, neppure nella normativa europea e sovranazionale, il diritto fondamentale della persona al matrimonio omosessuale. Pertanto, il divieto imposto dall’ordinamento nazionale di equiparazione del matrimonio omosessuale con quello eterosessuale, non può giudicarsi confliggente con i vincoli contratti dall’Italia a livello europeo o internazionale. Le medesime conclusioni si impongono anche all’esito della interpretazione della normativa di riferimento, alle stregua degli artt. 8 e 12 della CEDU, per come interpretati dalla Corte di Strasburgo.
In conclusione, a fronte della inconfigurabilità di un diritto al matrimonio omosessuale, il Consiglio di Stato ha ritenuto preclusa all’interprete ogni opzione ermeneutica creativa, non imposta da vincoli costituzionali o internazionali, anche ai meri fini della affermazione della trascrivibilità di matrimoni contratti all’estero tra persone dello stesso sesso.
Pare opportuno rilevare che il contenuto della sentenza sopra analizzata si pone in aperto contrasto con quanto affermato, sino ad ora, da quattro TAR e dalle pronunce della Corte di Cassazione. Alla luce di una realtà giuridica bisognosa di coerenza, emerge la necessità dell’ intervento – oramai improrogabile – del legislatore.