Dopo aver passato in rassegna la mediazione familiare, anche nella sua evoluzione storica, e i vari modelli più diffusi nella pratica, passiamo adesso ad alcune conclusioni sul ruolo del mediatore e su come quindi si può operare concretamente intervenendo in una situazione familiare in crisi.
Bisogna ricordare al riguardo che la mediazione è una «giustizia informale».
Come è stato detto, infatti, «la mediazione è uno degli strumenti che le società contemporanee hanno a disposizione per cercare di risolvere i loro conflitti. Essa trova il suo posto accanto alla legislazione, al giudizio, ai provvedimenti amministrativi, ai negozi contrattuali, alle regole consuetudinarie (dove riconosciute). Nelle nostre società questi strumenti sono spesso correlati tra loro in modi vari e complessi: si pensi ad esempio alla norma prodotta dal potere legislativo che viene applicata in un provvedimento giudiziario relativo a una controversia intorno a un negozio tra privati. Nelle società di tipo tradizionale queste distinzioni sfumano o risultano del tutto assenti, tanto che in questi contesti è quasi del tutto inutile cercare di discernere ciò che per noi sono ‘legge’ e ‘diritto’ dagli altri sistemi di gestione dei conflitti. Dal punto di vista di noi moderni, si potrebbe tendere a pensare che la distinzione tra le varie forme di regolazione sociale e tra gli strumenti di soluzione conflittuale sia la conseguenza di un’approfondita discussione tra tecnici competenti circa le loro rispettive funzioni e i modi di applicazione più appropriati. All’opposto, vediamo che l’emergere di un metodo è dovuto al semplice eclissarsi di fatto di un altro.»
Il mediatore dunque non è vincolato a norme di diritto, come avviene per il giudice, un funzionario – burocrate dell’apparato giudiziario statuale, seppure in alcuni casi, tra cui segnatamente il diritto di famiglia, si tratti di un diritto a maglie molto larghe, se non larghissime, come abbiamo visto.
Resta il fatto che il mediatore gode di ampia libertà di forme, iniziative, atteggiamenti, metodi, approcci e così via. Questo è tanto vero che non è nemmeno richiesto che la formazione del mediatore sia specifica, ma possono diventare mediatore figure che provengono dall’ambito forense, da quello medico, psicologico e persino sociologico ed altri.
Sarà bene, tuttavia, che il mediatore riesca ad avere una visione interdisciplinare, studi e si aggiorni anche su temi e materie che non fanno parte del proprio bagaglio di provenienza.
Mediazione significa cura delle persone come pochi altri mestieri al mondo e, data la complessità dell’essere umano, è assolutamente necessario che il mediatore abbia una elasticità e una propria «saggezza» e visione d’insieme che possano metterlo in grado di spaziare tra diversi tipi di conoscenze ed esperienze dell’uomo.
Il mediatore deve essere sicuramente prima di tutto un ascoltatore, ma anche ascoltare è uno skill, una capacità oggigiorno da acquisire.
Della sua libertà resta il fatto che il mediatore dunque deve fare buon uso. Si è visto come ciascuno dei sei approcci più diffusi abbia una sua logica, la conclusione è che il mediatore può scegliere sia quello che gli è più congeniale o nell’applicazione del quale è più bravo ma anche quello che conviene maggiormente nel caso concreto. Ricordando, peraltro, che questi sei approcci che abbiamo passato in rassegna non sono certo compartimenti stagni ma possono essere integrati nella loro applicazione tra loro, mutuando volta per volta ciò che appare più utile dall’uno o dall’altro per la gestione del conflitto.