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Problemi nelle relazioni: come fare.

Note dell’episodio.

In questa puntata, torno a parlare, a partire dalla domanda di una nostra ascoltatrice che si sfoga di un momento difficile vissuto – proprio il giorno del suo compleanno – col suo partner (in realtà si erano lasciati da poco), di problemi nelle relazioni: nella coppia, ma anche nelle relazioni di amicizia, parentela, genitori – figli e così via, in sostanza in tutte le relazioni della nostra vita.

Ti raccomando di ascoltare con attenzione questo episodio, in cui tocco molti punti della mia pratica di counseling ed in cui parlo di molte cose di cui parlo spesso durante la medesima con i miei clienti, tra cui:

  • ascolto
  • counseling come fenomeno che deve fare parte della vita di tutti i giorni
  • psicologia e erroneità di un’approccio che tratta la spiritualità con la scienza
  • grandi opere della letteratura e della poesia
  • anima
  • lentezza e suoi legami con l’ascolto
  • inutilità delle soluzioni e importanza delle connessioni
  • come trattare le persone che presentano un problema o un disagio
  • valore del mito, della letteratura e della poesia come cura per l’anima dell’uomo
  • amore egoico ed amore animico
  • e molto altro…

«Una cosa che facciamo a volte di fronte a conversazioni difficili, è cercare di migliorare le cose. Cercare di porle in una buona luce. Ma se io condivido qualcosa di molto duro con te preferirei che mi dicessi “non so nemmeno cosa dire in questo momento ma sono felice che tu me ne abbia parlato”. Perché la verità è che raramente una risposta può migliorare le cose. Quello che migliora le cose è la connessione.» (Brené Brown)

Approfitta dei riferimenti che ho compilato di seguito per fare il punto su ascolto, relazioni, lentezza: tre «cardini» della tua vita.

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Un abbraccio.

Riferimenti.

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Lezioni d’amore: ego o anima?

Oggi voglio parlarti della scala che c’è tra amore egoico ed amore animico. Si tratta di un aspetto molto importante, e direi assolutamente fondamentale, dell’amore; quindi oggi in conclusione ti parlo di amore, una cosa basilare per la tua vita, spiegandoti un aspetto fondamentale dello stesso…

Il «tono di voce» di questo articolo ti potrà sembrare un po’ strano e diverso dal solito, la cosa è dovuta al fatto che questo articolo è la trascrizione di una breve lezione tenuta nel mio studio ad un gruppo di persone sul tema, quindi non nasce originariamente come testo scritto, ma appunto come lezione orale.

Ti ricordo sin da ora che puoi prenotare, se vuoi approfondire maggiormente questo argomento e altri allo stesso collegati, una seduta presso lo studio di Vignola o via skype, anche se io raccomando sempre almeno per la prima seduta di cercare di venire di persona, ovviamente a condizione di non essere davvero troppo lontani.

La scala dell’amore egoico-animica si applica all’amore di tutti noi o, detto in altri termini, l’amore di ognuno di noi si colloca sempre in un determinato gradino della scala egoico-animica.

Questi discorsi sembrano molto astratti, ma è possibile fare subito due esempi molto chiari che fanno anche capire come si tratti i discorsi in realtà molto concreti e fondamentali nella vita di tutti i giorni.

L’amore egoico è l’amore di colui che desidera letteralmente possedere la persona amata, per soddisfare un proprio bisogno e senza curarsi più di tanto, o addirittura senza curarsi minimamente, del benessere della persona amata. L’amore egoico quindi è quello di colui che prende una persona e ad esempio la chiude in cantina perché la vuole avere, la vuole avere tutta per sé, la vuole avere in qualsiasi momento, al completo soddisfacimento del proprio ego.

«Victor Hugo ha magnificamente descritto questo inseguimento di colei che vi ignora: l’abate Frollo, per farsi notare da Esmeralda che continua a respingerlo, alla fine la tortura e la mette a morte!»

David Servan-Schreiber – Guarire

L’amore animico si colloca invece all’estremo opposto.

Prima di farti l’esempio dell’amore animico devo però farti una precisazione.

Sia l’esempio dell’amore egoico che l’esempio dell’amore animico rappresentano due estremi che raramente si trovano in forma pura nell’uomo di tutti i giorni. Sono però due concetti molto importanti che ci fanno capire che cos’è questa scala egoico-animica e come la possiamo utilizzare per misurare il nostro amore, perché l’amore di tutti si colloca in qualche punto di questa scala, tra l’amore egoico, che abbiamo appena visto, e quello animico che vedremo tra poco.

L’amore animico è quello che appunto, come dice il termine stesso, viene dall’anima e non dall’ego della persona.

Facciamo subito un esempio. Tu sei sposato con una donna che ami tantissimo. Questa donna un giorno vieni a casa e ti dice che si è innamorata di un altro uomo e che per la prima volta in vita sua è completamente felice. Tu, anziché impazzire ed imbestialirti, sei genuinamente felice per lei e senti la sua stessa gioia e completezza dentro di te…

È evidente che l’amore animico è l’amore con cui ci ama Dio, è l’amore con cui hanno amato quegli uomini che si sono riusciti ad elevare al massimo grado della dimensione animica, ad essere delle grandi anime, come ad esempio Ghandi, che appunto era soprannominato grande anima (a proposito sai che ad esempio a Genova una persona che si comporta male viene chiamata anima piccola), oppure Budda oppure Gesù.

Per un uomo, è difficile provare per un’altra persona un amore puramente animico che é totale e incondizionato e prescinde anche dalle proprie esigenze.

Ma, se proprio dovessimo dare una definizione di amore, che cosa potremmo dirne, se fossimo davvero sinceri fino in fondo?

Come lo potremmo definire se non come mettere il benessere di un’altra persona sopra al proprio?

Io non credo che l’amore possa essere definito diversamente da così, l’amore è sempre mettere il benessere di un’altra persona sopra al proprio benessere.

É solo in questi casi che si ama davvero, è questo peraltro l’oggetto della promessa del matrimonio cristiano, che non è affatto una promessa da poco ma è una promessa terribile che ti impegna e ti vincola per sempre, anche perché, come è stato giustamente detto, chi non è disposto ad amare per sempre non ha amato davvero neppure un solo istante.

Ma allora se amare davvero è così difficile, così arduo, così improbabile specialmente in una società e con un inconscio collettivo di proiezione neoliberista che ha eretto l’egoismo a criterio di relazione con gli altri, sulla scorta del concetto, di Hobbes, homo homini lupus, che è esistenzialmente una delle più grandi truffe della storia della filosofia una cosa falsissima e sciagurata, dal momento che l’uomo è esattamente l’opposto è un animale non solo sociale ma socievole e che soffre tremendamente per la mancanza di autenticità propria e di relazioni autentiche con gli altri.

Se – dicevo – amare è così difficile, così arduo, così ridicolo persino, dovremmo forse rinunciarci prendendola persa in partenza o, magari, poco dopo la partenza, come fanno in tanti, quasi tutti?

Lo scopo del discorso di oggi non è fare rinunciare nessuno, anzi, tutto al contrario, io ti voglio dare più consapevolezza per renderti in grado di amare meglio, di più e più a lungo…

Quando dico che per imparare ad amare bisogna studiare molti anni intendo proprio questo, che non si nasce sapendo già come si può far sentire amata una persona, bisogna studiarlo, bisogna impararlo: bisogna studiare ad esempio i cinque linguaggi dell’amore di Gary Chapman, un grande genio.

Bisogna capire nella scala egoico-animica dove si colloca il nostro amore per una determinata persona e bisogna fare delle scelte.

L’amore non è per qualsiasi persona: qualunque stupidotto è capace di innamorarsi, per amare davvero invece ci vogliono le palle.

La conclusione del nostro discorso di oggi, comunque, è in una domanda, anzi un paio di domande.

L’essenza dell’uomo, come ha molto lucidamente sostenuto Heidegger, ha la forma di un punto interrogativo.

E lo stesso counseling, nonostante che il nome possa indurre qualcuno a pensarlo, non è mai fatto di consigli; nel counseling è assolutamente vietato impartire consigli, l’essenza del counseling è fare domande, domande che stimolino dei processi riflessivi e che generino delle nuove idee e dei nuovi punti di vista nella persona che ha fatto ricorso al counselor, che li deve produrre, di fatto, più o meno spontaneamente.

La domanda di oggi è allora questa:

«dove si colloca l’amore che provi per la persona che c’è nel tuo cuore, tra un estremo e l’altro della scala egoico-animica?»

Si colloca più vicina al tizio che prende una donna e la chiude in prigione per tenerla tutta per sè, anche a costo di farla morire, o si colloca più vicina a quell’altro tizio che gode sinceramente del fatto che finalmente la moglie ha trovato l’uomo della sua vita?

Sì, lo so: entrambi questi tizi ti sembrano dei pazzi, dei folli, delle persone completamente fuori di testa e può anche essere che sia vero, ma dentro di te ti assicuro che questi due tizi ci sono entrambi.

Ed ecco adesso la domanda finale di oggi e del resto della tua vita:

«a quale di questi due tizi dentro di te vuoi dare da mangiare da oggi in poi

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«Frollo è talvolta vittima di pensieri passionali, benché abbia fatto voto di castità, s’innamora perdutamente della zingara Esmeralda, che altri personaggi vorrebbero conquistare, come il capitano Phoebus che, con l’intenzione di ucciderlo, Frollo pugnalerà alle spalle. Frollo vede Esmeralda soprattutto come un oggetto da ottenere, non come una persona da amare (tuttavia prova occasionalmente e disperatamente amore nei suoi confronti, che quasi sorpassano la libidine). Nonostante ciò, Esmeralda (che non essendo affatto innamorata e sapendo che è stato lui a cercare di uccidere Phoebus) si rifiuta di sposarlo, mentre lei viene condannata all’esecuzione Frollo prova un sadico piacere quando osserva la giovane al patibolo»

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Claude_Frollo

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Amare e voler bene: che differenza c’è?

«Vorrei penetrare il suo segreto, vorrei che lei venisse da me e mi dicesse: “Io ti amo”, e se non è così, se questa follia non è pensabile, allora… allora che cosa desiderare? Forse so io stesso quel che desidero? Sono anch’io come sperduto: vorrei soltanto starle accanto, essere nella sua aura, nella sua luce, eternamente, per tutta la vita. Altro non so! Potrei forse allontanarmi da lei?» — Fëdor Michajlovic Dostoevskij, Il giocatore

Oggi parliamo della differenza tra amare e voler bene, una distinzione in cui capita a tutti di imbattersi più volte nella vita, nei modi più svariati.

C’è un elemento, in particolare, una caratteristica che distingue queste due situazioni, questi due sentimenti.

Questo elemento è il desiderio di prossimità, di vicinanza, di contiguità – o spaziale e fisica, o anche solo mentale – che c’è nel primo caso, quello dell’amore, ma manca nel secondo.

Quando amiamo una persona, vogliamo stare nello stesso posto in cui c’è lei, anche se magari non sappiamo nemmeno bene perché, e se lei non c’è la pensiamo, in modo da averla e tenerla dentro di noi anche quando è lontana.

Alla fine, vogliamo sempre essere, in qualche modo, con la persona che amiamo, vogliamo esserle vicini, se non con il corpo, almeno con la mente, con lo spirito, con l’anima.

Sentiamo che questa vicinanza ci fa bene, ci soddisfa, ci illumina, ci nutre in profondità. Non esiste più un posto preferito, ma vanno tutti bene purché ci sia anche lei, anzi il posto prediletto è proprio quello in cui c’è lei.

Viceversa, se vogliamo bene ad una persona, ma non la amiamo, non abbiamo il desiderio di starle sempre vicino o in un modo o in un altro.

Certo, le vogliamo bene, se le succede qualcosa di brutto ci dispiace, e ci dispiace sinceramente, ma non ci interessa che la nostra vita e la sua vita, i tempi e gli spazi delle nostre vite, scorrano distanti tra loro, e in due posti diversi.

È proprio per questo che il “voler bene” ha sempre dentro di sé qualcosa di insoddisfacente, viene sempre percepito, almeno in parte, come qualcosa di insincero, di ipocrita, di limitato. In realtà non c’è nulla di male o di ipocrita nel voler semplicemente bene, è solo sentito come un sentimento limitato, circoscritto, confinato e noi, per nostra natura, siamo portati a diffidare da sentimenti di questo genere, perché per noi un sentimento ha senso se uno è tendenzialmente disposto a portarlo avanti nonostante tutto, a dispetto di tutto, accada quel che accada.

Il “voler bene”, specialmente se interviene quando c’era precedentemente l’amore, è perlopiù percepito come un premio di consolazione, se non come una vera e propria loser medal, la medaglia del perdente, quella che viene assegnata alla squadra che arriva seconda, un trofeo che in realtà non significa nulla: anzi nessuno lo vorrebbe mai guadagnare e sarebbe sicuramente meglio che non venisse nemmeno assegnato.

Quando amiamo una persona, vorremmo semplicemente che questa persona ci ricambiasse e sapremmo che lo fa nel momento in cui essa desiderasse stare con noi, o comunque pensasse sempre o quasi a noi.

Se non sta con noi, se non nutre questo desiderio di prossimità, non c’interessa che ci voglia bene, non c’interessa se anche le dispiace sinceramente quando ci succede qualcosa di brutto, perché questo semplicemente non è vivere insieme come invece vorremmo noi.

La differenza tra l’amore e il “voler bene” è tutta qui: il desiderio di prossimità, di vicinanza, di contiguità, di camminare insieme, di ridere insieme, di pensare all’altro quando ci succede qualcosa di bello o di brutto, di arrivare a sera e condividere una giornata, di pensare già, quando ti succede qualcosa, a quando la racconteremo a lei, di pensare «Che cosa ne penserà lei?» ancora prima di capire che cosa ne pensi tu, di rispecchiarti nei suoi occhi e nei suoi occhi intravedere la sua anima, fino a non sapere più bene dove finisci tu e dove comincia lei.

Chi ha provato questo, e lo hanno fatto tutte le persone che sono state innamorate almeno una volta nella loro vita, non sa che farsene di qualsiasi altro sentimento di grado inferiore.

Per chi è davvero innamorato, vale la realtà per cui ogni cosa gli parla della persona amata, come se tutto il mondo avesse realizzato il suo desiderio di vicinanza, di prossimità, di stringersi forte, sempre più forte, anche quando la persona amata non c’è.

È sicuramente meglio arrivare secondo che terzo, o quarto, o quinto?

Forse nello sport, non in amore, dove chi ama davvero vuole tutto, perché sa che se non ottiene tutto si ritrova semplicemente con niente.

Un’altra importante differenza è che vogliamo bene per altruismo, amiamo invece per puro egoismo.

Vogliamo bene solo perché ci va, ma potremmo benissimo farne a meno, mentre amiamo perché ne abbiamo bisogno, come di bere e di mangiare.

Per questo il voler bene è sempre un po’ falso, non ci identifica, mentre amare è sincero e vero, grandioso e pezzente, come la nostra vita.

Il modo in cui vogliamo bene non dice quasi nulla di noi, mentre quello con cui amiamo è il nostro vero nome, con cui siamo conosciuti nel mondo.

Voler bene è solo un lusso, un piccolo vizio, invece amare, e farlo con tutta la miseria che ci portiamo addosso, con tutti noi stessi, sopratutto le parti meno nobili, è un vero e puro bisogno.

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