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Assegno di mantenimento e accettazione tacita dell’eredità.

mio padre ha 74 anni ed è divorziato da mia madre da 23 anni , allora lui mio padre ha solo debiti ed è nulla tenente ovvero non ha più alcuna eredità ma solo debiti, allora premesso che lui mi passa un assegno di mantenimento in quanto non ho lavoro, volevo sapere quando lui morirà e io farò di sicuro la rinuncia all’eredità l’assegno che percepisco ora influirà sull’accettare l’eredità passivamente dopo la sua morte? oppure decadrà una volta morto ed io così rinunciando mi tutelo non pagando debiti?

Bisognerebbe capire meglio come è configurato questo assegno di mantenimento, se è previsto ad esempio da una scrittura privata, un atto notarile, un provvedimento della magistratura ad esempio in materia di alimenti o cos’altro.

Ad ogni modo, sicuramente tutto ciò che viene compiuto prima del decesso di una persona, con conseguente apertura della relativa successione, non può avere alcuna influenza sull’accettazione dell’eredità, che potrà avvenire appunto solo in seguito all’apertura della successione stessa.

Quello cui devi fare attenzione è ciò che fai, dunque, una volta che la successione sarà stata aperta.

Peraltro, in materia di accettazione tacita, il codice civile prevede una formula molto rigorosa, richiedendo, per la stessa, che venga compiuto un atto che «necessariamente» presuppone la volontà di accettare.

Se non intendi, ad ogni modo, accettare l’eredità di tuo padre, una volta che si sarà aperta, potrai fare la pratica di rinuncia presso la cancelleria del tribunale.

Se vuoi approfondire ulteriormente la questione, chiama adesso lo studio al numero 059 761926 e prenota il tuo primo appuntamento, concordando giorno ed ora con la mia assistente; puoi anche prenotare direttamente da qui: in questo caso, sarà poi lei a chiamarti per concordare giorno ed ora della nostra prima riunione sul tuo caso; a questo link, puoi anche visualizzare il costo.

Naturalmente, se vivi e lavori lontano dalla sede dello studio – che è qui, a Vignola, provincia di Modena, in Emilia – questo primo appuntamento potrà tranquillamente avvenire tramite uno dei sistemi di videoconferenza disponibili, o anche tramite telefono, se lo preferisci. Ormai più della metà dei miei appuntamenti quotidiani sono videocall.

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Adeguamento ISTAT: se non lo paga?

il 5 maggio 2016 è stata omologata la sentenza di divorzio. Il mio ex marito deve corrispondere come assegno di mantenimento l’assegno mensile per nostra figlia di 310 euro nel quale atto è prevista la rivalutazione ISTAT. rivalutazione che io non ho mai ricevuto. Ho scritto e inviato diverse volte al mio ex un prospetto con l’adeguamento e gli arretrati ma sono stata completamente ignorata. come posso richiedere quanto è dovuto?

L’adeguamento ISTAT per gli assegni di mantenimento è dovuto per legge, anche a prescindere dalla richiesta, proprio perché serve a preservare l’integrità dell’assegno che serve per la cura dei figli.

In caso l’altro genitore non lo corrisponda, l’avente diritto può procedere esecutivamente, iniziando con la notifica dell’atto di precetto, utilizzando come titolo esecutivo ovviamente la sentenza di divorzio.

Di solito, le somme da recuperare tuttavia sono così basse da non rendere conveniente rivolgersi ad un avvocato per fare il recupero.

A questo problema, purtroppo, non ci sono soluzioni soddisfacenti e sicure.

Presentare una denuncia querela per mancata corresponsione della differenza corrispondente all’adeguamento ISTAT mi sembrerebbe esagerato e di difficile accoglibilità, anche se ovviamente dipende dalle somme accumulate quanto ad arretrati.

È vero che le spese per il recupero alla fine dovrebbe rimborsartele il debitore, ma non è detto che tu riesca, appunto, a fartele ridare e nel frattempo le devi anticipare tu.

Nemmeno le polizze di tutela legale coprono situazioni del genere.

Generalmente, sconsiglierei di coltivare la questione.

Forse l’unica cosa che si potrebbe tentare di fare è una diffida, fatta però questa volta da un avvocato e non da te personalmente, cosa che serve sempre a molto poco e spesso è persino controproducente.

Bisognerebbe capire però di quanti soldi parliamo.

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Assegno divorzile: mi spetta dopo separazione consensuale?

sono separata con due figli, una maggiorenne uno minorenne da 11 giugno 2019, in separazione dei beni. allo scadere dei 6 mesi mio ex marito ha chiesto il divorzio perchè aveva già un altra relazione con una donna che nel frattempo si è separata anche lei , anche lei in separazione dei beni e con due figlie maggiorenni. con la separazione consensuale fatta, la casa, di proprietà di entrambi l’abbiamo intestata ai nostri figli ed io ne ho l’usufrutto. su questa casa avevamo un mutuo che pagavamo insieme, con un conto cointestato, e con la separazione lui la estinto tutto da solo, perchè tre anni prima della separazione, era diventato ricchissimo con un bonifico che il padre gli aveva intestato, ma mi ha costretto a pagare il mutuo con lui fino al momento della separazione. il divorzio ,chiesto da lui , è in fase iniziale, ma intanto ha comprato una villa stratosferica . io ho stipendio di 1.500 e 3000 sul c/c e alimenti 700. ho diritto a chiedere un assegno divorzile?

Naturalmente, non c’è mai una sicurezza assoluta su temi come questo, si possono solo fare delle valutazioni che vanno poi combinate con quelle strategiche di gestione della situazione.

In presenza di un certo squilibrio patrimoniale, i presupposti per richiedere un assegno divorzile potrebbero esserci, però vanno fatte delle ulteriori valutazioni.

In primo luogo, se capisco bene, in sede di separazione consensuale non è stato previsto alcun assegno di mantenimento da un coniuge all’altro, immagino con formule solite quali quelle per cui ognuno dei due rinuncia all’assegno dichiarandosi autosufficiente.

Questa prima circostanza richiederebbe che la disparità patrimoniale si fosse verificata dopo la separazione, quando invece, da quello che riferisci, lui «tre anni prima della separazione, era diventato ricchissimo».

Un giudice, quindi, potrebbe chiederti: se non hai chiesto l’assegno al tempo della separazione, quando lui era già ricco, anzi ricchissimo, perché lo chiedi adesso?

Oltre a questa circostanza, va considerato che la richiesta di un assegno di mantenimento porta con sé il rischio della perdita della consensualizzazione, nel senso che, avendo voi fatto una separazione consensuale, ora probabilmente potreste essere in grado di fare un divorzio congiunto. Se, invece, inoltri una richiesta di assegno divorzile, probabilmente fai venire meno la disponibilità di tuo marito ad un divorzio congiunto, con la necessità, poi, di affrontare un divorzio giudiziale, cosa che potrebbe farti spendere molti più soldi, tempo e «fegato», per non arrivare poi magari a nulla di diverso da quello che avresti ottenuto con un divorzio congiunto.

Tutto sommato la vedo un po’ grigia, per questi motivi, naturalmente si potrebbe approfondire ulteriormente, anche se a naso mi pare che difficilmente ne potrebbe valere la pena. Se volessi comunque fare questo lavoro di approfondimento, valuta di acquistare una consulenza.

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Mio marito pretende l’uguaglianza: ha ragione?

Sono sposata in regime di separazione dei beni, abbiamo 3 figli. Io lavoro come impiegata in un’azienda e guadagno 1200 euro al mese. Mio marito invece ha un’azienda sua e guadagna cinque volte più di me, ma mette in casa, per le spese della famiglia, solo 1200€ al mese, corrispondenti a quello che porto a casa io, perché dice che ognuno deve contribuire uguale all’altro. Solo che così facendo viviamo, e facciamo vivere i nostri figli, con un tenore molto più basso di quello che, in realtà, ci potremmo permettere. È giusta una cosa del genere?

L’art. 143, comma 3°, cod. civ., posto in apertura di una parte del codice intitolata «Dei diritti e dei doveri che nascono dal matrimonio», prevede che «entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia».

Si tratta di una disposizione di riguardo, la cui lettura è obbligatoria anche in Chiesa, durante la celebrazione del matrimonio concordatario, insieme ai successivi articoli 144 e 147, proprio perché ritenuta particolarmente importante sul tema delle conseguenze derivanti dal matrimonio.

L’articolo in esame è molto chiaro: il contributo che deve essere prestato da ciascun coniuge non è mai parametrato a quello che fa o può fare l’altro, non vige un principio, analogo ad esempio a quello valevole per i conferimenti delle società commerciali, per cui la «quota» da versarsi ad opera di ciascun coniuge, o socio, è identica.

Vale, in realtà, il principio opposto: ogni coniuge deve dare il massimo, in base alle proprie sostanze, e quindi al suo patrimonio, e alla sua capacità lavorativa, per le esigenze della famiglia.

Come avvocato, mi sono imbattuto di applicazioni di questa disposizione soprattutto in caso di famiglie oramai, purtroppo, disgregate e quindi in occasione di separazione e divorzio.

Così ad esempio nel caso in cui i figli stiano uguale tempo con un genitore e con l’altro non è detto che non sia prevedibile un assegno dall’uno all’altro genitore. Quando, infatti, lo squilibrio tra i redditi reciproci è forte, nonostante la parità di tempi di permanenza, i giudici prevedono ugualmente un assegno, che consente ai figli di godere, anche quando stanno con il genitore economicamente più debole, di un tenore di vita non così diverso e deteriore.

Anche il concetto di «capacità lavorativa» è applicato molto spesso e largamente dai giudici. A volte si presentano genitori che, sostenendo di non lavorare oppure di lavorare in un’attività che «malauguratamente» è in rosso da anni, credono di scamparsela, mentre invece i giudici li condannano comunque a versare un mantenimento per i figli, considerando non la situazione attuale, ma la loro capacità lavorativa potenziale.

La legge vigente, insomma, non è a favore di tuo marito.

Su un piano più generale, va ricordato che la famiglia, come cennato prima, non è una società commerciale, che è un contratto, e non si basa mai su un rapporto di tipo sinallagmatico, cioè su un equilibrio tra prestazione e controprestazione, cosa che è invece tipica dei contratti.

Se io, ad esempio, ti vendo un computer dietro pagamento di un prezzo, quando tu poi questo prezzo non me lo paghi, io sono legittimato a non consegnarti il computer, c’è anche un antico brocardo latino che esprime questo inadimplenti non est adimplendum. Perché è un rapporto sinallagmatico in cui devono esserci entrambe le prestazioni, se una viene meno può essere sospesa anche l’altra.

La famiglia non funziona così, la famiglia è un contesto in cui tu consegni il computer anche quando chi lo prende non ne paga il prezzo. Non so ad esempio quante volte ti è capitato di comprarne uno per i tuoi figli… Ma vale anche nei rapporti tra i coniugi.

Insomma, in famiglia la regola non può assolutamente mai essere quella per cui le «prestazioni» dei due coniugi devono stare in corrispondenza tra loro, ma quella per cui ognuno deve fare il massimo che può per l’altro coniuge e per i figli.

Questo prima di tutto a livello concettuale, ma poi anche a livello pratico.

Come si calcolerebbe con precisione il contributo di ciascun coniuge, infatti? Se la moglie sta a casa, accudisce i figli, gestisce la casa stessa, prepara i pasti, cura le pulizie e così via, secondo lo schema classico e tradizionale di molte famiglie, e il marito può così, solo grazie al lavoro casalingo della moglie, lavorare «fuori» e guadagnare molto, quei molti guadagni che nominalmente sono solo del marito, non sono anche in realtà metà della moglie, grazie alla quale si sono potuti maturare e senza il cui lavoro non si sarebbero mai potuti avere?

Questa era ed è la logica alla base dell’istituto della comunione dei beni come regime patrimoniale tra i coniugi, logica che permane anche nelle coppie come la tua dove hai la separazione dei beni perché è una realtà fattuale anche prima che giuridica.

Per me, tuo marito su questo sbaglia. Per lavorare su questo «nodo», consiglio, considerato che siete ancora sposati, alcune sedute di mediazione familiare da un bravo professionista.

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Faccio da garante per ex moglie: come mi tutelo?

devo fare da garante alla mia ex moglie (madre di mio figlio di 4 anni) per l’acquisto di una casa dove andrà ad abitare con mio figlio e con la quale abbiamo fatto una separazione consensuale che prevede un riconoscimento di un assegno di mantenimento mensile di 400 euro e che lei vada ad abitare con mio figlio nella nuova casa. Come posso tutelarmi qualora lei in futuro diventasse inadempiente? Posso fare ad esempio una scrittura privata? Che mi consigliate di fare?

Se l’operazione viene svolta come avviene di solito in casi del genere, tu dovresti comparire come fideiussore nel contratto di mutuo stipulato per atto pubblico davanti ad un notaio.

In queste condizioni, non avrebbe alcun senso fare una scrittura privata a parte, dal momento che risulta già da un atto avente maggior valore di prova, l’atto pubblico stipulato davanti ad un notaio, che tu intervieni nel mutuo non in qualità di co-mutuatario, bensì di garante.

Da questa qualità di fideiussore, o garante, discende direttamente per legge che, se il mutuatario, cioè la tua ex moglie, non paga il mutuo e la banca chiede a te il pagamento nella tua qualità appunto di garante e tu effettivamente paghi, poi hai un’azione di regresso nei confronti della tua ex moglie per quello che sei stato costretto a pagare.

A questo punto, piuttosto, il problema potrebbe essere quello della solvenza della tua ex moglie, come spiego meglio nella scheda sul recupero crediti, che ti invito a leggere con attenzione, mentre a livello documentale, come contratto, non credo ci sia molto altro che si possa fare.

L’unica cosa che ti consiglierei è quella di far vedere ad un avvocato il testo del contratto di mutuo che andrai a sottoscrivere insieme alla tua ex moglie, in modo da verificare bene ed in concreto che il quadro sia effettivamente quello sopra delineato e non vengano impiegate formule o clausole che potrebbero far pensare, anche solo in parte, a conclusioni diverse. Se vuoi far fare a noi questo lavoro di controllo, assistenza e consulenza, puoi acquistare una consulenza dalla voce apposita nel menu principale del blog.

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Nuovo 570 bis codice penale: e i figli di conviventi?

1)Il principio della “riserva di codice”, contenuto nel Decreto legislativo, 01/03/2018 n° 21, pubblicato in G.U. 22/03/2018 ed entrato in vigore dal 6 aprile, ha voluto unificare in un unico alveo tutte le disposizioni in materia penale già contenute in diverse previsioni legislative allo scopo di dare maggior protezione a beni di rilievo costituzionale. L’essenziale ratio del principio è stata quella di migliorare la conoscenza dei precetti e delle sanzioni da parte dei soggetti e, conseguentemente, tentare di concretizzare la effettività della funzione rieducativa della pena. Il principio viene attuato mediante l’inserimento, all’interno del codice penale, di tutte le fattispecie criminose previste da disposizioni di legge già in vigore, per dare più forza alle stesse e per evitare la dispersione delle tutele. Oggetto della riserva di codice, fra le altre, sono state le norme sanzionatorie per il mancato pagamento dell’assegno di divorzio e delle somme stabilite in sede di separazione dei coniugi;

2)Fra le conseguenze dell’introduzione del ridetto principio vi è, per l’appunto, l’introduzione nel codice penale dell’art 570 bis, che così dispone “Le pene previste dall’articolo 570 si applicano al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero vìola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli

3)Detta previsione è stata al centro di numerose polemiche e non è attualmente scevra dal rischio di pronuncia di incostituzionalità dato il riferimento esclusivo alla famiglia “tradizionale” evidenziato dal primo comma. Nel riferirsi al coniuge ed esclusivamente ad esso, la norma riprende la tutela che era prevista dalla disposizione ex art. 12-sexies della legge 898/1970, (abrogandolo) in materia di divorzio e perciò espressamente riferita al coniuge ed alla crisi del matrimonio, ma, allo stesso modo, non include anche la tutela che era prevista dalla legge dall’articolo 3 della legge 54/2006 nei confronti di tutti i figli naturali anche se non riconosciuti, o comunque di coppie non sposate. L’art 570 bis infatti è espressamente abrogativo dell’art 3 citato, come anche delle altre tutele previste in materia di famiglia non contenute nel codice penale, in virtù del principio della riserva di codice. L’articolo 570 bis pertanto, seppur voglia concentrare e specificare tassativamente la punibilità del soggetto che viola gli obblighi familiari, concentrando la censurabilità della condotta solo nei confronti del coniuge, implicitamente ammette che il medesimo comportamento, cioè la violazione degli obblighi familiari, da parte di un soggetto non coniugato, ma che ha procreato, non possa essere perseguita proprio perchè in assenza di vincolo giuridico di coniugio, superando tutte le agognate e raggiunte condizioni di uguaglianza fra figli naturali e riconosciuti che si erano attestate da poco tempo nell’ordinamento.

Conseguenze

Per il principio di tassatività dell’ordinamento penale quindi, che, a tutela del cittadino, obbliga il giudice ad applicare solo ed esclusivamente ciò che viene sancito dalla norma, l’art. 570 bis configura come soggetto punibile solo ed esclusivamente il coniuge che non provvede ai figli, non essendo prevista altra figura punibile dalla lettera della previsione normativa. La tutela della posizione di figli di persone non coniugate però continua e continuerà ad essere effettiva ricorrendo all’art. 570 c.p. che, riferendosi indifferentemente a violazione di obblighi familiari, punisce chi abbandona il domicilio domestico, o comunque serba una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie e si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale.

Il riferimento alla responsabilità genitoriale mette in luce tutte le possibili applicazioni ampie del concetto di famiglia, potendo farvi riferimento indifferentemente per coppie coniugate o non coniugate. Condotta contraria alla morale della famiglia è certamente rappresentata dalla violazione degli obblighi di mantenimento dei figli, legati indissolubilmente dal rapporto genitoriale che è immutabile nel tempo. I genitori sono tali a prescindere dai rapporti fra loro, ed hanno specifici obblighi che non possono essere limitati od esclusi da nessuna definizione normativa. Il passaggio auspicato dal concetto civilistico di “potestà genitoriale”di stampo fortemente ottecentesco e privatistico, che conferiva la proprietà dei figli ai genitori, a quello più moderato e costituzionalmente orientato di “capacità genitoriale”, che conferiva un rapporto più equilibrato fra genitori e figli, a quello più moderno e completo di “responsabilità genitoriale” non può e non deve subire limitazioni o bruschi arretramenti culturali, da nuove previsioni che apparentemente ampliano le tutele per le famiglie ed i figli ma che in realtà non modificano alcunchè ed addirittura possono limitarle.

Se anche tu hai problemi inerenti la violazione di obblighi familiari o di mancati pagamenti per il mantenimento dei tuoi figli, contattaci o chiedici un preventivo compilando i moduli appositi nel menu principale del blog.

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Divorzio in comune senza mantenimento: può chiederlo dopo?

sono divorziato dal 2017 da un matrimonio in regime di separazione dei beni. Io e la mia ex abbiamo usufruito del divorzio breve consenziente in Comune, entrambi eravamo d’accordo di non farci affiancare da un avvocato e non abbiamo stabilito nessuna condizione economica, tipo assegni di divorzio e di mantenimento, in quanto senza figli ed entrambi autonomi lavorativamente parlando. Semplicemente lei si è presa le cose di sua proprietà io mi sono tenute le mie. La mia domanda ora è questa: può la mia ex , alla luce di tutto questo, andare in tribunale e richiedere un mantenimento o un qualsiasi risarcimento? Lei convive con un altro uomo da quando abbiamo ottenuto il divorzio, io invece mi sono risposato. Siamo sempre stati in buoni rapporti finora, ma temo che questo suo nuovo compagno possa indurla a fare tali richieste.

Personalmente, come sa chi segue regolarmente il blog, sono abbastanza sfavorevole alla separazione e divorzio in comune senza alcuna assistenza da parte di un avvocato, proprio perché, al di là dell’operazione in sé, ci sono alcune cose da capire che, senza l’intervento di un legale, sono destinate invece a rimanere oscure e a genere, di conseguenza, dei problemi.

Purtroppo, quando dico che separarsi o divorziare in comune è sconsigliabile, le persone, non conoscendomi e non sapendo che spesso consiglio cose contro il mio interesse, pensano che, al contrario, voglia solo guadagnarci.

In realtà, un buon compromesso, che poi è quello che consiglio in questi casi, potrebbe essere quello di fare separazione e/o divorzio in comune, ma chiedendo al contempo una consulenza di approfondimento ad un avvocato. Con una spesa contenuta di massimo due-trecento euro, si può affrontare la cosa con molta più cognizione di causa.

Detto questo, in linea di principio le condizioni di divorzio possono sempre cambiare, ovvero ognuno dei coniugi può depositare in tribunale un ricorso per modifica condizioni – salvo che non si tratti di modifiche consensuali, che possono essere fatte con un accordo in house.

Quindi in astratto la tua ex moglie questo diritto ce l’avrebbe.

Tuttavia, la nuova convivenza, per giurisprudenza piuttosto costante, fa venir meno il diritto ad un assegno di mantenimento da parte dell’ex coniuge, perché determina la decadenza della solidarietà post coniugale che, se il coniuge ha formato un nuovo nucleo, anche di fatto, con un’altra persona, non ha più ragione di esistere.

Tra l’altro la Cassazione, con la sentenza 6855 del 3 aprile 2015, ha chiarito che la solidarietà post coniugale viene meno per sempre nel momento in cui si è instaurata una convivenza stabile e duratura, anche qualora questa convivenza, in seguito, dovesse venir meno.

In conclusione, credo che molto ben difficilmente la tua ex moglie potrebbe presentare un ricorso per vedersi riconosciuto un assegno di mantenimento.

Per ulteriori approfondimenti, puoi valutare di acquistare una consulenza, anche se non credo che nel tuo caso ne possa valere la pena.

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a quali presupposti si può chiedere la riduzione del mantenimento per il figlio?

Da otto anni verso l’assegno di mantenimento pari a 270 euro per mia figlia che vive con sua madre, dalla quale sono divorziato, e con i nonni materni. Sapendo che ex moglie e ex suoceri hanno un tenore di vita altissimo percependo due stipendi da dirigenti (3000+4000 euro circa) più uno da impiegata (1800 circa) oltre ad avere diverse proprietà immobili in giro e considerando invece che il mio reddito è pari a 1000 euro al mese più spese di mutuo e un altro figlio con la mia nuova compagna (impiegata part time), ci può essere il presupposto per abbassare la cifra del mio assegno?

In primo luogo bisognerebbe vedere il titolo che ha previsto la misura di 270 euro / mese originariamente, cioè se un divorzio giudiziale, congiunto, un provvedimento presidenziale e cos’altro, dopodichè confrontare la situazione esistente al momento in cui è stato emesso quel titolo con quella attuale, per vedere se c’è stato un peggioramento della tua condizione economica e/o un miglioramento di quella della tua ex moglie.

In generale, poi, va considerato quanto segue:

– il reddito dei tuoi ex suoceri non ha nessuna rilevanza, ma solamente quello della tua ex moglie

– un nuovo figlio non è generalmente considerato un presupposto per ottenere una riduzione dell’assegno, considerando che i giudici ritengono per lo più la procreazione un fatto responsabile a cui si dà corso quando si sa di poter far fronte sia ai vecchi che ai nuovi obblighi

– 250 euro in molte sedi di tribunale è considerato il «minimo sindacale» per quanto riguarda il mantenimento di un minore.

In conclusionale, dunque, la vedo abbastanza grigia, c’è una possibilità di provarci ma al massimo potresti, penso, ottenere una riduzione a 200€, non credo di meno, quindi penso che tutto sommato difficilmente possa valer la pena. Per ulteriori dettagli, ti rimando alla nostra scheda pratica sulla modifica delle condizioni.