La mia intervista a «Il Bello di dirsele» del 5 maggio 2021 – giornata internazionale contro la pedofilia – sul tema della difesa dei più piccoli da questi gravi reati, che oggi sono resi più facili dalla diffusione dei social network.
Non c’è altra definizione di uomo vero: quello che diventa più maschio e più forte possibile, per poi mettere tutto a servizio della donna e, più in generale, di tutto ciò che ama. Questo è l’uomo di cui hanno tutti bisogno oggigiorno, a partire proprio dalle donne e dai bambini, ma questo é il tipo di uomo contro cui il potere sta conducendo una lotta spietata e infame.
La Williams nel ritirare il Golden globe ha dichiarato «non avrei vinto il Golden Globe se non avessi abortito, quindi sono grata del diritto di decidere».
Ecco la modernità: una donna che preferisce una statuetta, cioè un idolo, al proprio bambino e lo dichiara orgogliosa davanti a tutto il mondo.
Non ha né la mia stima né, mi dispiace, il mio rispetto, perché la chiamata della donna é, all’esatto opposto, alla custodia della vita, non certo alla collezione di idoli senza alcun valore.
Una donna che non solo ha fallito in questo ma, non paga, propone il suo profondo e tragico fallimento a tutte le altre donne addirittura come un modello, per me non vale niente come tale.
Resta la persona e la possibilità di vedere, un domani, il suo peccato, magari pentirsene e dare una croce a quel morto.
Riporto di seguito il commento, apparso su facebook, di Costanza Miriano, che condivido integralmente.
“Non avrei vinto il Golden Globe se non avessi abortito, quindi sono grata del diritto di decidere, quando al tuo corpo succedono delle cose che non scegli” – ha detto Michelle Williams ritirando la sua statuetta, che manco valesse un miliardo di miliardi potrà mai ripagare l’uccisione di tuo figlio. E così, da soluzione a casi estremi l’aborto è diventato un tana libera tutti: ammazzo mio figlio perché “adesso non è il momento”. E’ la strategia dei radicali, apri una breccia, fai passare una punta, e spalanchi la voragine (vedi eutanasia). Quante donne ci sono cadute dentro senza capire. In America la legge sull’aborto ha vinto grazie a una bugia, uno stupro inventato, la famosa sentenza Roe Wade. Ormai è storia, la donna ha confessato, non c’era stato nessuno stupro. Anche in Italia la 194 era nata come una legge – pessima e sbagliatissima – per intervenire in casi di pericolo serio per la vita della donna. Invece dappertutto ormai nel mondo l’aborto – 42 milioni di morti solo nel 2019 – è usato quasi sempre così, l’atroce terribile male peggiore di tutti, la mamma che ammazza il suo bambino, ridotto a ordinaria amministrazione. Ma poi per le donne arriva un dolore… al telefono SOS Vita telefonano anche ottantenni che ancora non si sono perdonate…
Il 27 dicembre 2016 scrivevo questo post su facebook, che diventava il più cliccato e il più condiviso di sempre. Lo ripropongo anche qui nel blog. Non è un post metaforico, credo in ogni singola lettera di quello che ho scritto.
Come avvocato divorzista, la domanda che le persone mi fanno più spesso e volentieri é «Come mai ci sono così tante separazioni, divorzi e famiglie che si sfasciano?»
Quando, però, rispondo che è colpa del diavolo, ognuno di coloro che mi hanno rivolto questa domanda se ne pente e subito desidererebbe non averla mai formulata.
Quando, poi, ulteriormente glielo dimostro in concreto e puntualmente, se ne pente ancora di più.
Che poi non è nemmeno del tutto vero.
Il diavolo è sempre esistito e se ne è sempre andato per il mondo e per le anime a raccontare le sue fesserie. Il punto è che oggigiorno, epoca della distrazione e della profonda convinzione dell’opportunità di seguire il proprio cuore, anche a costo di mettere il cervello nel cesso, nessuno ha più capacità di discernimento.
Anzi, pochi sanno addirittura cosa significhi la stessa parola discernimento.
Non è un’offesa, significa capacità di scelta, di cernita, di distinzione tra ciò che è buono e ciò che non lo è. Richiede consapevolezza, che a sua volta richiede di non essere distratti…
Torniamo al diavolo. A me non fa paura, a voi nemmeno, ma per motivi profondamente diversi e rilevanti.
Io non mi illudo che non esista (una delle sue bugie preferite, se non la preferita in assoluto), ho imparato a conoscerlo e, lavorando su me stesso, ho capito come mandarlo regolarmente affanculo, salvo momenti di debolezza che spero non arrivino mai o il meno possibile (già la consapevolezza che potrebbero esserci mi salva, tuttavia).
A voi invece non fa paura perché pensate che non esista, che sia una roba medioevale o cattoretrograda, buona al massimo per far rigare diritto i bambini, surclassato peraltro in quello da altre e più laiche figure, come l’uomo nero.
Ed è così che perdete il senso della necessità di lavorare su voi stessi per superare lo sconforto, la debolezza, i momenti di crisi, per riuscire a chiuderli e non farli invece precipitare sempre di più.
Ma torniamo di nuovo a lui, il diavolo. Partiamo dall’etimologia, dal greco dia ballein: dividere, separare, seminare zizzania, calunniare. Il nome “diavolo” significa letteralmente “colui che divide”. É azzeccatissimo. Infatti il suo lavoro e il suo godimento, la ragione stessa della sua esistenza, la sua essenza, é proprio quello, dividere, far litigare, allontanare le persone: i genitori dai figli, i genitori tra loro, i fratelli, l’uomo da Dio.
Come avvocato, vi posso dire che il diavolo oggigiorno il suo lavoro lo svolge con un ritorno di investimento incredibile, come mai ha avuto prima.
Forse proprio questo è il tratto caratteristico della nostra epoca: la divisione, l’isolamento e la profonda infelicità e insoddisfazione che ne derivano.
Va considerato che le guerre ad esempio per il diavolo ormai sono sicuramente noiose. Si vabbeh gli piace far crepare la gente e i bambini sotto le bombe, é bellissimo, ma poi finisce tutto subito… Vuoi mettere invece spaccare una famiglia e condannare tutti i membri a portare nel cuore dolore per tutto il resto della loro vita, fiaccarli come uomini e tenerli sotto il suo giogo per sempre? Uno che crepa smette di soffrire subito, lui vuole invece gente che soffre tutti i giorni, per tutta la vita.
É anche per questo che finiamo per fare campagne contro la guerra o preferiamo attardarci al lavoro per condividere foto di cani o gatti da adottare quando a casa c’è un uomo, una donna o un bambino che avrebbe bisogno di parlare con noi, di giocare o anche solo di una carezza.
O che tutti vogliono cambiare il mondo, ma nessuno aiutare la mamma a lavare i piatti.
O che sviluppiamo ragionamenti perfetti che però di fatto servono solo a tenere le nostre vite, e quelle di chi ci è vicino, immerse nel nulla.
O che non capiamo che il nostro valore è unicamente nell’amore e nell’affetto che siamo in grado di dare.
Ma torniamo per la terza volta a lui. Come opera il diavolo?
Prendiamo, per capirlo, un altro dei suoi nomi (sempre alla faccia di quelli che dicono che l’etimologia non serva a un cazzo). Lui è Lucifero, ha la luce. Il diavolo ha la luce e la usa. Prende una bugia e la riempie di luce così che sembra vera, sembra talmente vera che solo un occhio attento è capace di vedere la differenza (discernere). Purtroppo, l’uomo moderno é generalmente senza alcuna difesa.
Un esempio dalle cronache di questi giorni: quel papà, nella notte di Natale, che ha creduto alla bugia per cui la più brillante soluzione per il fatto che la sua compagna, madre di sua figlia, volesse lasciarlo fosse ammazzarla.
Fate bene attenzione: questi uomini e queste donne che uccidono il partner non sono Orchi. Sono persone normali. Sono persone normalissime. Io ne vedo tutti i giorni persone che vorrebbero uccidere il partner. Vi dò una informazione: tutti quelli che attraversano una crisi familiare provano il desiderio di ammazzare l’altro. É umano. Io sono così bello e buono e laltro non mi vuole più, ma come osa? La differenza la fa la capacità di avere consapevolezza e fermarsi prima. Perché ci sono sempre più omicidi per questi motivi? Perché questa capacità non c’è più.
Chi ha ammazzato quella mamma, che era madre anche di un’altra bambina, ha reso orfane due bambine, si è condannato a finire il resto della sua vita in carcere e ha condannato sua figlia a non vederlo più e ad essere data, se va bene, ai nonni o ad un’altra famiglia. L’ha destinata a vivere una tragedia, un problema senza una possibile soluzione, un dolore che dura per sempre.
E tutto questo la notte di Natale, quando la bambina aspettava i regali sotto l’albero.
Il diavolo è un figlio di puttana, noi siamo diventati dei coglioni.
Essere genitori si sa, comporta molte preoccupazioni nei confronti dei figli, soprattutto quando in tenera età, questi iniziano a frequentare la scuola dell’infanzia.
La scuola dell’infanzia rappresenta la prima fase del percorso educativo, caratterizzata da gioco e convivenza con i compagni in preparazione alla scuola primaria, ma cosa succede se nostro figlio subisce un infortunio nei locali dell’asilo? Di chi è la responsabilità? A chi spetta il risarcimento dei danni?
In questi casi non è assolutamente semplice comprendere di chi sia la responsabilità e come muoversi di conseguenza per ottenere tutela ed essere risarciti per il danno subito e spesso ci si ritrova davanti a numerosi dubbi.
A fare chiarezza sul tema, è intervenuto il Tribunale di Ravenna, che con la recente sentenza n. 213/2018, ha fornito delle risposte precise circa l’ambito di responsabilità dell’asilo nei casi di caduta di uno dei bimbi all’interno della struttura. In particolare, nel caso in esame, i genitori del minore avevano agito in giudizio per chiedere il risarcimento del danno patrimoniale e morale, in seguito all’infortunio del loro bambino nei locali dell’asilo comunale di Ravenna.
Le conseguenze del danno, accertate da apposita Consulenza tecnica d’ufficio, erano “lesioni permanenti consistenti in esiti di cicatrice asolariforme in regione periorbitaria sinistra di lunghezza, pari a 1,3 cm; un danno biologico permanente pari al 3%; invalidità temporanea parziale di 30 giorni”.
È bene precisare, prima di entrare nel merito della vicenda, che con l’accoglimento della domanda di iscrizione presso un istituto scolastico e la conseguente ammissione dell’allievo a scuola, sorge un vincolo negoziale tra le due parti, dal quale discende, accanto all’obbligo principale di istruire ed educare, quello accessorio di proteggere e vigilare sull’incolumità e sulla sicurezza dell’alunno, per tutto il tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica. Pertanto la scuola è tenuta ad adottare tutte le misure idonee a prevenire ed impedire la produzione di danni a terzi e ad adottare tutti gli accorgimenti necessari al fine di evitare che gli alunni subiscano degli infortuni all’interno della struttura scolastica.
In considerazione di tutto ciò, la consolidata giurisprudenza riconosce due tipi di responsabilità ravvisabili in capo al Ministero dell’Istruzione o all’ente gestore di una scuola privata quando gli alunni subiscono danni nel periodo in cui dovrebbero essere vigilati dal personale scolastico:
contrattuale: se la domanda è fondata sull’inadempimento dell’obbligo di vigilare o di tenere o non tenere una determinata condotta;
extracontrattuale: se la domanda è fondata sulla generale violazione di non recare danno ad altri, ex articolo 2043 c.c.
La Cassazione, ritenendo che “lo stesso comportamento può costituire fonte per il suo autore sia di una responsabilità da inadempimento, sia di una responsabilità da fatto illecito, quando l’autore della condotta anziché astenersene la tenga, ovvero manchi di tenere la condotta dovuta e le conseguenze sono risentite in un bene protetto, non solo dal dovere generale di non fare danno ad altri, ma dal diritto di credito, che corrisponde ad una obbligazione specificamente assunta dalla controparte verso di lui”, riconosce la facoltà in capo al danneggiato di scegliere se chiamare al risarcimento dei danni la scuola in ragione di una sola delle due responsabilità o di entrambe contemporaneamente.
L’attore sarà tenuto solamente a dimostrare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, mentre sull’altra parte graverà l’onere di dimostrare che l’evento dannoso è stato determinato da una causa non imputabile né all’istituto né al suo personale, nonché di aver predisposto ogni accorgimento idoneo ad impedire la realizzazione dell’evento.
Ciò premesso, nella fattispecie, i genitori del minore leso, avevano agito in giudizio nei confronti della scuola, optando per la responsabilità di tipo contrattuale e il Tribunale dopo aver accolto la domanda, si era pronunciato dichiarando la responsabilità dell’istituto scolastico.
Il giudice aveva ritenuto che non fosse possibile configurare un’ipotesi di caso fortuito – unico fattore che avrebbe potuto escludere il nesso di causalità (e pertanto la responsabilità dell’istituto scolastico) tra l‘insufficiente vigilanza dei bambini, in tenera età, da parte delle maestre ed il verificarsi dell’infortunio – in quanto è del tutto prevedibile che i bambini piccoli, durante l’attività ludica, possano porre in essere un gesto improvviso o possano compiere gesti vivaci, pertanto è onere degli insegnanti quello di non perderli di vista e di evitare qualsiasi tipologia di danno.
Esiste infatti una sorta di “contratto di protezione”, secondo il quale, tra gli interessi da realizzarsi da parte della scuola, rientra quello dell’integrità fisica dell’allievo.
Nel caso in cui si verifichino infortuni all’interno dell’istituto scolastico, è bene avere conoscenza fin da subito delle modalità più adeguate per procedere e ottenere nell’eventualità un risarcimento del danno subito.
Pertanto la strada migliore è quella di farsi seguire da un buon legale che possa consigliarti e assisterti.
Se lo ritieni o pensi ti possa interessare anche solo approfondire il tema, è possibile richiedere una consulenza al nostro studio compilando il modulo apposito.