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Vicino chiede di passare per raggiungere la fogna: che fare?

Sono proprietaria di un fondo e il mio vicino e anche confinante mi ha chiesto di collegarsi alla rete fognaria passando attraverso il mio terreno. Cosa mi consiglia di fare?

Come si fa a rispondere ad una domanda del genere senza conoscere lo stato dei luoghi e ogni altra circostanza?

Si possono fare solo alcune osservazioni di carattere molto generale.

Appunto in linea generale, è vero che sono previste dalla legge, in alcuni casi, servitù coattive.

Le servitù coattive sono servitù che possono essere costituite con un provvedimento del giudice in presenza di determinati presupposti. In altri termini, in determinate situazioni la legge riconoscere al proprietario di un fondo o di un bene immobile il «diritto» di imporre ad un altro proprietario la costituzione di una servitù.

Un esempio classico di servitù coattiva è quella di passaggio, che il proprietario di un fondo intercluso, cioè senza accesso, o comodo accesso, alla strada pubblica, ha «diritto» di imporre al proprietario del fondo, o dei fondi, sui quali ha la necessità di passare per accedere alla via pubblica.

È evidente che le servitù non possono sempre dipendere dal consenso dei privati, se ragionassimo in questo modo, seguendo sempre il nostro esempio, ci potrebbero essere fondi inaccessibili, cosa che ovviamente è inammissibile, dal momento che ogni terreno è giusto che possa venire sfruttato, per esigenze abitative o di produzione, non solo agricola ma anche industriale.

Detto questo, si può dire ulteriormente che può darsi che il tuo vicino, che al momento si è limitato a chiederti amabilmente il permesso di poter passare con le sue tubazioni, abbia, in caso di mancanza di consenso da parte tua, il diritto ad uno scarico coattivo.

Questo significa che, in caso di negazione del consenso, potresti subire una causa alla fine della quale la servitù verrebbe comunque costituita e tu potresti anche essere condannata a pagare le spese legali.

Per dire se questo è il caso, ovviamente bisognerebbe approfondire molto di più la situazione.

Ancor prima di questo, anche perché un approfondimento del genere richiederebbe un lavoro di un certo tipo e di conseguenza un certo investimento, in generale va detto che un accordo è sempre comunque preferibile, quando si può raggiungere senza troppo incomodo e anzi magari con alcuni vantaggi.

Se vuoi approfondire, come ti consiglierei, la situazione, ti suggerirei di valutare l’acquisto di una consulenza, scegliendo la relativa opzione nel menu principale del blog. Ti raccomando, con l’occasione, di iscriverti alla newsletter del blog, o, se non ti piace la mail, al gruppo Telegram, in modo da non perderti importanti e utili aggiornamenti quotidiani.

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CTU: se una parte non lo paga, paga tutto l’altra?

mio padre ha attualmente in corso una causa con un architetto che a seguito di lavori svolti presso la sua abitazione, ha provato ad estorcergli 6mila€. Nel corso della causa il giudice ha nominato un perito che ha effettuato una perizia presso l’abitazione di mio padre ed al seguito di quest’ultima si è visto richiedere dal tribunale il pagamento di € 900 quale somma dovuta al perito. Mio padre ha regolarmente pagato entro i termini prefissati, ma pochi giorni dopo è stato contattato dalla banca perché il tribunale ha eseguito un pignoramento di €2900 e rotti in quanto la controparte non ha pagato il perito, essendosi dichiarata nullatenente (un architetto che gira con un mercedes da 90 e più mila €). Vorrei sapere se questa cosa fatta dal tribunale è giusta e se ci sono mezzi per opporsi al pignoramento. Di certo sto vivendo in prima persona lo schifo del sistema giudiziario italiano.

La giustizia di questa cosa ognuno deve valutarla da sé, qui non discutiamo, generalmente, di cosa è giusto o meno, ma di quello che è legittimo o illegittimo, cioè previsto e consentito dalla legge, o meno, a prescindere dall’eventuale giustizia o ingiustizia.

A questo riguardo, ti devo dire che la cassazione, ad esempio, ha più volte ribadito la regola secondo cui l’obbligo di pagare la prestazione eseguita dal consulente tecnico d’ufficio, o CTU, ha natura solidale ex art. 1294 c.c., in considerazione del fatto che la sua prestazione viene svolta nell’interesse di tutte le parti del giudizio (Cass, n. 6199/96 ed altre ivi citate; 2262/04; 17953/05; 20314/06; 23586/08).

Quando una obbligazione è solidale, il creditore, nel nostro caso il CTU, può richiedere l’intero pagamento ad uno qualsiasi dei condebitori, mentre saranno poi i condebitori a regolare gli obblighi tra loro mediante l’esercizio dell’azione di regresso.

Quando in una obbligazione ci sono più debitori, peraltro, la solidarietà è la regola e la soluzione diversa, che si chiama parziarietà, rappresenta l’eccezione; un esempio di obbligazioni parziarie sono quelle successorie: qui il creditore può chiedere ai singoli eredi solo la rispettiva parte di ciascuno di essi e non l’intero.

Quindi tutto quello che è accaduto è legittimo ed è previsto così perché il CTU, che viene chiamato a prestare la propria opera lavorativa all’interno di un processo senza avere alcuna colpa di eventuali malefatte compiute dall’uno o dall’altra parte, è bene che abbia le maggiori garanzie possibili di ricevere il proprio compenso, anche perché, come ricorda la cassazione, lui lavora cercando di agevolare l’accertamento della verità, cosa che dovrebbe essere nell’interesse di entrambe o tutte le parti del giudizio.

Sotto un altro profilo, comunque, tuo padre non avrebbe dovuto apprendere del pignoramento dalla telefonata della banca, perché, se è vero che il decreto di liquidazione del CTU è titolo esecutivo, è anche vero che la notifica del precetto resta pur sempre necessaria. Tuo padre, dunque, prima del pignoramento avrebbe dovuto ricevere la notifica del precetto. Se l’ha ignorata, purtroppo, deve imputare a sé l’aver fatto andare avanti il pignoramento, con la successiva crescita esponenziale delle spese legali e correlativa figura non eccezionale con la banca.

Per quanto riguarda la causa attualmente pendente, direi che sarebbe stato meglio procedere, in un caso del genere, con un ricorso ex art. 696 bis cpc per CTU preventiva, ma ormai il discorso, essendo la CTU stata fatta, è superato.

Potete valutare l’azione di regresso nei confronti dell’architetto, e magari un esposto disciplinare, per dire di più bisognerebbe vedere la documentazione del pignoramento e quella anteriore e successiva.

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Diagnosi errata ma causa persa: si può ricorrere in Cassazione?

volevo sapere se era possibile ricorrere in cassazione dopo aver fatto una causa in primo giudizio positiva e in appello negativa per errata diagnosi mi il mio medico curante mi aveva diagnosticato una sciatalgia rivelatasi poi un ernia discale con conseguente sindrome della cauda equina permanente che significa avermi rovinato la vita cioe io faccio 4 autocateterismi al giorno ho l intestino paralizzato e una paralisi parziale dal ginocchio in su ..i miei avvocati non hanno presentato le prove come dovevano e io vorrei sapere se si puo ricorrere in cassazione se poi vuole delle delucidazioni piu precise le spieghero meglio per favore mi aiuti a capire se posso fare ancora qualcosa grazie infinite sono disperata e arrabboata con la giustizia con i miei avvocati e con il mio medico curante e l asl della mia zone io vorrei solo giustizia

Mi dispiace per la tua vicenda e per la tua situazione.

A livello giudiziario, per vedere se possibile fare ricorso in cassazione, che non è un terzo grado di giudizio, ma una fase di legittimità, cioè relativa ad un controllo specifico su alcuni aspetti del processo per lo più riguardanti l’applicazione del diritto, bisogna necessariamente studiare i due fascicoli dei procedimenti di primo grado ed appello e le due sentenze relative.

È fondamentale inoltre, nelle cause di responsabilità medica o malpractice, la relazione del consulente medico legale che, immagino, sia stata formata ed acquisita nel corso del giudizio di primo grado, specialmente in un caso come il tuo in cui il problema è derivato, a quanto pare di capire, da una diagnosi errata.

C’è poi un altro aspetto cui accenni, che va accuratamente verificato, e cioè la mancata presentazione di prove da parte dei tuoi avvocati. Se questo fosse fondato, allora purtroppo il ricorso per cassazione servirebbe a ben poco. Infatti, coi gradi di giudizio successivi al primo non si possono sanare eventuali errori commessi dai difensori in quelli precedenti e, man mano che si procede, il caso viene deciso «a fascicolo chiuso», specialmente in cassazione dove è impensabile che vengano acquisite nuove prove (ed è difficilissimo anche in appello). Se, dunque, questo fosse il caso, l’unica azione che rimarrebbe possibile sarebbe quella per negligenza professionale nei confronti dei tuoi difensori, anche questa, naturalmente, da valutare bene.

Anche per approfondire e capire questo ultimo aspetto, comunque, è necessario studiare i due fascicoli, compresa la CTU medica, e le due sentenze.

Se vuoi farci fare questo lavoro, il prodotto da acquistare è questo, la consulenza per eventuale impugnazione. È un po’ più costoso della consulenza di base, perché per studiare tutte queste cose occorrono alcune ore di lavoro. Tieni anche presente che, nel caso, dovrai fornirci la documentazione, se riesci seguendo queste indicazioni, che ci velocizzerebbero il lavoro, altrimenti spedendoci delle copie cartacee.

Il costo, poi, del ricorso in cassazione, che potrai valutare di fare una volta che ti avremo eventualmente detto che ce ne sono i presupposti, è sempre tariffato flat e lo puoi trovare in questa scheda prodotto.

Ti raccomando, anche, di leggere le due schede di approfondimento sulla malpractice e sul ricorso in Cassazione, oltre che di iscriverti alla newsletter del blog o al gruppo Telegram per non perdere interessanti e utili post come questo.

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Avvocati con regimi IVA diversi: che fare?

Se la parte vittoriosa non e’ titolare di partita iva, ha 2 avvocati con regimi iva diversi (1 forfettario,1 con p.iva) puo’ chiedere il rimborso totale dell’iva alla parte soccombente?
Purtroppo la liquidazione del giudice e’ stata inferiore a quanto da me effettivamente pagato di parcelle.
La parte di iva da me pagata ad uno dei difensori è comunque molto inferiore di quanto avrebbe dovuto pagare la parte soccombente se entrambi gli avvocati fossero stati con lo stesso regime iva.
La fatturazione dei 2 avvocati era 60% forfettario e 40% con p.iva , ho pagato il 30% in piu’ di parcelle, di quanto liquidato dal giudice.
Mi e’ stato proposto di divedere al 50%(metà) gli onorari liquidati dal giudice e solo su una metà di esse recuperare l’iva.

L’unico punto di riferimento a riguardo è la sentenza di condanna e, in particolare, il suo dispositivo nella parte che riguarda appunto le spese.

La condanna al rimborso delle spese che il giudice fa a sfavore di una parte ed a sfavore dell’altra non ha niente a che vedere con quello che tu hai pagato al tuo avvocato e coll’eventuale regime IVA dello stesso, ma viene determinata considerando, sostanzialmente, quello che è giusto che chi ha perso la causa rimborsi alla parte vittoriosa – che tale, peraltro, può essere stata, come accade molto frequentemente, solo in parte.

Occorre vedere cosa prevede al riguardo la sentenza, uno poi può avere anche cento avvocati ognuno con un regime IVA o fiscale diverso, ma l’unico riferimento rimane il capo della sentenza che dispone la condanna.

Il ragionamento per cui bisognerebbe guardare, a prescindere dall’importo, se i tuoi avvocati applicano l’IVA o meno non mi convince ed è comunque difficile da gestire, anche perché la cosa riguarda i rapporti interni tra di voi.

In ogni caso, la parte soccombente paga a te, poi sarai tu a pagare quanto dovuto ai tuoi avvocati, anche con l’eventuale aggiunta necessaria se quanto liquidato dal giudice non fosse sufficiente.

Il criterio che ti è stato proposto può essere un buon compromesso per risolvere pragmaticamente la situazione, al di là della difficoltà concettuale.

Se vuoi approfondire, valuta di acquistare una consulenza, anche se non credo che nel tuo caso possa valerne la pena.

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Testamento olografo sbilanciato: si può fare azione di riduzione?

mio padre defunto 04/03/2018 lasciato testamento olografo in cui lascia un legato al sottoscritto di euro 200.000,00 e nomina mia sorella erede universale .euro546.124,80 (patrim.immob.calcolato da rendite catastali)+euro 399.200,94 (patrim.mobiliare tot)- 24.545 debitum.tot.
vorrei fare azione di riduzione per lesa legittima

Non si possono fare valutazioni precise senza avere approfondito il caso e soprattutto avere letto attentamente il testamento olografo, per cui in questa sede mi limito ad alcune osservazioni generali che possono essere utili in casi del genere.

Quando, come in questa ipotesi, sembra che ci sia stata una lesione di legittima, può essere una buona idea, innanzitutto, svolgere alcuni accertamenti per valutare in modo preciso – le rendite catastali a tal fine non sono idonee – l’ammontare della massa ereditaria, tramite un ricorso per inventario o altri strumenti idonei, anche per scoprire eventuali voci o pagamenti che magari sono stati sottratti alla massa poco prima del decesso, come in alcuni casi avviene.

Una volta ricostruito l’ammontare più preciso della massa ereditaria, si può valutare con precisione se vi è stata una lesione di legittima e, ulteriormente, di quale portata.

Ovviamente il primo passo non è mai quello di fare direttamente la causa, ma quello di instaurare una trattativa, aprendo la vertenza con una apposita diffida in cui si dichiarano le proprie pretese, il loro fondamento e a quali condizioni si sarebbe disposti a chiudere la vertenza stessa – condizioni che ovviamente in seguito possono essere negoziate.

L’approccio negoziale in questa materia è assolutamente fondamentale. Conviene fare ogni sforzo possibile per cercare di ottenere una buona soluzione della vertenza senza portarla in tribunale.

Ovviamente però l’andamento della trattativa non dipende solo da quello che farà la parte «lesa», ma anche dalla disponibilità «avversaria», per cui si potrà scoprire solo strada facendo.

È importante ricordare che la materia delle successioni è soggetta a mediazione obbligatoria, per cui, prima di andare in tribunale, c’è anche questo importante passo da completare. Il mio suggerimento è quello di non considerarlo un ostacolo burocratico, ma di cercare di sfruttarlo magari per sbloccare quella trattativa che, anteriormente, non era giunta a conclusioni soddisfacenti. Ovviamente, per fare questo, bisogna investire un po’ di tempi, soldi, attenzione come al solito.

Solo qualora non si dovesse riuscire a negoziare una soluzione soddisfacente, si può valutare, dopo l’avvenuto esperimento della mediazione obbligatoria, di instaurare una causa per lesione di legittima, che noi come studio tariffiamo a flat su base annuale.

Se vuoi un preventivo per questi lavori, iniziando dalla fase di trattativa stragiudiziale, puoi chiedercelo compilando il modulo apposito del blog.

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Appello: per farlo è necessario adempiere la sentenza impugnata?

Ho vinto da poco una causa, la controparte è stata condannata a pagare le spese legali ( che in parte ho già anticipato) e un risarcimento a me per danni arrecati. Io non sono stata risarcita e loro hanno fatto ricorso in appello.
Ora dovrei fare il pignoramento verso terzi, altri soldi da pagare al mio avvocato che non ho. Mi chiedo: ma non avrebbero dovuto prima pagare e poi poter ricorrere in appello?

No, la proponibilità dell’appello non è e non potrebbe essere mai condizionata all’adempimento della sentenza di primo grado, sono due profili completamente diversi.

Il primo riguarda il diritto di una qualsiasi parte di chiedere il riesame della sua causa ad un giudice «superiore», l’altro riguarda l’esecuzione della sentenza di primo grado, sentenza che in appello ben potrebbe essere riformata completamente, ragione per cui sarebbe assurdo condizionare l’appello all’avvenuto adempimento della stessa.

Ovviamente, la sentenza di primo grado, nonostante la proposizione dell’appello, resta esecutiva, quindi puoi procedere con esecuzione forzata e pignoramento per conseguire quello che la sentenza prevede a tuo favore.

Fa eccezione solo in caso in cui, a seguito di apposita domanda di parte, il giudice di secondo grado, investito dell’appello, sospende, per gravi motivi, con una inibitoria la esecuzione della sentenza di primo grado.