Questo post è stato spostato nel nuovo blog «fare l’avvocato è bellissimo» qui

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ho ottenuto un credito che però mi pagheranno fra sei anni. il compenso dell’avvocato comprendeva una parte fissa e una parte variabile legata a una percentuale del credito ottenuto. la mia domanda è: può il legale chiedermi il compenso della parte variabile prima che io venga materialmente pagato? O deve aspettare l’esecuzione del pagamento.
È impossibile rispondere ad una domanda del genere senza vedere il contratto che hai stipulato con il tuo avvocato in materia di compensi.
Si possono, dunque, solo fare alcune osservazioni di carattere generale.
Innanzitutto, per un compenso di questo genere è comunque necessario un contratto scritto, altrimenti si applicano i parametri forensi, cioè i criteri di tariffazione valevoli «di default» quando non è stato pattuito un sistema diverso. Ogni pattuizione sui compensi che deroga dal regime dei parametri può avvenire solo per iscritto, se fatta in altra forma non è valida.
Per quanto riguarda la questione specifica, non esiste una regola a riguardo, né nel codice civile, né nella legge professionale, né nel codice deontologico, che sono testi normativi molto più generici, specialmente con riguardo al compenso determinato in ragione percentuale, che rappresenta una novità di pochi anni fa per il nostro Paese.
In assenza di regole sul punto, ovviamente sarebbe bene che il contratto avesse previsto questo aspetto, ma è evidente che un esito del genere magari poteva non essere prevedibile, dal momento che solitamente le vertenze si concludono al loro termine, anche quando terminano transitivamente, oppure è previsto un piano di pagamento ma su un termine più breve.
Difficilmente, immagino, che il contratto possa prevedere qualcosa di specifico, ma va comunque letto e interpretato con attenzione, perché ci possono essere clausole che, pur non riguardando questo tema specifico, sono rilevanti rispetto ad esso, appunto sotto un profilo ermeneutico.
Probabilmente non resta che ragionare in base ai principi generali.
Il compenso a percentuale non è, concettualmente, un patto di quota lite.
Questo significa che il risultato ottenuto dal cliente rileva solo come parametro per la determinazione del compenso dell’avvocato, ma non concreta, né integra, né costituisce la «cosa» su cui può soddisfarsi direttamente l’avvocato.
Infatti, la quota lite è vietatissima dal codice deontologico, perché ritenuta poco dignitosa.
Insomma, un avvocato e un cliente non concordano, quando fanno un patto di compensi a percentuale sul ricavato, che si spartiranno quello che il cliente eventualmente riuscirà a portare a casa ma – è una distinzione concettuale che nella pratica sfuma spesso ma comunque esiste – che il compenso dell’avvocato per il lavoro da lui svolto venga determinato con riferimento non al tempo (ore) spese sulla materia, non sulla base dei parametri, non a forfait, ma sulla base del recuperato o ottenuto, anche solo in via transattiva.
Queste considerazioni vanno accostate al fatto che il tuo avvocato il suo lavoro lo ha già svolto, portandoti alla conclusione della transazione che in qualche modo desideravi, comunque hai accettato, in ogni caso sembra essere vantaggiosa per te. Questo lavoro va pagato, in linea di principio, subito, dal momento che il credito da compenso da contratto d’opera non è soggetto ad un alcun termine e sorge man mano che il lavoro viene svolto.
Il criterio per determinare il quantum del compenso dell’avvocato è fornito da quello che hai recuperato o recupererai ed è indicato nella transazione e corrisponde, sostanzialmente, al valore dell’affare.
Questo è tanto vero che molti contratti di determinazione del compenso a percentuale stabiliscono che, ad esempio, anche in caso di revoca o rinuncia al mandato il compenso si determinerà in base comunque a quello che è il valore dell’affare o a quello che sarà ottenuto dal cliente con un successivo avvocato.
Insomma, con il contratto di determinazione del compenso a percentuale il cliente ha spesso l’impressione di entrare in una vera e propria società con il proprio avvocato, dove si dividono vantaggi e perdite (o situazioni sfavorevoli), mentre in realtà la nostra legislazione è piuttosto contraria a che questo avvenga, almeno in maniera così netta, e, di fatto, ciò non si verifica.
Ora, è chiaro che molto sta anche alla correttezza delle parti del contratto, non so di quali cifre si parli e quali siano le circostanze, ma forse si può trovare un accomodamento che ti consenta di pagare il tuo legale senza dover tirare fuori denaro di tasca tua, o almeno concordare anche nel tuo caso un piano rateale.
La questione non è comunque definibile in modo netto, ma se dovessi proprio scegliere una risposta alla tua domanda originaria ti direi che secondo me, in diritto, è più facile che la soluzione sia che tu purtroppo intanto devi pagare il tuo legale che ha svolto compiutamente il suo lavoro, poi ovviamente si possono cercare accomodamenti tra voi che rendano la situazione più leggera e praticabile per tutti.
Gli avvocati sono in crisi.
Ormai lo sanno (e qualche volta se ne approfittano) tutti, sono finiti anche i tempi in cui generalmente si guardava agli avvocati come a privilegiati – cosa che peraltro non è mai stata molto vera, come spiego in questo precedente post.
La crisi è innanzitutto economica, nel senso che ci sono difficoltà concrete e spesso anche determinanti e insuperabili per una chiusura positiva dei bilanci a fine anno, ma è anche, e dunque soprattutto, di valori, di significato, di senso, di dignità e così via, per una categoria in cui erano accorse persone di buona volontà che sono rimaste spesso deluse.
Non è – devo dirtelo subito – il mio caso.
Io sono ancora molto soddisfatto da tutti i punti di vista della mia professione, credo che traspaia anche da tutto quello che quotidianamente comunico tramite il blog e i social.
Ho persino scritto un post, che ha avuto un enorme successo (segno che il tema è molto seguito), in cui elenco i motivi per cui fare l’avvocato è ancora bellissimo, che ti invito a leggere con attenzione.
Ugualmente, c’è una larga fetta di avvocati in sofferenza ed è di loro ma soprattutto a loro che mi va di parlare, dopo aver ricevuto diverse richiesto in questo senso e aver letto diversi resoconti e persino qualche sfogo sui social.
Se senti di far parte di questa categoria, leggi attentamente perché questo post è per te.
Qual è il punto di partenza di qualsiasi discorso riguardo ad un argomento come questo?
Bisogna, a mio giudizio, innanzitutto comprendere le cause di questa situazione, economica ed emotiva, fallimentare.
Qui, ti voglio dire, quasi nessun avvocato riesce nemmeno a identificare con precisione le origini vere dei problemi attuali e questo, sinceramente, lascia un po’ da pensare, dal momento che un avvocato è comunque anche un imprenditore, che cose come queste dovrebbe capirle bene o quantomeno intuirle.
Solitamente, gli avvocati in difficoltà se la prendono con varie cose che, alla fine, non sono così rilevanti, sono più che altro dei capri espiatori per dare una spiegazione che non si riesce o vuole dare in un altro modo.
Il primo sono i clienti che non pagano.
Questo, di solito, è il primo «motivo» che viene individuato.
Qui voglio darti una notizia.
I clienti, di qualsiasi impresa, azienda, organizzazione, onlus, forma di governo o di Stato, non pagano tendenzialmente mai volentieri e, se possono farlo senza grandi rischi di conseguenze, evitano di farlo.
È una notizia incredibile, ma ti assicuro che è vera.
Riformulando la cosa in altri termini, è evidente che il problema del cash flow è uno dei vari problemi che ogni imprenditore, avvocati compresi, deve affrontare e gestire in modo efficace.
Personalmente, ho risolto questo problema impostando i pagamenti anticipati, sia per quanto riguarda la sezione del commercio che si svolge in forma elettronica tramite il sito, sia per quanto riguarda gli incarichi che vengono conferiti tradizionalmente in studio.
Ovviamente, faccio preventivi gratuiti, prima di iniziare qualsiasi lavoro.
Le persone, incredibilmente, quando sanno cosa vanno a spendere valutano e, se decidono di darmi l’incarico, pagano anche subito volentieri.
Io dò chiarezza, ricevo denaro.
Ma chiudiamo la parentesi, perché questo non è il motivo della crisi economica della categoria.
Altro motivo frequentemente molto gettonato sono le tasse da pagare.
Ora, a parte che molti professionisti fanno tanto lavoro fuori fattura, dal momento che non hanno magazzino, non vendono beni, ma servizi impalpabili, che le fatture non si scaricano e quindi i clienti preferiscono pagare «a nero» piuttosto che farsi dare una fattura che a loro non serve a nulla, a parte questo, dicevo, c’è da dire che le tasse sono uguali per tutte le aziende e i professionisti di qualsiasi tipo.
La grande notizia, qui, è che gli avvocati non pagano un centesimo in più di tasse rispetto a qualsiasi altra azienda o professionista.
L’unica cosa che c’è di vero è che abbiamo una cassa forense che vuole una parte dei nostri guadagni a scopi pensionistici. Ma ogni categoria ha la sua cassa e, se non ce l’ha, ha comunque l’INPS, per cui ogni attività economica, anche qui, paga una parte dei ricavi – sempre solo quelli fatturati ovviamente – per scopi previdenziali.
La realtà è che queste – ed altre – sono solo scuse, non c’è altro modo per dirlo.
È vero i clienti che tendono a non pagare sono un problema, lo Stato e la cassa che vogliono dei soldi, spesso anche se non li hai guadagnati, sono sicuramente un altro problema, ma la realtà è che ci sono molti avvocati che guadagnano e fanno buoni affari.
Nel 2018, in Italia.
«Ah, ma allora sono quelli che sono figli d’arte, hanno le mani in pasta con la politica, il tricche tracche, i cuggini, questo e quello…»
Altra scusa.
Non c’entra niente.
Quelli che conosco io, e io stesso nel mio piccolo, non abbiamo avuto appigli, aiuti, preferenze, incentivi vari, ma ci siamo guadagnati da soli non tanto la nostra clientela ma l’assetto attuale che abbiamo dato ai nostri studi e che ci consente di utilizzarli come macchine ed organizzazioni per guadagnare in modo abbastanza soddisfacente.
Sei pronto, adesso, per sapere quali sono le reali cause della condizione economica deteriore di una grande fetta degli avvocati oggigiorno?
Le scie chimiche!
No vabbè, parliamo seriamente.
Le reali cause dello stato fallimentare in cui versano molti studi legali e singoli professionisti sono principalmente due:
Con il secondo punto, si comprende come una delle cause più gravi di sottosviluppo economico è il codice deontologico forense, che, da questo punto di vista, letteralmente è il martello con cui sono stati inchiodati i chiodi che hanno chiuso la bara della professione forense.
Ma di questo diremo meglio più avanti.
Vediamo adesso, in positivo, le due principali cause che abbiamo appena enunciato.
Se chiedi ad un avvocato perché ha scelto di studiare giurisprudenza ed è finito a fare la professione, nel 90% dei casi ti risponde che era il desiderio dei suoi genitori…
Che dolce!
Poi, subito a ruota, questo avvocato di solito si incazza perché questo tenero ed onesto desiderio dei suoi ascendenti, che tanti sacrifici hanno fatto (magari timbrare dal lunedì al venerdì all’INPS), è oggi frustato dai kattivih clienti che non pagano, dallo Stato che – cavolo santo – vuole troppe tasse, dalla cassa che è troppo esosa!!!1! e così via, come abbiamo visto poco fa.
Il problema invece è proprio che non si fonda un’azienda perché è il desiderio dei tuoi – onore a loro – genitori!
È una cosa molto banale, ma realmente molti avvocati lo sono diventati per questo ed è alla fine completamente demenziale dal punto di vista del business e del fare impresa.
Fondi un’azienda quando hai un’idea di business inizialmente interessante, di cui verifichi con cura la fattibilità sotto tutti i profili rilevanti a riguardo.
Se poi è la tua principale o unica azienda, quella con cui devi mantenerti e mantenere la famiglia, i controlli li farai tutti tre volte.
Molti avvocati non si sono chiesti ad esempio:
Molti avvocati non sono neanche in grado di comprendere bene cosa significhino queste domande.
Se consideriamo questo, capiamo che non è per nulla stupefacente che molti avvocati si trovino, economicamente, nella merda, perché un cazzo di ciabattino sotto casa con la terza elementare ha più istinto imprenditoriale di loro.
La conclusione è che molti avvocati sono diventati avvocati e hanno aperto la partita IVA come professionisti completamente alla cazzo!
Non ho, mi dispiace, un altro modo per dirtelo.
E, pensa un po’, non si aprono imprese alla cazzo.
Si possono fare tante cose alla cazzo, ma se apri un’impresa alla cazzo, sei destinato a chiudere entro al massimo tre anni.
Salvo – e qui tornano i cari genitori – che qualcuno non ti paghi la cassa forense, le tasse, i fornitori e tutte quelle spese che tu non riesci a pagare perché non guadagni «ancora» abbastanza.
Ciò, ovviamente, solo al momento e per poterti consentire di «ingranare».
Peccato che sono 15 anni che stai ingranando…
Nessuna organizzazione, nessuna, compresa la Chiesa cattolica, può sopravvivere se non svolge attività di lead generation.
Te lo ripeto perché è bene che, oggi, in questo momento, questo concetto ti entri nella zucca una volta e per sempre: nessuna organizzazione, impresa, società, impresa individuale, onlus del cazzo può sopravvivere se non svolge attività di lead generation.
La lead generation è l’attività di generazione di prospetti, cioè di contatti con potenziali clienti, con soggetti, appartenenti al vasto pubblico cui si rivolge la tua organizzazione, che in parte, in seguito, possono diventare clienti paganti, a seguito di conversione.
Ora, quali attività di marketing stai facendo?
Hai lasciato anche tu i tuoi biglietti da visita dal tuo barbiere o dalla tua parrucchiera?
Ti dò una piccola notizia: non serve a un cazzo. Anzi, serve al contrario a qualificarti come un professionista per ladri di galline.
Hai sentito parlare di internet, blog, social network?
Ah sì, ti sei iscritto anche tu a quel sito che gli avvocati si possono iscrivere e poi scrivono le materie di cui si occupano così poi i visitatori si possono collegare e vedere quali sono i professionisti della loro zona e poi scegliere e tramite un comodo modello di contatto on line subito scrivere all’avvocato che hanno scelto e comodamente da casa, sia i clienti che il professionista, possono chiedere e ricevere una bella consulenza, che poi è un sistema bellissimo e meraviglioso ma alla fine nessuno fa mai un cazzo o ha mai venduto una consulenza che sia uno tramite siti del genere?
Forse è il caso di riconsiderare la materia…
Torniamo adesso un attimo sul tema prima accennato delle regole di deontologia.
La deontologia forense, ovviamente, non è un male in sé.
È assolutamente evidente che un avvocato debba essere in primo luogo onesto, se vuole essere davvero utile agli altri.
È davvero la primissima qualità di ogni avvocato.
Solamente, si tratta di una «qualità dell’essere» che, come spesso accade, non può essere rinforzata a forza di codici e sentenze… Un po’ come fare il padre, come sanno benissimo gli avvocati, come me, che si occupano di diritto di famiglia.
Il codice deontologico attuale è il martello con cui sono stati picchiati i chiodi che hanno chiuso la bara in cui è stata rinchiusa la professione forense, rendendo molto difficile, e in alcuni casi impossibile, per qualsiasi organizzazione legale svolgere attività di generazione contatti.
La cosa meravigliosa è che lo scopo di queste disposizioni, volte a escludere pressoché completamente forme di marketing per gli avvocati, sarebbe quello di… garantire la dignità degli avvocati stessi.
Ma qui c’è un grande e tragico errore di fondo.
Il fatto, peraltro assai evidente, è che la dignità di una qualsiasi categoria la si può garantire solo dando efficacia al lavoro e al ruolo che svolge e quindi consentendole di raggiungere un certo livello di benessere anche economico.
Che dignità può avere un avvocato che a 35 anni si fa pagare la bolletta del telefono di studio e magari anche di casa dai genitori, anche al netto del rispetto delle regole deontologiche?
Vuoi scommettere che se togli quasi completamente la possibilità di lead generation ad una categoria la sua economia peggiorerà grandemente e, con essa, anche la sua dignità, il suo significato, la coscienza del suo ruolo, l’effettivo svolgimento della sua funzione sociale?
È un fenomeno che è ormai sotto gli occhi di quasi tutti.
Ma prendiamo uno scampolo di letteratura che, come sempre accade, ce lo descrive meglio di altro.
«Il fatto è che qui da noi gli avvocati sono diventati come gli assicuratori, o gli agenti immobiliari.
Ce ne sono a bizzeffe, uno più affamato dell’altro. Basta fare due passi in una strada anche periferica e contare le targhette affisse ai portoni.
Un avvocato, oggi, per una nomina anche d’ufficio è disposto a piroette e carpiati della dignità fantasiosissimi. E la molla non è l’ambizione economica o il desiderio di prestigio sociale: nemmeno più questo. Qui si tratta, ma davvero, di stare sul mercato con un minimo di sensatezza (cioè, pagare le spese e portare qualche soldo a casa) o chiudere baracca.
E la vera tragedia è che questa politica della sopravvivenza accomuna ormai trasversalmente sfigati e garantiti, privilegiati e poveri cristi. Nel senso che il rampollo dell’avvocato di successo ha una fame di procacciamento pratiche mediamente pari o addirittura superiore a quella di chi è professionalmente figlio di n. n. È la nuova cultura della concorrenza, palazzinara e bulimica, che ha equiparato avidità e bisogno, ponendo sul piano di una falsa parità contendenti che partono da posizioni completamente diverse. Ricchi e poveri che lottano per le stesse cose: ecco a voi la morte del principio di uguaglianza.
Io ho visto cose che voi non avvocati non potete neanche immaginare.
Ho visto professionisti anziani leccare sfacciatamente il culo a magistrati ventinovenni.
Ho visto avvocati giovanissimi portare personalmente il caffè a tutti i carrozzieri del quartiere nella speranza di una pratica d’infortunistica stradale.
Ho visto appostamenti all’ingresso degli obitori, con volantinaggio di biglietto da visita all’arrivo della barella.
Ho visto contabili di camorra e specialisti della punizione corporale per ritardato pagamento del pizzo, trattati con un ossequio e un’attenzione degni di un’alta carica dello Stato.
Ho visto colleghi fare anticamera a cancellieri miserabili in cambio di una nomina d’ufficio, con pagamento anticipato di percentuale fissa sull’onorario.
Ho visto guardie carcerarie spendere il nome di questo o quel collega con i parenti dei detenuti in cambio di un abbonamento alle partite di calcio.
Ho visto colleghi poco più che trentenni accordarsi con cancellieri notoriamente farabutti per truccare un’asta fallimentare, pilotando l’assegnazione dei beni all’incanto. Ho visto le loro foto sul giornale qualche tempo dopo.
Ho visto sinistri stradali così sputtanatamente falsi da farti venire voglia di prendere le parti dell’assicurazione (che è un po’ come se uno, una bella mattina, si convertisse all’antisemitismo militante).
Ho visto patrocinanti in Cassazione brigare per diventare amministratori di condominio.
Ho visto professori universitari telefonare a indagati eccellenti offrendo il proprio patrocinio pur sapendo che era già stato nominato qualcun altro, millantando conoscenze personali con il pubblico ministero titolare dell’inchiesta e svalutando fra le righe le capacità professionali del collega.
Ho visto l’avvocato a cui il professore universitario stava cercando di fare le scarpe riferire lo scandaloso retroscena a un gruppo di giovani colleghi e neanche venti minuti dopo incontrare il professore all’ingresso del tribunale e abbracciarlo come un fratello ritrovato in un programma di Maria De Filippi.
Ho visto lo stesso avvocato convincere l’indagato eccellente che sì, effettivamente sarebbe stata una mossa saggia estendere il patrocinio anche al professore, perché un simile collegio difensivo gli avrebbe assicurato la vittoria della causa con fiato di trombe.
Ho visto, all’udienza, l’indagato eccellente seduto fra l’avvocato e il professore: sembrava più preoccupato di loro che dei giudici.
Ho sentito il professore, in piena arringa, prendere una cappella giuridica di una tale grossolanità che se fosse capitato a uno studente all’esame sarebbe stato messo alla porta.
Ho visto l’avvocato abbozzare e vergognarsi come un complice, dribblando lo sguardo allibito dei giudici.
Ho visto il figlio dell’avvocato diventare assistente di cattedra del professore universitario che aveva cercato di fregare l’incarico a suo padre.
Ho visto tante altre cose, ma se non mi fermo va a finire che facciamo notte».
(Diego De Silva, «Non avevo capito niente»).
Questi sono i successi di decenni di deontologia forense, di regole che hanno avuto come unico effetto quello di tarpare le ali alla pressoché totalità degli avvocati, specialmente i più giovani.
Ho visto applicare la deontologia.
Avvocati di 60, 70 anni, dentro agli ordini, ai consigli distrettuali, al CNF, gente che ha avuto grandi soddisfazioni professionali, avendo iniziato la professione negli anni 60 o 70, quando c’erano ancora vaste miniere non sfruttate, che applicano sanzioni ad avvocati di 30 o 40 anni, che cercano di lavorare sulle poche briciole rimaste, perché hanno messo un annuncio o un’insegna un po’ più grande di quanto ritenuto dovuto fuori dalla porta…
Facciamo come il protagonista del libro di De Silva: lasciamo perdere.
Innanzitutto, quello che non devi fare è sprofondare nell’atteggiamento di dare la colpa di «tutto» a cose che, pur avendo una loro efficacia causale, non la esauriscono affatto.
Il tuo atteggiamento, come ti ho già fatto capire, non deve e non può essere quello di maledire il codice deontologico, le sue ingiustizie, i clienti, le tasse, le scie kimike e il mondialismo.
Focalizzati sul fatto che, come in tutti i settori economici, ci sono avvocati che ce l’hanno fatta e stanno alla grande.
La grande notizia è: ci sono diverse cose che puoi fare, una volta che avrai smesso di lamentarti a cazzo.
Alla fine, infatti, o cambi settore, cambi lavoro, anche in base alle tue vere propensioni (come ti ho già detto, il lavoro lo devi scegliere tu e non i tuoi genitori!), oppure, se scegli di restare, in qualche modo, nel settore dei servizi legali, di continuare a fare l’avvocato, devi rassegnarti a fare tutta l’attività di lead generation che puoi, ripensare completamente la tua azienda, ragionare come un vero imprenditore.
Di cosa fare nello specifico, parleremo meglio in un altro post, ché questo ormai è anche già troppo lungo.
Ti elargisco però una piccola anticipazione: devi scrivere.
Libri, blog, social.
Scrivi su quello che conosci, mostra e dimostra il tuo know how e la passione che ti muove per le cose che ti interessano.
Oltre a un punto di vista diverso e differenziante dal solito.
Un po’ come questo blog, che è stato fondato più di vent’anni fa per dimostrare che esiste un modo diverso di trattare i problemi legali.
Questo è quello che facciamo qui alla redazione del blog degli avvocati dal volto umano e ti garantisco che funziona.
Cosa puoi fare, nell’attesa del prossimo post in cui dettaglierò i vari modi in cui un avvocato può fare marketing?
Evviva noi!
il mio ex marito non passa il mantenimento hai figli,perciò ho deciso di affidarmi ad un avvocato e lui mi ha chiesto 800 euro x incontro studio,richiesta copie autentiche separazione,comunicazione con cliente,redazione ricorso introduttivo,partecipazione udienza,conclusioni,notifica provvedimento.Vorrei sapere se devo pagare queste 800. Euro in quanto non percepisco alcun reddito
Purtroppo, a stretto diritto, devi pagare.
Per non dover pagare tu il compenso del tuo legale, avresti dovuto chiedere, e farlo prima di iniziare il lavoro, il patrocinio a spese dello Stato.
Il nuovo codice deontologico forense, che dovrebbe entrare in vigore a breve rispetto alla data (27 febbraio 2014) in cui scrivo, prevede espressamente l’obbligo per l’avvocato di far presente al cliente la possibilità, quando ne ricorrono i presupposti, di chiedere il patrocinio a spese dello Stato.
Nel codice precedente, quello ancora vigente ad oggi, non era previsto per l’avvocato avesse questo obbligo, anche se a mio giudizio la correttezza avrebbe voluto che la cosa fosse comunque menzionata al cliente.
Ad ogni modo, la richiesta di pagamento è legittima, se non puoi pagare ti conviene cercare un accordo col tuo legale, anche se la somma indicata per un procedimento giudiziario mi sembra piuttosto contenuta.
Si tratta di una applicazione per iPhone sviluppata da Davide Di Domenico, dal costo di 0,79€, che contiene il codice deontologico degli avvocati, e il tariffario attualmente in vigore, la cui pagina ufficiale iTunes si trova qui.
Quale può essere il senso di una applicazione di questo genere, considerando che non è assolutamente difficile procurarsi un testo aggiornato del codice deontologico forense o delle tariffe con una semplice ricerca su internet?
Diciamo che in materia entriamo nel campo dei gusti e della preferenze di ognuno. L’iPhone oramai è sicuramente una periferica che abbiamo sempre con noi, quindi un primo vantaggio potrebbe essere quella di potersi leggere o ripassare il codice quando più lo si desidera; naturalmente, pochi avvocati in attività, se non ne hanno bisogno per un caso concreto, dove stanno ad esempio difendendo un collega, si vanno a rileggere il codice deontologico (salvo i casi in cui ci sono modifiche). Inoltre, c’è da dire che anche in mobilità oramai la connessione ad internet è disponibile pressochè dappertutto, quindi non dovrebbe essere difficile, se proprio nasce la «voglia» o il bisogno di consultare il codice fuori studio, riuscire a trovarlo con mobile Safari. Ulteriormente, anche in caso di mancanza di connettività, un utente potrebbe sempre salvarsi il pdf dentro a iBooks o all’eccellente goodreader o altri programmi; ci si può salvare anche il codice in formato testo, in Office plus e analoghi, quindi con la possibilità anche di fare ricerche.
A questo punto, la domanda diventa quindi: perchè sviluppare un’applicazione dedicata per esporre un semplice testo? A mio giudizio, la cosa diventa utile se quel testo viene reso più fruibile di quello che si avrebbe utilizzando i programmi di default. Quindi, ad esempio, se fosse possibile inserire note, evidenziare parti del testo, condividere su uno o più social network un brano, come ad esempio si può fare con il lettore Kindle per iPad e cose di questo genere. In realtà, scaricandosi il pdf del codice deontologico, nella versione che contiene anche il plain text sottostante, e mettendolo dentro a goodreader (operazione che può essere fatta anche in mobilità, da internet o dalla propria raccolta di testi su dropbox, o dalla propria mail, visto che goodreader si connette a tutte queste cose «nativamente»), si possono inserire note, evidenziare parti del testo e così via, manca solo una funzione nativa, ad esempio, per condividere sui social network.
iEtica Avvocati, purtroppo, non fa ancora nessuna di queste cose; puoi ricercare il testo, ma non puoi inserire note, nè evidenziare, nè condividere gli articoli. L’unica utilità oggettiva, a mio giudizio, e a parte i gusti individuali riguardo al miglior strumento di fruizione di un testo, è l’esistenza di un sommario dei due testi che rende la navigazione più semplice e immediata di quella che si avrebbe con i sistemi tradizionali sopra indicati. Troppo poco? In realtà, per essere la prima versione dell’app io credo che sia sufficiente, al momento, così, anche considerando il costo estremamente ridotto, ma in un’ottica di futuri aggiornamenti credo che sia assolutamente indispensabile dare più possibilità ai fruitori. Un’idea interessante e a mio giudizio su cui puntare potrebbe essere proprio quella della condivisione, che può essere innanzitutto verso i social network, alla Kindle (cioè con tanto di brano pubblicato su un sito apposito in caso di condivisione di un brano più lungo di 140 caratteri), ma anche verso Evernote, dove l’utente potrebbe inserire il testo dell’articolo che gli interessa con le sue annotazioni, che poi si ritroverebbe anche sulla versione desktop di Evernote… Un’altra idea, poi, potrebbe essere quella di fornire all’utente una serie di materiali in calce ai singoli articoli come ad esempio circolari degli ordini (mi viene in mente quella del mio Ordine di Modena sulla pubblicità, ma ce ne sono tante altre), materiali da inserire direttamente nella base dati o più semplicemente da linkare, quindi anche link a casi concreti, come quelli affrontati in questo ed in altri blog, in materia di deontologia, a riferimenti bibliografici e così via, il tutto per dare qualcosa in più rispetto alla fruizione tradizionale del testo sui dispositivi mobili.
In un’ottica di miglioramento, rimane comunque indispensabile, specialmente se si implementano le funzioni di cui sopra, rendere l’applicazione universale e quindi compatibile nativamente anche con iPad, lo strumento che oramai io, ma credo anche tanti altri, utilizziamo molto più frequentemente dello smart-phone.
Infine, per queste applicazioni giuridiche è assolutamente indispensabile che gli editori forniscano indicazioni chiare sulle loro politiche di aggiornamento. Intendo dire che acquisto più volentieri un’app che mi espone un testo quando l’autore mi garantisce che, ad esempio, entro una settimana da eventuali modifiche legislative, l’app verrà aggiornata e me la ritroverò pronta da scaricare tramite l’app store. Se, invece, non ho informazioni affidabili al riguardo, perchè non debbo preferire usare google, con il quale so che trovo i testi aggiornati il giorno dopo, se non il giorno stesso, in cui vengono pubblicati? Gli aspetti relativi alla tempestività e soprattutto alla garanzia degli aggiornamenti sono fondamentali e presto, passata questa prima fase in cui tutte le case editrici hanno smaniato per buttar fuori qualcosa (codici, ecc.), credo che qualcosa si muoverà per avere la necessaria differenziazione.