Che cos’è il coordinatore editoriale.
La figura del c.d. Coordinatore genitoriale o familiare non è attualmente disciplinata in Italia e non vi sono ancora molti corsi di studio o di specializzazione in questo ambito. E’ una figura professionale traslata dal mondo anglosassone della quale si sta parlando attualmente, specie dopo il disegno di legge 735 2018, c.d. DDL Pillon, attualmente in discussione, per facilitare la risoluzione dei contrasti tra genitori separati o divorziati; potrebbe, infatti, accadere che questi ultimi siano coinvolti in dinamiche conflittuali tali da non avere una lucidità adatta per la gestione della prole in regime di separazione e di divorzio.
Il coordinatore familiare dovrebbe essere, quindi, un soggetto terzo ed imparziale che aiuta e coadiuva le parti ad attuare un programma di genitorialità (evitando anche quelle che possono essere le conseguenze dannose del conflitto per i figli) ed allo stesso tempo facendo in modo che possa essere favorita la cooperazione tra i genitori (riducendo drasticamente quelli che potrebbero essere i contrasti tra di loro). Per queste ragioni, la finalità da perseguire sarà quella di salvaguardare l’interesse del minore coinvolto nel conflitto genitoriale; difatti, l’intervento avrà come unico scopo quello del benessere psicofisico del bambino a cui dev’essere garantita la più amplia tutela.
Egli dovrà e potrà supportare i genitori litigiosi e cercare di dirimere e superare i contrasti. Il Coordinatore familiare, quindi, dev’essere necessariamente una persona super partes; una persona che non abbia avuto alcun rapporto con la coppia in qualità di consulente legale, terapeuta , consulente tecnico di parte , consulente tecnico d’ufficio o mediatore familiare. Il coordinatore familiare avrà la possibilità di dare assistenza al giudice esclusivamente nell’ambito del proprio ruolo, senza diventare un vero e proprio suo ausiliario o perito e fornire consulenza medico-legale o psicologica sui figli e sulla famiglia di cui si sta occupando.
Questa figura viene però considerata da alcuni a volte una risorsa inutile e strabordante, che può anche fuorviare il lavoro del giudice, dei servizi sociali e delle parti, creando caos e confusione di ruoli, specie nelle situazioni più complesse. Se i genitori sono già in difficoltà a prendere decisioni per i figli e se già un giudice ha disposto una consulenza tecnica ed ha coinvolto nelle scelte per la vita del minore i servizi sociale è comprensibile e ragionevole che si ritenga non opportuno coinvolgere una ulteriore figura professionale. E’ proprio dalla necessià di comprendere le funzioni ed i ruoli di tutte le figure coinvolte che sarebbe opportuno partire per utilizzare al meglio questa risorsa che forse proprio perchè non è ancora compresa nel sistema della gestione dei conflitti familiari giudiziali e stragiudiziali, appare ad essa estranea.
La sentenza di Bologna.
Un caso emblematico sull’effettiva utilità del coordinatore genitoriale è stato il recente provvedimento del Tribunale di Bologna.
Nella gestione di rapporti fra genitori non coniugati di un figlio minore nato nel 2015, per individuazione e definizione di provvedimenti del giudice in favore della miglior gestione dello stesso prende atto una diatriba complessa e conflittuale nella quale in breve viene a determinarsi una potenziale confusione di ruoli e competenze che mal si presta al raggiungimento di una serena situazione fra le parti.
Secondo il giudice, che ha già provveduto alla nomina di CTU ed ha disposto l’affidamento del minore ai servizi sociali proprio per l’inadeguatezza genitoriale delle parti, l’essere affiancati anche da un coordinatore complicherebbe non poco la gestione della quotidianità in quanto i genitori, già molto conflittuali fra di loro, sarebbero potenzialmente esasperati dalla figura del coordinatore genitoriale, avendo già da seguire i consigli e le indicazioni fornitegli dai Servizi sociali ed essendo sotto valutazione nell’ambito della consulenza tecnica di ufficio disposta dal giudice.
Il minore viene affidato ai servizi sociali con collocazione presso la madre con previsione di periodi di frequentazione con il padre dapprima in incontri protetti con i servizi sociali alla presenza di un operatore ed eventualmente in seguito, qualora vi siano miglioramenti nell’approccio con il padre, anche senza. Si spera così di non appesantire ulteriormente la situazione e di far si che le parti arrivino ad una genitorialità migliore e più consapevole. Sembra impossibile che a volte i genitori non sappiano fare i genitori e che il correre ai ripari successivamente sia così inadeguato e inefficace.
Forse un aiuto alla genitorialità che precede la crisi o che la contiene sarebbe sicuramente di aiuto a molte coppie tramite consultori, distretti sociali, scuole, e tutti gli ambiti in cui la famiglia vede muovere i propri riferimenti, senza arrivare allo scontro diretto e senza fine, che danneggia inevitabilmente i minori.
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