Il viaggio é un demone.
Colpisce tipicamente persone benestanti, ma mendiche di senso, instillando in loro la brama di spostarsi altrove, per confrontarsi con «altre culture e altri popoli» quando a queste stesse persone spesso manca la connessione con il popolo, la cultura e persino gli affetti domestici.
Come tutti i demoni, illude con la speranza e le lusinghe, ma lascia subito spazio alla scomodità, alla disillusione, alla delusione, sin dal momento della ardua compilazione dei bagagli, in cui l’uomo contemporaneo, abituato a galleggiare nel quotidiano, è costretto a pensare addirittura qualche giorno avanti.
Partito per aprire la sua mente, l’homo viator finisce a contemplare per ore la scritta «TIR» in coda in autostrada o a dibattere sulla misura del bagaglio contenente le sue preziose inutilità da portarsi a bordo di un aereo, dal quale sbarcherà cercando negozi e ristoranti delle stesse catene che trova a casa sua, uscendone ogni volta rassicurato.
E sempre a proposito di aprire la mente, fare collezione di qualcosa é il primo passo verso l’angustia dell’anima: allora perché fare incetta di città, villaggi, paesi, offerte, ultimi minuti, in una insaziante e insaziabile bulimia di essere dappertutto – col risultato di non avere mai, per un solo istante, un pizzico di autenticità, e quindi finire, in definitiva, per non essere e non esser mai stato, essendo in realtà solo uno che si è spostato?
La promessa più dolce di questo demone é questa: «la tua inquietudine non ti seguirà!».
Ovviamente, come tutte le promesse demoniache, é falsissima: la tua inquietudine diventerà solo ancora più grande.