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counseling

Problemi nelle relazioni: come fare.

Note dell’episodio.

In questa puntata, torno a parlare, a partire dalla domanda di una nostra ascoltatrice che si sfoga di un momento difficile vissuto – proprio il giorno del suo compleanno – col suo partner (in realtà si erano lasciati da poco), di problemi nelle relazioni: nella coppia, ma anche nelle relazioni di amicizia, parentela, genitori – figli e così via, in sostanza in tutte le relazioni della nostra vita.

Ti raccomando di ascoltare con attenzione questo episodio, in cui tocco molti punti della mia pratica di counseling ed in cui parlo di molte cose di cui parlo spesso durante la medesima con i miei clienti, tra cui:

  • ascolto
  • counseling come fenomeno che deve fare parte della vita di tutti i giorni
  • psicologia e erroneità di un’approccio che tratta la spiritualità con la scienza
  • grandi opere della letteratura e della poesia
  • anima
  • lentezza e suoi legami con l’ascolto
  • inutilità delle soluzioni e importanza delle connessioni
  • come trattare le persone che presentano un problema o un disagio
  • valore del mito, della letteratura e della poesia come cura per l’anima dell’uomo
  • amore egoico ed amore animico
  • e molto altro…

«Una cosa che facciamo a volte di fronte a conversazioni difficili, è cercare di migliorare le cose. Cercare di porle in una buona luce. Ma se io condivido qualcosa di molto duro con te preferirei che mi dicessi “non so nemmeno cosa dire in questo momento ma sono felice che tu me ne abbia parlato”. Perché la verità è che raramente una risposta può migliorare le cose. Quello che migliora le cose è la connessione.» (Brené Brown)

Approfitta dei riferimenti che ho compilato di seguito per fare il punto su ascolto, relazioni, lentezza: tre «cardini» della tua vita.

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Riferimenti.

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diritto

2houses

Note dell’episodio.

In questa puntata di radio Solignani, ti parlo di 2houses, un’applicazione per la gestione dei figli da parte dei genitori separati, intervistando Francesca Marina Zadnik, avvocato del foro di Genova, di cui dovresti ricordarti perché probabilmente hai letto uno o più articoli da lei scritti sul blog, e Alfonso Negri, papà separato e fautore di 2houses.

Naturalmente, io sono sempre io, quindi, accanto alla descrizione del funzionamento dell’applicazione, che, se sei un genitore separato, ti invito a provare, parlo della necessità anche di lavorare sul cuore dei genitori e quindi sulla comunicazione e su tutti gli altri aspetti che, al di là di quelli logistici, possono migliorare le situazioni di crisi familiare che coinvolgono minori.

Non so se 2houses possa essere davvero utile nel tuo caso, ma c’è solo una cosa da fare: provarla. C’è un periodo di prova completamente gratuito, quindi perché no?

Riferimenti.

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diritto

Coordinatore genitoriale: che roba è?

Che cos’è il coordinatore editoriale.

La figura del c.d. Coordinatore genitoriale o familiare non è attualmente disciplinata in Italia e non vi sono ancora molti corsi di studio o di specializzazione in questo ambito. E’ una figura professionale traslata dal mondo anglosassone della quale si sta parlando attualmente, specie dopo il disegno di legge 735 2018, c.d. DDL Pillon, attualmente in discussione, per facilitare la risoluzione dei contrasti tra genitori separati o divorziati; potrebbe, infatti, accadere che questi ultimi siano coinvolti in dinamiche conflittuali tali da non avere una lucidità adatta per la gestione della prole in regime di separazione e di divorzio.

Il coordinatore familiare dovrebbe essere, quindi, un soggetto terzo ed imparziale che aiuta e coadiuva le parti ad attuare un programma di genitorialità (evitando anche quelle che possono essere le conseguenze dannose del conflitto per i figli) ed allo stesso tempo facendo in modo che possa essere favorita la cooperazione tra i genitori (riducendo drasticamente quelli che potrebbero essere i contrasti tra di loro). Per queste ragioni, la finalità da perseguire sarà quella di salvaguardare l’interesse del minore coinvolto nel conflitto genitoriale; difatti, l’intervento avrà come unico scopo quello del benessere psicofisico del bambino a cui dev’essere garantita la più amplia tutela.

Egli dovrà e potrà supportare i genitori litigiosi e cercare di dirimere e superare i contrasti. Il Coordinatore familiare, quindi, dev’essere necessariamente una persona super partes; una persona che non abbia avuto alcun rapporto con la coppia in qualità di consulente legale, terapeuta , consulente tecnico di parte , consulente tecnico d’ufficio o mediatore familiare. Il coordinatore familiare avrà la possibilità di dare assistenza al giudice esclusivamente nell’ambito del proprio ruolo, senza diventare un vero e proprio suo ausiliario o perito e fornire consulenza medico-legale o psicologica sui figli e sulla famiglia di cui si sta occupando.

Questa figura viene però considerata da alcuni a volte una risorsa inutile e strabordante, che può anche fuorviare il lavoro del giudice, dei servizi sociali e delle parti, creando caos e confusione di ruoli, specie nelle situazioni più complesse. Se i genitori sono già in difficoltà a prendere decisioni per i figli e se già un giudice ha disposto una consulenza tecnica ed ha coinvolto nelle scelte per la vita del minore i servizi sociale è comprensibile e ragionevole che si ritenga non opportuno coinvolgere una ulteriore figura professionale. E’ proprio dalla necessià di comprendere le funzioni ed i ruoli di tutte le figure coinvolte che sarebbe opportuno partire per utilizzare al meglio questa risorsa che forse proprio perchè non è ancora compresa nel sistema della gestione dei conflitti familiari giudiziali e stragiudiziali, appare ad essa estranea.

La sentenza di Bologna.

Un caso emblematico sull’effettiva utilità del coordinatore genitoriale è stato il recente provvedimento del Tribunale di Bologna.

Nella gestione di rapporti fra genitori non coniugati di un figlio minore nato nel 2015, per individuazione e definizione di provvedimenti del giudice in favore della miglior gestione dello stesso prende atto una diatriba complessa e conflittuale nella quale in breve viene a determinarsi una potenziale confusione di ruoli e competenze che mal si presta al raggiungimento di una serena situazione fra le parti.

Secondo il giudice, che ha già provveduto alla nomina di CTU ed ha disposto l’affidamento del minore ai servizi sociali proprio per l’inadeguatezza genitoriale delle parti, l’essere affiancati anche da un coordinatore complicherebbe non poco la gestione della quotidianità in quanto i genitori, già molto conflittuali fra di loro, sarebbero potenzialmente esasperati dalla figura del coordinatore genitoriale, avendo già da seguire i consigli e le indicazioni fornitegli dai Servizi sociali ed essendo sotto valutazione nell’ambito della consulenza tecnica di ufficio disposta dal giudice.

Il minore viene affidato ai servizi sociali con collocazione presso la madre con previsione di periodi di frequentazione con il padre dapprima in incontri protetti con i servizi sociali alla presenza di un operatore ed eventualmente in seguito, qualora vi siano miglioramenti nell’approccio con il padre, anche senza. Si spera così di non appesantire ulteriormente la situazione e di far si che le parti arrivino ad una genitorialità migliore e più consapevole. Sembra impossibile che a volte i genitori non sappiano fare i genitori e che il correre ai ripari successivamente sia così inadeguato e inefficace.

Forse un aiuto alla genitorialità che precede la crisi o che la contiene sarebbe sicuramente di aiuto a molte coppie tramite consultori, distretti sociali, scuole, e tutti gli ambiti in cui la famiglia vede muovere i propri riferimenti, senza arrivare allo scontro diretto e senza fine, che danneggia inevitabilmente i minori.

Problemi con la gestione dei figli?

Se hai problemi con la gestione dei figli, anche a causa della mancanza di adeguati rapporti con l’altro genitore, contattaci per una consulenza: potremo approfondire insieme la strategia migliore per il tuo caso.

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mediazione familiare

Mediazione familiare: il modello globale / operativo.

La differenza fondamentale di questo modello rispetto al precedente, visto appunto nel precedente post della «serie», ci viene indicata già dalla denominazione di globale.

Mentre, come abbiamo visto, nel modello integrato il focus dell’attenzione è dedicato alla genitorialità, lasciando gli aspetti economici e legali alla cura dei professionisti del diritto per lo più, l’aspetto peculiare del modello globale è che il mediatore tratta tutti i conflitti che interessano i protagonisti della mediazione, sia quelli connessi alla gestione dei figli, sia tutti gli altri che quasi immancabilmente si presentano ogni volta che si è in presenza di una crisi familiare.

C’è una considerazione di buon senso collegata a questo approccio e cioè che la comunicazione deve essere fluidificata riguardo a tutti gli aspetti del conflitto, perché il disagio e il malessere che i suo protagonisti provano nella vicenda è globale ed unitario e solo artificiosamente può essere ripartito in comparti diversi, affidati a professionisti altrettanto diversi. Inoltre c’è l’opportunità di sfruttare sino in fondo, a 360 gradi, tutte quelle finestre di dialogo che, a volte miracolosamente, si riescono ad aprire, e sinchè sono aperte, senza delegare, ma soprattutto rimandare, a successivi incontri presso peraltro altre figure in occasione dei quali le parti possono benissimo essersi «richiuse» in loro stesse.

C’è anche da dire che, come abbiamo già accennato sopra parlando del modello integrato, gli accordi che si prendono in sede di mediazione sono legati da un equilibrio molto stretto tra loro, per cui non è affatto detto che vengano mantenuti tutti nel caso in cui parte di loro per qualche motivo naufraghi, anzi tutto al contrario è solitamente un dato di esperienza che, in presenza di un ostacolo relativo ad un singolo aspetto o considerazione, quasi sempre le parti si trovino a voler rimettere in discussione tutti gli accordi, specialmente quando quell’aspetto non è propriamente un dettaglio, ma un dato importante rispetto al tutto.

Vale di nuovo la considerazione per cui le persone, gli utenti, sono titolari di un problema e si rivolgono al mediatore affinchè li aiuti a risolverlo, senza potersi interessare di ripartizione di competenze, questioni di opportunità, aspetti legali che, in questi momenti, anzi particolarmente in questi momenti, sono sentiti – più che in molti altri casi – come inutili complicazioni burocratiche.

Al netto della necessità di rispettare comunque la legge, forgiando accordi che si possano sussumere tranquillamente nel suo alveo – se non altro per esigenze concrete, quali quelle di consentire il passaggio al vaglio della magistratura – va ricordato che la percezione dei problemi di famiglia da parte dei suoi protagonisti è unitaria dal punto di vista emotivo e qualsiasi frammentazione può rendere precari quei già debolissimi equilibri che il mediatore riesce faticosamente a creare e sui quali si trova a dover camminare, con la massima cautela e leggerezza possibili, per tutto il suo percorso.

L’approccio del mediatore, comunque, resta quello classico di incoraggiare entrambe le parti, con equidistanza, a farsi reciproche concessioni, nell’ottica del compromesso che resta l’unica soluzione per affrontare qualsiasi conflitto e che è in fondo una cosa nobile, tutto al contrario di quanto si pensa comunemente, perché consente la pace sociale, familiare, individuale con la rinuncia a proprie pretese, spesso anche legittime, ma che vengono messe in secondo piano per il bene superiore del raggiungimento di un assetto stabile, utile sia per gli adulti protagonisti della crisi sia per i minori stessi.

In tale approccio, si cerca di definire all’inizio del percorso alcuni criteri di equità. In realtà, questa operazione può essere interessante, perché da un lato può agevolare il raggiungimento di un compromesso facilitando dal lato emotivo la rinuncia a proprie pretese ad opera delle parti, ma porta in sé anche il rischio di cadere nel problema tipico delle norme giuridiche, quelle di essere impiegati per risolvere problemi che sono nati dopo che le stesse sono state forgiate, per non dire del fatto che formulare norme di diritto, o prescrittive, e farle adeguatamente comprendere dai loro destinatari non è affatto un’operazione semplice. Quand’anche si riuscissero a individuare criteri generali dotati di qualche validità in astratto, parti del conflitto già esasperate e con comunicazione bloccate facilmente, senza nemmeno farlo apposta, tenderanno a fraintenderle e ad usarle come «clave» l’una nei confronti dell’altra.

La mano del mediatore al riguardo deve essere delicata e molto cauta, indicando più che norme strette e rigorose, alcune considerazioni generali, sulle quali le parti non possono non essere d’accordo – come tipicamente la necessità di tutelare tutte le volte e in tutti gli aspetti in cui è possibile i figli – da richiamare durante la negoziazione e il confronto, più come un campanello emotivo che un vero e proprio «regolo» per la discussione stessa.

Nel modello globale, il mediatore ovviamente si fa garante infatti anche degli interessi dei minori e la loro presenza è talvolta anche prevista nella stanza della mediazione, prima della redazione degli accordi, in modo da rendere il metodo il più inclusivo possibile.

Nel prossimo post della serie proseguiremo l’analisi dei modelli di mediazione familiare.

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diritto

Proposta di lavoro all’estero: il giudice mi lascerà andare?

sono mamma di una bimba di 5 anni da più di due anni nn convivo più con il padre della bimba il mio problema è che ho trovato lavoro in Germania solo che il padre nn vuole mettere la firma sui documenti per l’espatrio.Ora la mia domanda è facendomi inviare una proposta di lavoro riuscirò a convincere il giudice che devo pur mantenere mia figlia visto la miseria di 160euro che le da il padre nn basta è io qui nn trovo lavoro?

Non è così semplice e comunque non si può mai prevedere in casi come questi cosa può decidere il giudice, si può solo tentare il ricorso, costruendolo al meglio, e vedere che provvedimento viene poi fatto.

Si tratta infatti di valutazioni discrezionali legate al caso concreto, dove un magistrato può benissimo opinare diversamente da un altro, a seconda della sua sensibilità.

Oltre al posto di lavoro, per il quale dovresti comunque poi farti tradurre in Italiano la disponibilità all’assunzione, il giudice dovrà valutare l’interesse a tutto tondo del minore e quindi la sistemazione abitativa, la presenza di scuole adeguate, un contesto sociale altrettanto adeguato, servizi, comodità, più in generale qualità della vita e così via.

Contemperando e bilanciando il tutto con la perdita che si verificherà inevitabilmente, per motivi logistici, nei rapporti con il padre e valutando se tale perdita sarà adeguatamente o almeno in parte compensata dai vantaggi che ci sarebbero in caso di trasferimento.

Come ho già detto centinaia di volte, insomma, bisogna elaborare un adeguato progetto per la vita del minore e, più in generale, della famiglia dopo il trasferimento, sottoponendone poi l’approvazione al giudice.

Ovviamente, per fare questo lavoro occorre l’assistenza di un bravo avvocato, non è una cosa che una persona possa a mio modo di vedere fare, con la necessaria efficacia, da sola.

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diritto

sono incinta e il padre di mio figlio non si capisce che cosa voglia fare

A maggio nascerà mio figlio. Il padre è straniero UE, non sposati, dopo 2 anni, abbiamo convissuto a casa mia x 4 mesi, lui non ha un lavoro da 2 anni all’inizio della gravidanza lui mi dice che non ne vuole sapere più niente ne del bambino ne di me. Per 2 mesi mi insulta in tutti i modi, io rischio di perdere il bambino, poi mi faccio coraggio e chiedo aiuto ad uno psicologo. Lo allontano,lui torna nel suo paese. Ora sono al 5 mese e vuole tornare con me. Io non mi fido più di lui, ho paura che mi assilli (come in effetti sta facendo ora, telefonando, venendo a casa mia, oggi mi dice che a maggio lui vuole venire ad abitare di nuovo con me e che le cose d’ora in poi andranno come vuole lui), non voglio che lui lo riconosca, anche se vorrei che se nel tempo si dimostrerà cambiato, responsabile e stabile, il bambino conosca suo padre. Ora ho paura che si cominci con cause ecc e che questo faccia solo stare male il bambino. Cosa devo fare per tutelare il bambino, come posso agire nel suo bene?

La situazione è molto incerta e fluida, per cui la cosa migliore, al momento, è fare un ciclo di sedute di mediazione familiare, che ti consentiranno anche di vedere quale sarà la risposta del padre alla tua richiesta di impegnarsi un minimo per la famiglia.

Per quanto riguarda, più in generale, il rapporto con te e con tuo figlio, un conto è essere coppia, un conto è essere genitori: potete smettere di essere coppia, o rifiutarvi di ricominciare a farlo, in qualsiasi momento uno dei due, anche da solo, lo decida, mentre oramai non potete più smettere di essere genitori, per almeno altri 25 anni, un periodo molto lungo della vita.

Essere genitori significa necessariamente collaborare e aver a che fare l’uno con l’altro in modo continuativo, ragione per cui devi purtroppo abbandonare l’idea di non aver più a che fare con questa persona, con la quale dovrai invece aver a che fare su questioni importanti e ancora per molto tempo in quanto padre di tuo figlio.

Per questi motivi, ti consiglierei di iniziare appena possibile un ciclo di sedute di mediazione, dopodichè potrai valutare le mosse più opportune anche a livello più propriamente giuridico.